di Roberto Casalini | Disegno di Gianluca Biscalchin
Lo scrittore arrivò per la prima volta a Milano nel 1918 con 237 schegge in corpo “guadagnate” sul fronte del Piave. Passerà la degenza tra amori, bicchieri e passeggiate in Galleria. E a scrivere il suo “Addio alle armi”
Qui visse... - “In questa illustre casa il 27 maggio 1860 per sole due ore posò le stanche membra Giuseppe Garibaldi...”. La targa garibaldina del palazzo Alliata di Villafranca a Palermo rimane scolpita nella memoria di chi la legge che forse può anche immaginarsi la scena, umanizzando l’Eroe dei due mondi. Quando 150 anni fa a Londra comparvero le prime Blue Plaque per segnalare abitazioni e luoghi dove i “famosi” avevano lavorato o vissuto fu una piccola rivoluzione. Una tradizione che continua ancora oggi con un totale di 900 segnali blu ai quali si ispira questa nuova rubrica. Ma anche il Touring ha fatto della segnaletica un “marchio di fabbrica”. Già tre anni dopo la sua fondazione a Milano (avvenuta nel 1894), l’associazione aveva posto i suoi primi cento pali indicatori. Dieci anni dopo saranno quasi mille contribuendo a cambiare la storia del paesaggio italiano e della topografia. Oggi la tradizione prosegue con la segnaletica info-monumentale. Il segno continua.
«Arrivammo a Milano la mattina presto e ci scaricarono allo scalo merci. Un’ambulanza mi condusse all’ospedale americano». Il diciannovenne Ernest Hemingway, autista d’ambulanze sul fronte del Piave, ha 237 schegge di Minnerwerfer e due pallottole di mitragliatrice nella gamba destra e approda nel 1918 all’ospedale americano di via Armorari 6, a due passi dal Duomo. Una targa ricorda che qui nacque “la favola vera di Addio alle armi”. Ai suoi scrive: «Dalla veranda riusciamo a vedere la sommità della cattedrale. È molto bella. Come se contenesse una grande foresta». Si è innamorato dell’infermiera Agnes von Kurowski, più grande di lui di sei anni, che ricambia e presto lo lascerà per un ufficiale italiano. «Adesso fai il bravo, e non perdere le staffe se ti dico che non vengo a Milano – temo che andrà a finire così. Ma non voglio che tu ti metta a prosciugare la Galleria di ogni liquido», gli scrive. Ecco, c’è già tutto Addio alle armi, bevande incluse. Ernest è il tenente Frederic Henry, Agnes diventerà l’infermiera inglese Catherine Barkley. Frederic e Catherine a Milano si amano, girano la città – via Manzoni, San Siro, il Naviglio, la Scala, il Teatro Lirico, Porta Magenta. E fanno tana in Galleria: al Biffi, al Campari, soprattutto al Grand’Italia, aperto nel 1873 come Caffè Gnocchi e per breve tempo noto anche come Gambrinus. «Bevevamo Capri bianco secco ghiacciato in un secchiello; ma provavamo molti altri vini: Freisa, Barbera, e i vini bianchi dolci». Neppure un Campari, al massimo un Martini liscio da Cova in via Montenapoleone.