di Claudio Sabelli Fioretti
Una giornata a casa dei campesinos di Hornaditas, sperduto paese nel Nord dell’Argentina dove ritrovare l’antica ospitalità contadina
Clarita? Sei tu Clarita? «Sì, sono io Clarita. Tu sei Claudio?» «Sì, io sono Claudio». «Mangi qui?», domanda Clarita. «Sì, che cosa si mangia? «Ti piacciono le fave?», chiede Clarita. Rispondo: «Ne vado pazzo Clarita». «Eccole qui, sbucciale». Una montagna di fave. Che ti possino Clarita! Un’ora di lavoro. E pensare che io sono il turista. Non è esattamente un trattamento da cinque stelle. È il turismo campesino. Funziona proprio così. È il turismo a casa dei contadini argentini. Siamo nel Nord, sopra Salta, un insieme di paesi colorati, di montagne colorate, di mercati colorati. E di saline di un bianco accecante. Desideravo da tempo conoscere la realtà di un Paese entrando nelle case della gente umile e l’Argentina si è prestata a questo esperimento. Ho girato per venti giorni l’Argentina classica, Buenos Aires, Patagonia, Terra del Fuoco, Ushuaia, Chalten, Perito Moreno, penisola di Valdes, canale di Magellano, pinguini, orche, balene, foreste pietrificate, mani dipinte nelle grotte, Cerro Torre, la capanna di Cesare Maestri, non mi sono fatto mancare nulla, perfino il tango che non sopporto. Ma mi mancava la gente.
Ed eccomi qui, al Nord. Niente più aerei, pulmini riservati, autobus di lusso, niente alberghi con tutti i comfort. Solo mezzi locali, solo taxi collettivi. E case private. Gestite da campesinos. Mi divertirò moltissimo e conoscerò la gente. Entrerò nella vita delle persone normali, dei vignaioli (che buono il Torrontès), dei contadini, scoprirò i loro orti, entrerò nelle loro cucine, pranzerò con loro e come loro, gente povera ma incredibilmente dignitosa e spesso colta. Conosco Clarita. E suo marito, Hector, faccia scolpita dal sole e dal vento e forse dall’alta montagna. Che mi dice: «Io sono felice, anche Clarita è felice. Volevamo conoscere il mondo. Ma non potevamo permettercelo. E allora abbiamo aperto la porta e il mondo è venuto da noi».
Gabriella, la figlia, mi porta a vedere i cactus giganti, l’altra figlia, la piccola Carolina, mi suona il siku, una specie di flauto a canne. Il pranzo è pronto. Ma Hector prima vuole mostrarmi le fonti che attraverso un ingegnoso sistema idraulico portano l’acqua al suo orto. E già che c’è mi mostra il nido dell’aquila maestosa e mi mostra l’aquila maestosa stessa e mi parla delle grotte con i disegni degli Hector di qualche millennio or sono. Torniamo a casa e attorno alla tavola c’è molta gente arrivata senza preavviso. L’agopuntore, la psicoanalista, l’insegnante di chitarra, l’economista. Siamo a Hornaditas, un posto abbastanza sperduto a nord di Humahuaca. Per una giornata siamo tutti felici, come Hector, il campesino che ha aperto la sua casa per fare entrare il mondo.