di Barbara Gallucci | Barbara Gallucci
Un viaggio on the road alla ricerca degli ultimi rappresentanti di una comunità avanti con i tempi e che ha lasciato un segno. Di design
Questa è la storia di una sedia. Di una sedia che ha una storia. Non ha alle spalle la firma di un celebre designer e non ha nemmeno regalato momenti di riposo a un personaggio famoso. A prima vista non è neanche troppo particolare. A prima vista. Eppure è il primo oggetto esposto al museo del Design di Milano. Di legno, con la seduta intrecciata, schienale alto, perfetta per una casa in campagna, è stata realizzata più di un secolo fa in una comunità Shaker. Così recita la didascalia. La guida dice una cosa non scritta: «Questa sedia ha una particolarità: è leggerissima. Fatta per essere appesa. Gli Shaker, per i loro riti e balli avevano bisogno di spazio e se lo creavano così. Senza saperlo hanno fatto scuola nella ricerca ‘tecnologica’ applicata». Per scoprire chi erano e cosa è rimasto di questi ‘benedetti’ (è proprio il caso di dirlo) Shaker bisogna partire con destinazione il New England, quella fetta di Stati Uniti a nord di New York che comprende gli Stati del Connecticut, Rhode Island, Vermont, Massachusetts, New Hampshire e Maine. Un viaggio on the road nell’entroterra della costa atlantica con un’idea ben definita, ma con molte piacevoli deviazioni. Capita, guidando verso nord da New York, di percorrere strade poco trafficate.
Capita anche che un tacchino attraversi quelle strade senza badare alle macchine. Essendo ancora lontano il giorno del Ringraziamento gli automobilisti lo evitano con manovre non sempre eleganti. Forse nessuno di loro pensa ai Padri Pellegrini, ma il forestiero che arriva da lontano per cercare le tracce di un’antica comunità religiosa fondata da esuli inglesi in fuga dalle persecuzioni prende l’incontro ravvicinato col pennuto come un segnale. All’arrivo all’Hancock Shaker Village in Massachusetts il primo elemento architettonico è un enorme fienile circolare con cupola. Forse il tacchino è tornato qui. Comprensibile scelta perché questo villaggio di case in legno bianco e mattoni rossi, prati verdi, giganteschi alberi e un colorato orto sembra la quintessenza dell’estetica, anche stereotipata, dell’America rurale. Ma bastano un documentario e un’audioguida per capire che tra gli Shaker e gli stereotipi non c’è relazione alcuna. Il gruppo religioso United Society of Believers in Christ’s Second Appearing sbarca negli Stati Uniti nel 1774 guidato da una donna, Ann Lee, operaia semianalfabeta di Manchester in fuga da miseria e persecuzioni. Un’operaia semianalfabeta che aveva fuso le pratiche pacifiste dei quaccheri e la fede metodista, aggiungendo forme estatiche di preghiera con canti e balli dai quali la definizione derisoria di Shaking Quakers poi abbreviata in Shakers (da shake, agitare). Ann Lee era talmente carismatica che nei dieci anni americani prima di morire aveva già dato vita a numerose comunità in tutto il New England.
Quando nel 1861 il presidente Abramo Lincoln li riconobbe come obiettori di coscienza, all’inizio della Guerra Civile, i fedeli raggiunsero il numero record di circa 20mila persone che si riunivano in comunità paritarie, senza discriminazioni tra uomini e donne, pacifiche, e molto votate all’intraprendenza imprenditoriale e aperte alle evoluzioni tecnologiche. Niente a che vedere con gli Amish, per intenderci. Certo gli abiti e i cappelli erano simili, ma gli Shaker pensavano costantemente a migliorare la qualità della vita loro e degli altri. Da qui la semplice genialità nella progettazione e realizzazione di mobili (le suddette sedie con lo schienale leggermente inclinato per renderle più comode), di telai, di produzioni agricole razionali. Per primi hanno pensato a impacchettare in piccoli sacchetti di carta i semi per i giardini, ottimi da vendere anche al dettaglio. Si sono inventati perfino le scope piatte, quelle di saggina che ancora oggi si usano in tutto il mondo. Per un periodo le loro caratteristiche mantelle lunghe con cappuccio sono diventate di moda tanto che la moglie del presidente Grover Cleveland ne indossò una alla cerimonia di rielezione nel 1893. Mappa alla mano tra gli Shaker di Hancock e quelli di Harvard (non l’università di Boston, ma la comunità, sempre in Massachusetts) ci sono circa due ore di macchina. Diventano un po’ di più facendo una deviazione verso North Adams dove si trova il MassMoca, il museo d’arte contemporanea più grande di tutto il Nordest americano: 26 edifici ex industriali allestiti con mostre temporanee e installazioni permanenti di grandissime dimensioni di Sol LeWitt e Anselm Kiefer. Un altro genere di shake.
Per diluire e assorbire tanta energia contemporanea guidare verso Fruitland, ovvero appunto l’Harvard Shaker Village, è l’ideale. Anche qui si ritrovano tutti gli elementi caratteristici della comunità: dal design all’operosità, dalle preghiere ai balli. Non che ci sia un momento di preghiera in corso, anzi, di Shaker in giro non se ne vedono. Non qui almeno. Dopo aver caricato il bagagliaio dell’auto a noleggio di un paio di chili di ottime mele della zona (seguire le tracce di Johnny Appleseed, ambientalista ante litteram che viaggiò per gli Stati Uniti a inizio Ottocento seminando meli, sarebbe un’altra ottima idea) la caccia agli eredi di Ann Lee prosegue verso nord e sconfina verso il New Hampshire. Il paesaggio rimane bucolico ma si riempie d’acqua. In particolare di laghi. Tanti laghi balneabili immersi nei boschi e poi colline sulle quali svettano casette bianche di legno come quelle del Canterbury Shaker Village. Il mondo è corso in avanti mentre qui tutto è rimasto com’era a fine Ottocento. Da qui la Storia non è passata come se si fosse dimenticata di questa piccola landa di perfezione per lasciarla a memento per noi vittime della frenesia del terzo millennio. L’estasi che si raggiunge grazie alla tranquillità del luogo se non è mistica poco ci manca. Si fa fatica a venir via, ma nonostante le insistenze non è consentito dormire nel villaggio. Nemmeno appoggiare la testa un attimo su uno dei banchi della scuola che, per anni, ha ospitato decine di studenti, molti orfani, accolti a braccia aperte dagli Shaker.
In realtà per sperimentare il brivido di dormire in un letto Shaker basta proseguire verso Enfield dove si trova un altro villaggio in parte riadattato per ospitare i viaggiatori. Anche qui la quiete regna sovrana e l’arredamento essenziale invita a una sorta di riconciliazione con se stessi, senza troppi fronzoli. E, in caso di astinenza da rumori, non troppo distante si trova la città universitaria di Hanover che ospita il prestigioso college Ivy League di Dartmouth dove migliaia di studenti in divisa verde occupano caoticamente il grande giardino centrale, la splendida biblioteca decorata da enormi dipinti di Manuel Orozco, e tutti i bar e i diner. Dopo una piccola deviazione verso Woodstock, in Vermont, per acquistare i celeberrimi formaggi locali e lo sciroppo d’acero a chilometro zero, la caccia agli Shaker prosegue verso il Maine. In tutti i villaggi finora visitati di fedeli di Ann Lee non se ne sono visti, ma pare che tre si trovino a Sabbathday Lake, una piccola comunità mantenuta viva soprattutto da un nugolo di amici degli Shaker che ci conducono nella visita degli edifici e che tengono aperti anche due empori con i prodotti realizzati in loco. Da qualche parte ci sono anche loro, Brother Arnold, che ha deciso di entrare nella comunità nel 1978, Sister Frances, a Sabbathday Lake fin dall’infanzia, e Sister June, diventata Shaker all’inizio degli anni Ottanta. Gli ultimi tre rimasti in attesa di nuove affiliazioni e, considerando che vanno dai 60 ai 90, anni il rischio è che siano davvero gli ultimi. «And when we find ourselves in the place just right / it will be in the valley of love and delight (e quando ci troviamo nel posto giusto / sarà nella valle dell’amore e del piacere)» recita un inno Shaker e sembra scritto per loro, e anche per noi forestieri rapiti dall’emozione della quiete. Ma perché una società più mistica che religiosa, pacifista, non discriminatoria, accogliente e imprenditorialmente fiorente rischia di sparire? Perché Ann Lee, dopo aver perso quattro figli, impose a tutti i suoi discepoli voto di castità condannando la sua creatura più riuscita a morire anch’essa. Quello che di sicuro non morirà è lo stile Shaker e la genialità della sua semplice bellezza.