Australia. Il mistero di Ayers Rock

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Di origine ignota, venerato dagli aborigeni, agognato dai viaggiatori, immortalato dai registi, il monolite di Uluru diventa ora parte di un’installazione luminosa. Da scoprire di giorno e di notte

Un viaggio in Australia è sempre un viaggio agli antipodi, e non è solo un fatto di distanza geografica. L’ultimo continente permette infatti di viaggiare nel tempo e di solcare a piedi il passato remoto di questo pianeta. Bisogna però scegliere un punto di approdo preciso come Uluru, nel Northern Territory, per potersi lasciare sorprendere dalle radici millenarie della Terra. A ricordarci da dove veniamo è un simbolo inconfondibile di questo paese: il massiccio di Uluru. Questo promontorio alto 380 metri che i turisti possono ammirare approdando nella cittadina di Ayers Rock è appena un ventesimo di tutto il complesso roccioso che si estende per sette chilometri sotto la superficie terrestre. Ma non è l’unico aspetto curioso. Insieme alle vicine montagne di Kata Tjuta e il Monte Conner, che formano il Parco nazionale Uluru-Kata Tjuta, rappresenta la parte emersa di un unico gigantesco monolite. Secondo alcuni scienziati questo blocco di roccia arenaria potrebbe essere in realtà quel che resta di una luna terrestre, un meteorite caduto intorno a 3,5 miliardi di anni fa e conficcatosi nel Red Centre, al centro del cuore rosso australiano, la vasta zona semidesertica che copre quasi interamente questa regione. Un luogo sacro per gli aborigeni, soprattutto per la popolazione Anangu che ha presidiato questo posto per millenni. Secondo le tradizioni, Uluru è infatti una destinazione costellata di miti e leggende, molte delle quali sono conosciute solo dagli aborigeni, tramandate di generazione in generazione. Ogni fenditura sulla roccia, ogni caverna, ogni sorgente ha un senso preciso che affonda le sue radici nel dreamtime, il tempo dei sogni, ovvero l’epoca in cui la terra era ancora malleabile e in formazione. Che questo luogo abbia qualcosa di magico e ancestrale non è solo un proclama degli aborigeni, chiunque si avvicini al monolite viene invaso da una strana energia. Potrebbe sembrare una mera suggestione, ma l’aurea cosmica che proviene dall’altura è davvero tangibile, come se l’aria fosse elettrica e nelle orecchie ronzasse un’eco lontano.  

A rendere tutto più mistico sono i colori di Uluru. La forte componente ferrosa della roccia, insieme ad altri minerali come i feldspati, riflette la luce come un caleidoscopio, cambiando tonalità durante il giorno passando dal rosso infuocato, al viola, al bronzo, all’ocra. Insomma, una scenografia naturale sempre diversa capace di generare quasi uno stato di trance che impedisce di staccare gli occhi da quella visione. Ad amplificare l’ipnosi ci ha pensato l’artista Bruce Munro che ha realizzato una maestosa installazione proprio alle pendici del monolite. Field of light, questo il nome dell’opera, è uno smisurato tappeto di 50mila luci collegate da un sistema nervoso in fibra ottica che prende vita al calar della sera. Uno spettacolo nello spettacolo. «È stato proprio questo straordinario luogo che ho visitato per la prima volta nel 1992 a darmi l’ispirazione per la realizzazione di quest’opera», racconta l’artista inglese. «Volevo ricreare la stessa suggestione delle luci e i colori di Uluru consentono alle persone di potersi muovere nello spazio esattamente come fanno quando vengono qui, vivendo il paesaggio in modo naturale». In effetti camminare tra gli steli luminosi è un po’ come muoversi tra i colori di una tavolozza perfettamente integrata con il contesto in cui ci si trova, una magia che ripaga ampiamente il lungo viaggio per giungere ad Ayers Rock. Non sorprende quindi che gli organizzatori abbiano esteso le visite all’opera di Munro fino a marzo 2018, visto il notevole successo dell’iniziativa. Il connubio arte e natura realizzato dall’artista è indubbiamente il modo più poetico per lasciarsi rapire da questo simbolo australiano, tuttavia ne esistono anche di meno bucolici. Una tradizione, ad esempio, è quella di brindare al tramonto con un aperitivo organizzato dai molti tour operator locali. È un happening decisamente popolare, ma la folla rumorosa dei astanti stride parecchio con la solennità del massiccio roccioso.

Meglio allora un giro in Harley Davidson, in stile un po’ Easy Rider o sul dorso di un cammello, anche se il top è indubbiamente il sorvolo in elicottero che offre un punto di vista privilegiato di tutto il parco naturale. Dall’alto si possono infatti apprezzare non solo i rilievi, compresi il Kata Tjuta e il Monte Conner, ma anche l’incredibile radura circostante, chilometri di piatta e arida terra che si perde all’orizzonte. Un’immagine tipica di questa zona, quasi totalmente disabitata. La regione del Northern Territory è infatti enorme, più di 1,4 milioni di chilometri quadrati (quattro volte la Germania), con soli 244mila abitanti e una densità per chilometro quadrato di appena 0,18 persone (in Italia la media è 201,3). Questo significa che per raggiungere la capitale Darwin in auto bisogna percorrere quasi duemila chilometri in mezzo al nulla coprendo la distanza, se va bene, in una ventina di ore. Chi è in vena di un’avventura on the road può prendere in considerazione la trasferta passando da Alice Spring, unica tappa “popolata” lungo l’itinerario. Ovviamente esistono collegamenti aerei più semplici e veloci, ma gran parte del fascino di un viaggio a queste latitudini è proprio perdersi negli spazi immensi, costellati di cieli e paesaggi da cartolina. Durante il tragitto è quasi obbligatorio fermarsi a Kings Canyon, a tre ore di distanza da Uluru, un’altra icona dell’outback australiano. Le scoscese pareti di rossa arenaria, formatesi milioni di anni fa, sono l’habitat naturale per oltre 600 specie di animali e piante endemici tra cui il tipico bush della zona (acacia ligulata). Per compiere l’arduo trekking di sei chilometri chiamato Kings Canyon Rim Walk sono necessarie tre o quattro ore con un’arrampicata iniziale capace di mettere a dura prova le coronarie, ma la fatica viene ricompensata totalmente dalla vista delle sinuose formazioni rocciose e dalle piscine naturali di cui è costellato il cammino. E una volta giunti ad Alice Spring due stop sono consigliatissimi: il primo è al Kangaroo Sanctuary, il secondo all’Earth Sanctuary. Nel primo caso potrete conoscere di persona Chris Brolga Barns che con il suo rifugio si prende cura dei cuccioli di canguro che hanno perso i genitori e che senza aiuti avrebbero serie difficoltà a sopravvivere. Kangaroo Dundee, come lo chiamo tutti da queste parti, è un personaggio davvero singolare, dalla grande umanità e con mille storie da raccontare. Storie che sentirete anche alla buona tavola dell’Earth Sanctuary dove troverete uno dei migliori barbecue della zona e un luogo incontaminato dove osservare le stelle che qui sembrano più luminose e vicine. 

Foto di Mark Perna