Il viaggiatore. Una moneta d’oro

"Mi ha salvato la pelle in diverse occasioni, come quella volta in Libano durante la guerra... quando andai a Baalbek"

 Il mio amico Valentino Zeichen, grande poeta, diceva sempre che Cristoforo Colombo era stato deluso nel trovare poco oro nelle Americhe almeno all’inizio e aveva proiettato la sua delusione nella merce più a buon mercato che si trovava in loco: la cioccolata, rivestendo i cioccolatini con la carta argentata o dorata.
L’oro ha avuto un fascino particolare per gli umani che è sempre andato al di là del suo valore intrinseco. Quando giravo il mondo al seguito di guerre e mi trovavo spesso in luoghi dove non funzionavano né contanti né altri mezzi di pagamento, avere con me un pezzo d’oro significava possedere un talismano che ti apriva la porta della caverna di Ali Babà e dei quaranta ladroni. Questo talismano pesava 37,5 grammi, lo potevi infilare nel taschino dei pantaloni e funzionava come un «Sesamo» che apre le porte. Era una moneta da 50 pesos messicani, forse il pezzo d’oro più grosso mai coniato: all’epoca si comprava in Italia per 700mila lire, adesso ha un valore di 1.300/1.400 euro.
Mi sono trovato in situazioni in cui senza quel pezzo d’oro non avrei saputo come cavarmela. Anni fa a Beirut arrivò la notizia che Hezbollah, organizzazione paramilitare libanese divenuta un partito politico di ispirazione sciita che all’epoca (da sette anni) occupava Baalbek (nella foto, gli scavi archeologici) e la valle della Beqaa, aveva aperto la zona. La notizia era interessante e andava seguita.
Però quando cercai un tassista che mi accompagnasse in quel viaggio, non trovai nessuno disposto a farlo.
Le imprese terroristiche degli hezbollah erano troppo recenti perché ci si potesse fidare della loro parola. Le offerte che feci, anche se molto generose, furono tutte rifiutate. A un certo punto, stanco delle trattative, mi esibìi con il vecchio numero della moneta d’oro, sempre riuscito. Alla vista dei 50 pesos, due o tre tassisti si fecero subito avanti e uno mi disse che per avere quella moneta mi avrebbe portato fino all’inferno. Partimmo subito con altri giornalisti, salendo su per le montagne e passando per un famoso luogo di ristoro, perso tra le cime completamente spoglie, una volta ricoperte da foreste di immensi cedri del Libano.
Arrivati in prossimità di Baalbek ci venne incontro un gruppo di scalmanati che urlavano e piangevano allo stesso tempo e dicevano: «Sia lode ad Allah! Sia lode ad Allah!». Erano sette anni che non vedevano un cliente, e per loro quella era una giornata memorabile.
I loro negozi erano a nostra disposizione: potevamo entrare e prendere quello che volevamo senza pagare. Presi due o tre oggetti per i quali poi pagai un prezzo abbastanza alto. Tornato da Beirut li portai a un amico che ne capiva più di me, lui li esaminò attentamente e poi disse ridendo: «Sono tutti falsi e anche grossolani!». Anche dopo sette anni di astinenza a quei mercanti non era passata la voglia di rifilare i bidoni ai turisti.