di Maria Pace Lucioli Ottieri | Foto di Giacomo Fe
Ad Anversa degli Abruzzi, Nunzio Marcelli porta caparbiamente avanti la tradizione della transumanza. Con un’idea in più: farsi accompagnare dai turisti. In cerca di esperienze autentiche... e formaggi freschissimi
Ci sono parole capaci di evocare mondi scomparsi di cui si ha nostalgia proprio perché non si è fatto a tempo a conoscerli: penso alla parola transumanza e alle vite dure e poetiche di pastori che salgono con i greggi in montagna ai primi caldi e ne ridiscendono in autunno. Mondi e vite scomparsi o quasi, perché ad Anversa degli Abruzzi (Aq) c’è qualcuno che tiene duro. Si chiama Nunzio Marcelli e subito dopo la laurea in economia a Roma ha scelto di tornare nel suo paese d’origine, un borgo medievale di 300 abitanti già segnato dall’abbandono alla fine degli anni Settanta. Del tutto controcorrente, quando l’Abruzzo si vergognava delle pecore nell’Intervallo della Rai, decise di investire in terreni, pecore e capre. Un’idea folle che a trent’anni di distanza è maturata in un’azienda agropastorale, 1.100 ettari di pascoli, 1.300 pecore sopravissane, capre, maiali, cavalli, un laboratorio di resistenza all’estinzione della pastorizia che richiama persone da tutto il mondo.
A fine giugno le sue greggi salgono dalla valle del Sagittario ai pascoli dell’Alto Sangro e alla transumanza si accodano decine di turisti cosmopoliti. All’alba, dopo la ricca colazione del pastore – caffè e latte appena munto, ricotte calde, marmellate fatte in casa, pecorini e frittate – si lascia l’agriturismo la Porta dei parchi, attiguo all’azienda di Nunzio, per due giorni e mezzo di cammino sulla scia del gregge, tenuto unito da due giovanissimi pastori, Faradin, macedone e Valerica, rumeno, e cinque cani abruzzesi. Lo stretto sentiero si inerpica sulle gole calcaree del fiume Sagittario fino all’abitato di Castrovalva, a 850 metri, (di cui abbiamo diffusamente parlato in Touring di marzo 2016, a pagina 40, ndr). La salita diventa più impegnativa fino a 1260 metri di altitudine, sulle coste del monte Genzana, che in epoca preistorica, a seguito di una frattura, sbarrò il fiume Sagittario formando il lago di Scanno. Frattura Vecchia è il paese della sosta per una colazione sull’erba che compare all’improvviso, tra le case distrutte dal terremoto del 13 gennaio 1915, dove oggi restano 19 abitanti, molti orti dei fratturesi che tornano a coltivare i loro famosi fagioli, e migliaia di lucertole e farfalle. Frattura Nuova fu ricostruita su uno sperone del monte Rava, a picco sulla valle con al centro il lago, ed è lì che la sera i locali accolgono i transumanti con grigliata di agnello e musica tradizionale. Su e giù per pendii, valli, boschi, altipiani, pascoli fioriti colorati e fragranti di menta, nepitella, timo, liquerizia, incontrando sorgenti, cascatelle, abbeveratoi, in un paesaggio intatto e a perdita d’occhio sui monti circostanti, paesi bellissimi come Villalago e Scanno, immortalato da grandi fotografi come Hilde Lotz-Bauer ed Henri Cartier-Bresson.
La mattina del terzo giorno la transumanza approda sull’altopiano del Chiarano, alla meta finale dello stazzo che accoglierà le pecore fino a novembre, tra i belati accorati dei due greggi, quello già arrivato in un cammino precedente e il nuovo, in un incontro sorprendentemente commovente. La scena è idilliaca ma chi resta, i giovani pastori, dovranno tener lontani, la notte, lupi e orsi marsicani che popolano queste montagne insieme a moscardini (piccoli ghiri color nocciola), marmotte, falchi e gufi. Si ritorna all’agriturismo in un camion stipato di cassette di pecorini, attraverso un altro meraviglioso pascolo sul Piano delle Cinque Miglia, sulla statale 17 dell’Appennino Abruzzese.
Nunzio se ne è inventate tante per tenere in vita la pastorizia e sostenere la sua azienda: dalla campagna Adotta una pecora con tanto di fotografia e certificato di adozione della prescelta in cambio di una cassetta di pecorino e ricotta, alla Festa della tosatura, a fine aprile, con perfino i maori della Nuova Zelanda che vengono ad Anversa a mostrare le loro tecniche. È andato tra i pastori dell’Afghanistan a insegnare a cagliare il latte per stagionare il formaggio di pecora e ha imparato da loro a produrre il “muffato” dal latte acido. «Il formaggio racconta il territorio, è qualcosa di vivo che va continuamente assistito: noi lo massaggiamo anche con olio d’oliva», dice Nunzio, i cui formaggi, su tutti la ricotta affumicata su legno di ginepro, hanno ricevuto importanti riconoscimenti anche internazionali. Grazie a un pezzo di famiglia emigrato a New York nel 1912 e ritrovato, le sue ricotte e i suoi pecorini si trovano nei ristoranti più famosi, come la Locanda Verde di Robert De Niro a Manhattan o lo Spiaggia di Chicago, il preferito dall’ex presidente Usa Barack Obama.
L’ultima idea di Marcelli è il “caseificio mobile”, a norma comunitaria e con annesso punto vendita, montato su rimorchio, che consente di fare il formaggio direttamente sui pascoli. Insomma, le pecore ce la mettono tutta, ma mancano i servizi, gli investimenti pubblici e privati, mentre l’accanimento burocratico e fiscale spezza le ali a qualunque sogno. Eppure la sfida continua. C’è un mondo rurale che produce a basso costo, che mantiene il territorio e sa offrire ai turisti l’accoglienza e quelle esperienze vere che una consistente parte del mercato turistico cerca.