Tel Aviv non dorme mai

Antonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino SavojardoAntonino Savojardo

Moderna, vivace, laica e innovativa. “La città start-up” stupisce e coinvolge a ogni ora. Ma per ritrovare la quiete c’è il deserto vicino

Guardando i giovani che si fanno ritoccare barba e baffi al Barber Shop Jamili, in via Ben Jehuda, in una tranquilla mattina di sole, ci vuole poco a immaginare una versione hipster di Theodor Herzl, cosa che peraltro hanno fatto diversi artisti contemporanei. Herzl, giornalista e scrittore viennese, non è stato solo il pioniere del sionismo, colui che ha scosso il popolo ebraico dall’attesa passiva di un Messia che lo riportasse in Terra Santa, ma è stato anche il fondatore “letterario” di Tel Aviv. L’unica città al mondo, credo, nata dal titolo di un romanzo. Herzl si mette in testa di scrivere un libro che abbia lo stesso impatto della Capanna dello zio Tom, trovandosi in un momento di stallo politico. Gli ambiti sono distanti ma non troppo diversi: il romanzo di Harriet Beecher Stowe riguarda il tema della schiavitù dei neri in America; Altneuland La terra antico-nuova, è un romanzo utopistico dove si immagina uno stato moderno e non confessionale in cui gli ebrei vivono liberi e prosperi. Esce nel 1902, non ottiene successo, ma viene tradotto in ebraico come Tel Aviv. Il titolo verrà usato come nome del nucleo urbano che si sviluppa vicino al porto di Giaffa poco dopo la morte di Herzl. A Tel Aviv, il 14 maggio 1948, Ben Gurion proclama lo Stato di Israele, come Herzl aveva profetizzato al primo congresso sionista a Basilea (1897): «forse nel giro di cinque anni e sicuramente di cinquanta» gli ebrei avranno il loro Stato.

Tel Aviv è la città che più rispecchia l’utopia sionista di Herzl, la città più razionale e progressista di Israele, la più laica e modernista. Se Israele è una “Start-up nation”, come hanno scritto Dan Senor e Saul Singer, un Paese start-up, ma anche il Paese delle start-up, Tel Aviv, sorta dal nulla, sull’onda delle migrazioni dall’Europa, è la start-up nella start-up: «Se lo vuoi, non è solo una fantasia», afferma Herzl all’inizio del libro. La città ospita un’area di nuove imprese tecnologiche molto competitiva e avanzata (2.800, su un totale di 5.000 in Israele), ed è la terza economia urbana del Medio Oriente. Ha una start-up ogni 290 abitanti. L’impronta modernista di Herzl si sente e soprattutto si vede passeggiando per le vie squadrate e lineari dove si trova la maggior concentrazione di palazzi Bauhaus, lo stile razionalista nato in Germania e portato qui dagli architetti ebrei in fuga dal nazismo. La “città bianca”, l’area del centro storico Bauhaus, si snoda tra vie con nomi leggendari come Dizengoff, Rothschild e Montefiore, ed è stata inserita nel patrimonio mondiale dell’Unesco nel 2003. Di fronte alla principale sinagoga della città, la folla di giovani si riunisce di giorno e ancora di più nottetempo al Port Sa’id, in Har Sinai. Grazie al clima mediterraneo si sta sempre seduti fuori. All’interno si passa per dare un’occhiata ai vinili. Il cibo è semplice e servito in modo spartano, da vero street food, e le materie prime sono di grande qualità: un piacere vederle per gli occhi ancora prima che per la bocca. Cucina mediorientale. Chef Eyal Shani. Di notte la “città bianca” si scurisce ma non perde vitalità e si può passeggiare liberamente senza traffico. Le vie del centro sono sempre affollate e sicure. I locali notturni sono pieni di gente e se ne trovano alcuni di molto particolari. Il Moonshine, sulla Lilienblum, si rifà al proibizionismo americano, ma in modo più grandioso di un comune speakeasy. Gli speakeasy erano i locali dove si entrava con una parola segreta per bere, mentre i moonshine erano locali dove si distillava anche. Il Moonshine di Tel Aviv riproduce l’atmosfera dei locali del proibizionismo e produce alcol e anche qualche varietà di birra. Ottimi i cocktail, musica e arredamento vintage.

Lo stile della notte della capitale israeliana - Gerusalemme non è mai stata riconosciuta come capitale e qui si trovano le ambasciate straniere - è rilassato, quasi californiano, alternativo, ma con una forte nota mediorientale. Camminando in cerca di un chioschetto dove soddisfare l’appetito all’alba mi capita di assistere a questa scena: un furgone con musica a palla percorre le zone della movida, ogni tanto si ferma e scendono dei giovani vestiti da ebrei ortodossi e ballano per strada o sul tetto e distribuiscono volantini in russo. Sono i discendenti dei hassidim, gli ebrei dell’impero zarista che consideravano il ballo e il canto una forma di misticismo. Se nella sequenza alcolica si deve procedere per gradi e mai arretrare il Bordel Bar è l’ultimo locale dove entrare in una notte a Tel Aviv. Non è molto grande. Si sviluppa intorno a un grande bancone dove ragazzi e ragazze non molto vestiti, ma sempre nei limiti di una scenografia genere burlesque-demoniaco, si dondolano su altalene; i barman soffiano il fuoco incendiando i cocktail. L’atmosfera è indiavolata, ma sempre con uno spirito più parodistico e divertente che realmente trasgressivo. Dopo qualche giorno di dissipazione a Tel Aviv per depurare gli occhi oltre che il fisico ci si può arenare nel paesaggio essenziale del deserto del Negev. La parte più spettacolare è quella di Makhtesh Ramon. Il Makhtesh è un cratere, un canyon, per usare una categoria geologica più nota, formato dall’erosione. Il più grande è il Ramon e ha una circonferenza di quaranta chilometri da percorrere con una Land Rover - in bicicletta o a cavallo -, facendo anche il bagno nelle pozze d’acqua in fondo al wadi, la valle. È anche possibile calarsi dal bordo con il rappel, sistema di discesa controllata inventato da un alpinista di Chamonix, Jean-Charlet Straton. La cosa è molto più sicura di quello che sembra sotto gli occhi di una guida alpinistica come Alen Gafni. Qui passava l’antica via dell’incenso dei Nabatei sotto la dominazione romana da cui il toponimo ramon. Al visitor center del Makhtesh Ramon c’è una sala proiezioni dove viene trasmesso un breve ma coinvolgente film su Ilan Ramon, primo israeliano nello spazio. Pilota di grande abilità, Ramon ha partecipato a diverse missioni dell’aeronautica militare israeliana, prima di venire scelto per il volo Nasa. È morto durante di rientro sullo Shuttle, nell’incidente che molti ricorderanno del 2003. Alla fine del video si apre lo schermo e appare il makhtesh in tutta la sua maestosità.

Anche gli alberghi di lusso, come il Beresheet, qui hanno una essenzialità che si intona al paesaggio: pareti squadrate in pietra sull’orlo del cratere... Chi vuole qualcosa di più spartano può optare per un agriturismo come Carmei Avdat (costruito nel 1998 con suggestioni nabatee), dove si fa anche il vino e ci sono i cavalli. Tra tutti i vini che si possono degustare quello da dessert del deserto è uno dei migliori. Israele, al di là del divertimento notturno o degli hipster, è un paese molto ricco dal punto di vista umano. Entri in un negozio di vestiti modaioli, a Tel Aviv e conosci il fashion designer Maurizio Pollacsek, di origine rumena proveniente dal Brasile. Anche il driver che ci porta in giro, Zvika, è di origine rumena, viene da Černivci, oggi Ucraina, da una famiglia molto religiosa di rabbini che ha perso la fede dopo Auschwitz. Uscendo dal visitor center ti imbatti in Jakov Unteršlachen, originario di Mosca, che suona musica russa con la fisarmonica seduto in un carretto sormontato da una grande bandiera israeliana che ondeggia nel vento coprendo la voce alla mattina quando nel deserto è ancora freddo.

Foto di Antonino Savojardo