Portogallo: in cammino in Algarve

Gianmario MarrasGianmario MarrasGianmario MarrasGianmario MarrasGianmario MarrasGianmario MarrasGianmario Marras

Dal confine con la Spagna sul fiume Guadiana alle scogliere di Cabo de São Vicente: un percorso a piedi all’interno dell’Algarve, oltre 300 chilometri di sentieri da percorrere a piedi o in bicicletta

Alcoutim e Sanlucar sono paesi gemelli. Si specchiano nelle acque dello stesso fiume, sotto lo stesso cielo. Entrambi dominati da un castello, hanno case, chiese e campanili imbiancati di calce. Forse anche piazze e vicoli si assomigliano e sono percorsi dagli stessi suoni, dagli stessi silenzi. A separarli c’è l’invisibile linea di confine tracciata sulle acque del Guadiana: Andalusia in Spagna da una parte, Algarve in Portogallo dall’altra. Parte da qui la Via Algarviana, uno dei percorsi più scenografici della Penisola iberica: 300 chilometri in 14 tappe da percorrere a piedi o in bicicletta, dal confine spagnolo a Cabo de São Vicente, sull’Atlantico. Un percorso da integrare con deviazioni verso il mare, sempre raggiungibile in treno o autobus. Mi preparo a camminare fra borghi agricoli, boschi e colline, vestigia storiche e terme di montagna. Un mondo resistente all’estinzione, governato dalla lentezza.

C’è un piccolo molo ad Alcoutim, nel pomeriggio assolato tutto sembra immobile, in pace, eppure questo è stato luogo di secolari conflitti fra le due nazioni. Decido di salire su una barca per risalire le anse serpeggianti del fiume, nel paesaggio verde del Parque Natural do Vale do Guadiana. Approdo a Mértola, custode fra le sue antiche mura di tradizioni e testimonianze storiche millenarie: la rocca moresca poi conquistata dai Cavalieri di Santiago, il nucleo e la torre romana, la chiesa di Nossa Senhora da Anunciação detta La Mesquita, ricavata dall’unica moschea del periodo medievale ancora esistente in Portogallo. A sud, la navigazione porta a Vila Real de Santo António, costeggiando gli acquitrini e le saline della Riserva Naturale Sapal de Castro Marim, paradiso per birdwatcher vicino la foce.

Alcoutim-Balurcos, poi Furnazinhas, Vaqueiros, Cachopo, Barranco do Velho: 88 chilometri di un cammino da iniziare senza fretta, cercando di annullare la percezione della distanza a cui la velocità ci ha abituato. Questi luoghi sono fatti per i sensi: profumi, colori, il gorgheggio degli usignoli e il ronzio delle api. Il percorso si adegua presto al mio respiro, nell’incognita di incontri e imprevisti. Bellezza e spaesamento sono il regalo dispensato dal cuore rurale di questa regione fra boschi, distese di cisto, spiagge fluviali di sabbia fine, menhir vecchi di cinquemila anni, come quelli scolpiti sulla collina di Lavajo, e assaggi di Aguardente de Medronhos: acquavite di corbezzolo che i contadini offrono ai viandanti. Barranco do Velho è un villaggio sperduto fra le colline a un incrocio di strade, non ci sono monumenti da vedere, solo il paesaggio verde: erica, corbezzoli e querce.

Fortunatamente ci passa anche l’autobus diretto a Faro. Lungo il tragitto faccio sosta a São Brás de Alportel. La cittadina fu, nel XIX secolo, la prospera capitale dell’industria sugheriera più importante d’Europa. Oggi, distesa fra aranceti e mandorleti, continua a essere centro di attività agricole e artigianali di cui racconta il Museu Etnográfico do Trajo Algarvio che ha sede in una fattoria dell’Ottocento, con annesso un centro culturale per concerti. Il mare è vicino, poco oltre Faro, capoluogo della zona, assediato dall’incredibile groviglio di acque dolci e salate originato dal delta del Rio Formosa. Uno scenario di sabbia, dune, isole, canali e praterie popolate da uccelli marini, all’interno di una vasta area naturale protetta che si estende per 60 chilometri lungo la costa. È l’Algarve Sotavento (sottovento), con il suo litorale basso e sabbioso che si contrappone a quello roccioso di Barlavento (sopravento).

Dal porticciolo di Faro partono ogni giorno le escursioni, o verso le isole e le spiagge della riserva, per avvistare delfini e uccelli. Non incontro tanti turisti, nonostante l’incanto della Cidade Velha, il centro storico medievale ricostruito dopo il terremoto del 1755. Ancora meno turisti incontro a Tavira, dove arrivo in treno. È una città di chiese e conventi, con un ponte romano, dimore aristocratiche affacciate sul Rio Gilão e un castello di origine moresca, al quale salgo per guardare dall’alto i campanilie gli originali tetti a quattro falde ritorte.

 

Dall’Algarve di sabbia a quello di roccia, a Lagos arrivo in treno. Leggo che la città ebbe un ruolo importante al tempo delle grandi scoperte, l’epoca d’oro del Portogallo, fra il XIV e il XVI secolo. Fu crocevia dei commerci atlantici e punto di partenza delle prime navigazioni oceaniche. Oggi, il merito della sua fortuna risiede tutto nella bellezza del litorale. Sembra incredibile, ma a pochi minuti a piedi dal centro, mi trovo su spiagge dorate, incastonate come gemme fra alti faraglioni, grotte e falesie: Praia da Balança, Praia dos Pinheiros e Praia do Camilo. A Ponta da Piedade, con i suoi 182 gradini scavati nella scogliera, mi consigliano di aspettare il tramonto, tra i più scenografici del Paese. Lasciare questo mare non è facile, ma ho voglia di riprendere il cammino sulla Via Algarviana. Salgo sul treno a Lagos e in 35 minuti sono a Silves, per secoli capitale del regno moresco di Al Gharb (l’Occidente, rispetto all’Andalusia) con il nome di Xelb. Parte da qui la decima tappa, attraverso le alture di Monchique. Alla fine mi aspettano le acque calde di origine vulcanica delle sue terme, le cui proprietà non erano sfuggite ai Romani.

Completamente rifatto, lo storico stabilimento termale è diventato un resort a 4 stelle, devo solo scegliere il mio percorso benessere: bagno turco, piscina termale o sauna? La sera, per le vie non incontro quasi nessuno, passeggio fra case e palazzetti di fine Ottocento dal fascino rétro, i tavoli di un ristorante mi invitano alla sosta, fra olmi frondosi, in cielo brilla la luna. Da Monchique a Marmelete il sentiero verso ovest raggiunge la massima altitudine a 902 metri. Poi verso Besanfim e Vila do Bispo comincia a scendere, e alle asprezze montuose seguono colline verdeggianti e campi coltivati. Verso Sagres, in un ovile isolato, accetto l’offerta di un bicchiere di latte di capra; un cane alla catena mi guarda sospettoso, altri due, spelacchiati, mi ignorano. L’azzurro dell’Atlantico è sullo sfondo. Ci arrivo su una strada di polvere, tratteggiata in mezzo a un deserto di stoppie e fieno, sulla quale al termine appare, strapiombante sulla scogliera, il biancore del faro di Cabo
de São Vicente, finis terrae a sudovest d’Europa. «L’ultima salsiccia prima dell’America», sta scritto sull’insegna di un chiosco mobile al limite del precipizio. Il viaggio è finito, questa trasgressione me la posso permettere.

Fotografie di Gianmario Marras