di Isabella Brega
Abbiamo attraversato l’Oceano Atlantico con la Queen Mary 2 della Cunard, l’unica compagnia che effettua ancora un servizio transatlantico di linea tra Europa e Usa
Spesso le foto storiche in bianco e nero ci lasciano un senso di nostalgia, di qualcosa di irrimediabilmente perduto, di un mondo fatto di eleganza, rispetto per sé e per gli altri, garbo, tempi lenti e buone maniere che non appartengono più alla nostra frenetica e appiattita quotidianità. Eppure quando si vive una crociera atlantica con la Queen Mary 2 si scopre che tutto è ancora lì. Tutto è cambiato ma a bordo tutto è rimasto come prima, con lo stesso sapore e gli stessi riti. Perché questa non è una semplice crociera, ma è La Crociera. E la nave non è solo un mezzo ma è di per se stessa soggetto e motivazione. Non una Disneyland galleggiante, ma una regina del mare, dalla linea, affidabilità e stile inconfondibili.
Un viaggio di una settimana, una vera e propria esperienza di un pezzo di storia della navigazione: l’epopea dei transatlantici. Un’epoca gloriosa legata a Samuel Cunard, che nel 1838 istituì il primo servizio regolare di posta e passeggeri attraverso l’Atlantico, e ai suoi capitani, famosi per capacità, reputazione e puntualità: «Lavorare per Cunard è come lavorare per la Banca d’Inghilterra» si diceva. Se la Queen Mary era nata nel 1936 all’insegna della velocità, conquistando ben due volte il prestigioso Nastro Azzurro con una traversata di quattro giorni, 12 ore e 20 minuti, la sua erede invece è ora espressione di un turismo slow. Evoluzione e non rivoluzione rispetto all’illustre antenata, Queen Mary 2 non ha bisogno di stupire. Non si impone all’attenzione dei crocieristi con effetti speciali mirabolanti, ma affronta il mare solida e sicura. E tu con lei.
Ne è passata di acqua sotto ai ponti da quando i transatlantici attraversavano l’Oceano trasportando posta, merci, uomini. Il bel mondo, nobili e magnati, ma anche stelle del cinema e dello sport, accanto a poveri emigranti. Come quei 7,6 milioni di italiani che tra il 1876 e la Prima Guerra Mondiale lasciarono miseria, casa e affetti per approdare all’incertezza di Ellis Island, l’isola-confino di New York, chiusa solo nel 1954, che poteva rappresentare la salvezza o la fine di tutti i sogni. Un viaggio che per la terza classe ai primi del Novecento costava 150-190 lire, l’equivalente di 100 ore di lavoro di un bracciante. Ci voleva più coraggio a partire che a restare: 30-40 giorni di navigazione in spazi angusti, con poca igiene, cibo, luce e aria.
Le navi, sempre più grandi e lussuose, si ispiravano ai sontuosi alberghi della terraferma. Un gigantismo che mirava ad assicurare ai passeggeri di prima classe un’offerta di servizi sempre maggiore e spazi interni sempre più grandi, a scapito della sicurezza. Secondo le norme dei primi del Novecento infatti era sufficiente che le scialuppe di salvataggio fossero la metà del numero degli imbarcati. Solo nel 1911 lo shock per l’affondamento del Titanic della White Star, impegnato nella consueta gara di velocità che lo portò a impattare contro l’iceberg che ne squarciò lo scafo in più punti, rendendo vani i compartimenti stagni di cui poteva vantarsi, cambiò le cose. Su 2.228 passeggeri i sopravvissuti furono 705. Da qui l’introduzione di nuove norme di sicurezza, l’aumento delle scialuppe e dei compartimenti stagni e la creazione di nuove rotte, più a Sud, fra Europa e Americhe.
Negli ultimi anni quello crocieristico è diventato uno dei pochi segmenti turistici con una crescita esponenziale, passando da 9,73 milioni di passeggeri del 2000 ai 18,80 milioni del 2010, ai 25,3 previsti per il 2017, mentre l’età media dei passeggeri è scesa dai 65 anni del 1995 ai 45 anni del 2006 (di cui solo il 25 per cento pensionati). Un successo clamoroso, che vede l’Italia primo Paese in Europa per numero di turisti imbarcati, con circa due milioni di crocieristi, tanto che ora sono gli hotel a ispirarsi al lusso delle navi. Come tutte le ammiraglie Cunard, anche la Queen Mary 2, in parte costruita per questioni di prestigio nazionale con i fondi del Governo inglese, avrebbe dovuto avere un nome terminante in ia, in questo caso Vittoria. Quando però i proprietari della compagnia si recarono da re Giorgio V per informarlo della dedica della nave «alla più grande regina d’Inghilterra», il re rispose «mia moglie ne sarà deliziata». Questione chiusa. E Queen Mary fu. Rinnovata nel 2016, la Queen Mary 2, che compie regolarmente la tratta Southampton-New York e viceversa, vanta un pescaggio maggiore, ben quattro stabilizzatori e il 40 per cento in più di acciaio nello scafo. È lunga come tre campi da calcio e offre il meglio in termini di comfort e servizi, oltre a un equipaggio attento e discreto di ben 48 nazionalità diverse. Due sono i momenti clou di ogni viaggio: quando si lascia la terra e quando la si ritrova. In mezzo un’ubriacatura di mare, amico o dispettoso, ma sempre complice. E il lusso di tanto tempo a disposizione. Tempo non da riempire ma da svuotare della quotidianità e riempire di nuove esperienze e nuovi significati. Tempo per sedersi e ascoltare le onde, il vento, se stessi e liberare la mente.
Un viaggio nello spazio, un viaggio interiore. La riscoperta del valore della solitudine e del silenzio, la presenza rassicurante di abitudini e riti diversi a scandire le ore e il movimento del sole: le sedie di legno allineate a presidiare gli spazi lungo i parapetti, i giochi di ieri e di oggi sui ponti, le passeggiate pigre seguendo lo scodinzolare festoso di uno dei 12 fortunati cani e gatti che possono accompagnare i loro proprietari nel viaggio, con tanto di dogsitter, cucce, cucina riservata e addirittura un lampione autenticamente inglese per i bisognini. E ancora, la biblioteca con vista sull’oceano, le piscine e la spa in cui rilassarsi, la palestra per tenersi in forma, le lezioni di drammaturgia e ballo, la Wine Academy e la galleria d’arte per nutrire l’animo e la mente, mentre un esercito di chef e camerieri e 23 fra ristoranti e bar, fra cui cinque di specialità, trasformano il viaggio anche in un’esperienza culinaria. Le cene “formali” in cui si ritrova il piacere delle toilette da sera, il gusto di essere eleganti per sé e per gli altri, le feste danzanti, gli spettacoli serali, mai sguaiati ma non per questo meno scintillanti, e persino un sorprendente planetario per scoprire le meraviglie dell’universo. Insieme al ricevimento del Comandante, il rito più amato e praticato è però quello del tea time, da celebrare puntualmente alle 15.30 in un tripudio di arpiste e violiniste, camerieri in guanti bianchi, teiere e vassoi d’argento colmi di sandwich e scone. Diverse sono le motivazioni che spingono a questa crociera atlantica, da quella di vivere un’esperienza alla possibilità di portare oltreoceano i propri amici a quattro zampe senza stressarli imbarcandoli nella stiva di un aereo. Non ultima, nonostante le statistiche dicano che volare è 29 volte più sicuro che andare in auto e 8 volte più che camminare per la strada, proprio la paura di prendere l’aereo da parte di molti passeggeri. Nonostante sia un’immagine già vista, nessuno è preparato all’emozione di trovarsi alle cinque di mattina sotto il ponte da Verrazzano illuminato come un albero di Natale, seguita da una New York quieta e silenziosa alle prime luci rosate del mattino, la Statua della Libertà brillante come una lucciola. La stessa inesplicabile emozione che stringe lo stomaco e il silenzio pensieroso che cala nei pressi della costa americana quando l’altoparlante di bordo annuncia il passaggio sopra il relitto del Titanic, adagiato a 3.800 metri di profondità. Per rispetto, in quest’area nessun rifiuto viene gettato in mare. Ma nella scia della nave ondeggia dolcemente una rosa rossa.