Roma. Capitale a colori

Dalla Garbatella a Tor Marancia i creativi della street art cercano di contrastare con murales e graffiti il degrado delle periferie

Luca non ha mai avuto paura di tirare un calcio di rigore. Ne ha messi a segno tanti sull’erba spelacchiata di Tor Marancia, un pezzo grigio come il cemento del quartiere Ardeatino, a Roma. Un giorno la palla ruzzola in strada, lui corre come il vento per prenderla, un’auto lo centra in pieno, cancellandolo in un secondo dalla faccia della terra. Eppure ogni giorno Luca sale una scala colorata, con i pioli a forma di matite, e illumina il quartiere guardando un punto lontano oltre i palazzi, dove c’è l’azzurro. Vivrà cinque anni, forse di più, nel murale che in viale di Tor Marancia l’artista francese Seth – nell’ambito del progetto Big City Life, 18 pittori di dieci diverse nazionalità – ha dedicato alla sua storia, ma in quell’arco di tempo, con i suoi otto metri di altezza, il ragazzino che non diventerà mai grande regalerà fantasia e speranza.

Potenza e suggestione della Street art, arte urbana presente da decenni in altre metropoli del mondo, che sta imperversando negli ultimi anni nella capitale, grazie anche al sostegno della Fondazione Terzo Pilastro-Italia e Mediterraneo presieduta da Emmanuele Emanuele, in collaborazione con 999Contemporary, l’associazione che ha curato qualche mese fa una fortunata mostra dedicata alle opere di Banksy, tra le firme più conosciute e potenti del genere. È una forza trasversale la street art, popolare e anarchica, che trasforma in opere di contemporanea bellezza e attualità muri anonimi nelle periferie più lontane, spesso degradate, dove abitano due milioni e 552mila residenti che dicono «vado a Roma» invece che «vado in centro». Sono volti, corpi, farfalle, geometrie astratte, guerrieri, madonne, draghi, dischi volanti, uccelli, alberi, fiori, impronte digitali o semplicemente macchie di colore, realizzati con tecniche e generi diversi, dallo stencil all’arte murale, dai poster alla pittura con le bombolette spray, che fanno riflettere, stupire, emozionare, sognare. Attualmente nella capitale si contano almeno 300 installazioni realizzate da più di 120 artisti diversi, di cui 25 romani, distribuite in 150 strade e tredici municipi diversi della metropoli, tra San Basilio – dove il progetto di rigenerazione urbana Sanba è stato tra i primi a puntare sulla street art, in una zona complicata a nordest di Roma, seconda in Europa per spaccio di stupefacenti – Ostiense, Quadraro, Torpignattara, Garbatella, San Lorenzo e Primavalle, in cui l’artista Pixel Pancho, torinese, ha regalato al quartiere un murale alto 10 metri che ritrae Teseo nell’atto di infilzare il Minotauro con una daga. Rivive con una gigantografia di Pier Paolo Pasolini a firma del portoghese Frederico Draw uno dei sili dell’ex fabbrica Mira Lanza, in zona Ostiense-Marconi; torna a splendere l’hotel Capannelle all’Appia Antica con il lavoro di Andrew Pisacane, in arte Gaia, che ha scelto tonalità tra l’azzurro e il giallo per coprire ben 646 metri quadrati di superficie con simboli storici dedicati alla mobilità e alla libertà; al Trullo un gruppo di poeti imperversa sui muri del quartiere, uno di loro, Er Bestia, scrive: Ecco la Street Art, ar popolo appartiene / Potenza nelle vene che spezza le catene / Ner monno che se spegne è foco nella strada / Che ’n giorno apre l’occhi e se trova tatuata / Non conosce serrature e orari de chiusura / De ’n museo a cielo aperto indomabile creatura. 

L’arte urbana è entrata anche nei gangli di Tor Bella Monaca, TorBella per gli amici, Bronx o Fort Apache per i nemici, Municipio VI a sudest di Roma: un quartiere senza quartiere a otto chilometri dal primo mezzo pubblico, costruito 30 anni fa da un’amministrazione senza cuore, che poi ha buttato le chiavi del vivere civile. Qui, nella zona più giovane della capitale dal punto di vista anagrafico, alcuni murales dai vividi colori, firmati Teoz, contrastano con il grigio delle torri di cemento di via dell’Archeologia – il centro di TorBella – e rappresentano lo stupore e il sogno di tanti ragazzi che abitano lì e lanciano lo sguardo oltre quei colori. Come il ragazzino di Tor Marancia che non sarà mai grande ed Enzo, il supereroe interpretato da Claudio Santamaria nel film rivelazione di Gabriele Mainetti Lo chiamavano Jeeg Robot, che da TorBella dove arranca in una vita fatta di violenza e morte, decide di cambiare prospettiva attraverso i poteri che il caso gli ha fornito. Certo, un muro dipinto, cento affreschi, ma anche film, spettacoli teatrali e tutto ciò che produce cultura, sono un palliativo per la cura di periferie degradate bisognose invece di interventi radicali su mobilità, recupero edilizio, sicurezza, verde pubblico, ma aiutano a riattivare la percezione dei luoghi riconoscendo, come afferma Renzo Piano «la bellezza che si nasconde nelle periferie». Una realtà mutevole, in così rapida trasformazione che oggi le recensioni online della app Streetart Roma – nata nell’aprile 2015 per localizzare 100 opere e fornirne una scheda informativa – sottolineano più che altro mancati aggiornamenti, del software come dei contenuti. Per parte sua, il colosso informatico Google sta provando ad archiviare in rete le opere e sempre più numerosi sono gli interventi commissionati da associazioni, istituzioni e gallerie d’arte.

Quello che era un fenomeno spontaneo e gratuito, al limite della legalità, ora sta diventando business, una fonte di turismo alternativo a quello tradizionale. «Ma – si chiede giustamente la blogger statunitense Jessica Stewart, autrice del libro Street art stories. Roma – a chi andranno le entrate generate da questa nuova forma di turismo?». Difficile pensare che abbiano un ritorno diretto sull’edilizia popolare di Tor Bella Monaca o di Tor Marancia sebbene, a onor del vero, il progetto Big City Life affidi la gestione dei graffiti ai ragazzi della zona costituiti in associazione, cui gli artisti hanno devoluto i diritti di riproduzione delle opere, che potranno essere stampate su magliette e souvenir. Difficile pure pensare che la street art possa far salire i prezzi delle case di Torpignattara e Quadraro, come è già successo tanti anni fa a Brooklyn, New York, e a Kreuzberg, Berlino; ma Roma vive di vita propria e può creare artifici e magie al di fuori di logiche e schemi. Lungo i muraglioni del Tevere, intanto, tra ponte Sisto e ponte Mazzini splende per mano della star sudafricana William Kentridge un’opera d’arte urbana tra le più lunghe del mondo, che si sviluppa per 550 metri. Si chiama Triumphs and Laments e propone in 80 figure alcuni momenti catartici della Città Eterna, da Giulio Cesare e l’impero romano fino alla morte di Pasolini, passando da Anita Ekberg nella fontana di Trevi a Michelangelo e alla sue monumentali sculture. Corpi prorompenti che l’artista ha realizzato per sottrazione, pulendo la patina scura del muraglione senza aggiungere vernici e colori. Fra qualche anno cavalli, bighe e angeli saranno sommersi dallo sporco e spariranno come tutte le altre icone della street art, genitrice di fragili creature del presente che danno ristoro e aiutano a campare con la fantasia, di supereroi carichi di tutto il potere immaginifico ed esplosivo dell’arte.