di Marta Calcagno Baldini | Fotografi di Sandra Zagolin
Al confine con l’Ucraina, tra i Carpazi, il Maramureș è la regione più tradizionale del Paese. La vita nei secoli è cambiata meno che in qualunque altra parte del Continente. Ma ora si apre al turismo lento.
Quando tornano a casa gli emigrati hanno fretta. Ogni momento perso per strada è un istante strappato alla famiglia. Così quando si mettono in macchina i rumeni che tornano nel Maramureș, al confine con l’Ucraina, guidano senza sosta per un giorno intero. Prima la frontiera a Trieste, poi tutta la Slovenia d’un fiato (e meno male che è piccina), l’Ungheria passando per Budapest e poi giù, verso i Carpazi fino al confine quasi sulla porta di casa, tra i verdi campi dell’angolo più “antico”e remoto della Romania. Ai viaggiatori italiani che vogliono raggiungere il Maramureș in auto consigliamo invece di prendersela comoda e fermarsi lungo la strada, magari lasciandosi cullare dal Danubio, perché in vacanza il viaggio conta quanto la destinazione.
Anche se in questo caso la destinazione è talmente insolita, a suo modo diversa e attraente, che viene voglia di arrivare veloci e poi prendersela comoda una volta nel Maramureș, cercando di prendere gli stessi ritmi di vita – lenti, antichi – dei 500mila abitanti di questo distretto rumeno al confine con l’Ucraina. Basta entrare in Romania, attraversando il confine a Petea, a soli 10 chilometri da Satu Mare, in Transilvania, per capire che si è arrivati in una dimensione diversa. Il paesaggio cambia e si fa presto a intuire la necessità di rivedere ogni estate questa terra da parte di chi vi è nato. O la voglia di scoprirlo per la prima volta, magari dopo aver letto quel capolavoro della letteratura di viaggio che è Lungo la via incantata, dell’inglese William Blacker, capitato quasi per caso in Romania dopo la caduta del muro di Berlino e rimasto letteralmente stregato dal Paese. «Il Maramureș è un vero stato della mente, e pur essendo nel cuore dell’Europa e in un paese, la Romania, in grande trasformazione sembra appartenere a un altro mondo fermo nel tempo». E non è un modo di dire.
Benvenuti nel paese dei pagliai: lungo stradine, spesso neppure asfaltate si incontrano famiglie intere, ragazzini compresi, schierate in fila che mietono con falcetti a mano il grano e lo accumulano in covoni. Poi una volta trebbiato lo trasportano nelle aie delle fattorie con i tetti di paglia e lo dispongono a cono intorno a un lungo palo piantato a terra. Una scena che può risultare folcloristica, quasi presa da un film d’epoca neorealista ma che solo cinquant’anni fa era ancora comune anche in parte nelle nostre campagne, prima dell’arrivo delle grandi macchine compattatrici di balle cilindriche che qui ancora non si vedono in giro. Nel Maramureș il trasporto dei prodotti della terra viene ancora effettuato con grandi carri dai bordi colorati e dipinti a mano, trainati da robusti cavalli. Se ne incontrano tanti sulle strade bianche e anche sulle quelle asfaltate di questa terra che, isolata dalla pur confinante Transilvania da monti alti e boscosi, è rimasta – forse proprio grazie alla sua arretratezza di mezzi – in qualche modo straordinariamente intatta, trascurata dalle smanie di industrializzazione forzata che avevano coinvolto gran parte della Romania durante gli anni del regime di Ceausescu.
Benvenuti dunque in un’Europa a parte, in una terra di persone affabili, ospitali e curiose nei confronti dei visitatori; di villaggi e di casette, tutte a un piano con il tetto spiovente, costruite in legno e tinteggiate con colori sgargianti. Guidando si incontrano piccoli borghi con case costruite su due file parallele lungo l’unica strada sulla quale si affacciano giardinetti racchiusi da bassi cancelli di legno lavorati con straordinaria sapienza. Sui tetti si vedono gli ingegnosi nidi delle cicogne e ogni tanto spunta il campanile di una chiesetta quasi mai in pietra. Anche gli edifici religiosi sono stati costruiti solo con il legno di quercia e di abete delle foreste circostanti. L’origine risale alla presenza dei nobili cattolici ungheresi che nel XII secolo controllavano il Paese e proibirono ai rumeni ortodossi di costruire chiese in pietra. Oggi, grazie a questa loro originalità, le chiese rurali sono parte del Patrimonio mondiale dell’umanità Unesco.
Tra paesaggi in cui la natura ha sempre un ruolo predominante, campi coltivati, boschi illuminati dal sole, il Maramureș – così come la vicina Bucovina meridionale – conquista chiunque dal primo momento. Unicità e autenticità sono le parole che vengono in mente per descriverlo. La prima sensazione è di esser stati catapultati in un altro tempo.
A ben vedere questa «dimensione bucolica» è anche il risultato di una scelta e non più sintomo di arretratezza: si dice che in Maramureș si respiri ancora l’atmosfera e lo stile di vita dei secoli passati, il che però è vero in parte. Le strutture di accoglienza e ospitalità turistica, infatti, cominciano a diffondersi e il loro livello è abbastanza buono sia pur spartano. La vita sembra trascorrere in equilibrio tra progresso e tradizione. I campi sono ancora arati con l’aratro trainato da cavalli o da buoi, ma al tempo stesso in bar, hotel e ristoranti non manca la connessione wi-fi. È forse più una conseguenza del fatto che gli abitanti sono gelosi e attenti conservatori delle proprie tradizioni e della cultura rurale da cui provengono.
E che in questa parte della Romania le tradizioni culturali contadine siano un valore fondamentale da trasmettere e conservare è dimostrato anche da due strutture museali dedicate ai costumi locali. In entrambe si parla di agricoltura in modo moderno, innovativo e attraente per il visitatore. La prima è a Baia Mare (ma il mare non c’entra, mare in rumeno vuol dire grande), ed è un percorso nella storia delle tradizioni popolari rumene. Si chiama Museo del villaggio ed è una parte esterna del Museo etnografico (in Str. Dealul Florilor 1), poco fuori dalla città verso Sighetu Marmatiei. Si tratta di un’affascinante ricostruzione di un villaggio rumeno precedente il XX secolo. Si cammina tra le abitazioni di legno, la chiesa, le fattorie, la scuola, circondati da figuranti in costume (ma in questa regione i rumeni indossano davvero gli abiti tradizionali in diverse occasioni). L’altro museo si trova nella vicina Sighetu Marmatiei (in Plata Libertatii 15) è il Museo del Maramureș ed espone stoffe, abiti popolari oltre a tappeti e ceramiche.
Sempre a Sighetu è possibile ripercorrere un periodo terribile della storia del Paese: nel centro della città (in Str Corneliu Coposu) si trova infatti la prigione speciale del periodo comunista: da visitare perché costituisce una straordinaria testimonianza del terrore che si diffuse nel Paese a partire dal 1947, quando la Romania divenne una Repubblica Socialista. In migliaia vennero rinchiusi, torturati e uccisi. Da qui tanti vennero spediti in campi di lavoro: bastava solo essere sospettati di essere oppositori del regime e il destino era segnato. Tra documenti storici, filmati e ricostruzioni, si può ripercorrere un excursus sulla Romania socialista.Dodici chilometri a nordovest di Sighetu, quasi al confine con l’Ucraina, si ritorna a contatto con il costume tradizionale. Si trova qui, nel villaggio di Sapanta, un insolito “cimitero allegro”: fantasiosa reinterpretazione della tradizione e dell’idea locale di necropoli. La storia di questo curioso camposanto adiacente alla chiesa Vecchia è frutto del lavoro artistico di Ioan Stan Patras, scultore di oggetti in legno attivo intorno a Sapanta. Fu lui a dipingere, tra il 1935 e il 1977, le “bio-croci” che contrassegnano le tombe nel piccolo cimitero. Sullo sfondo di ogni lapide di legno, rigorosamente blu, Patras ha inciso e dipinto un ritratto del defunto con una sua breve biografia illustrata. Dall’oste al contadino, al pastore, alla maestra: camminando per i sentieri si possono ricostruire le vite degli abitanti della città. Tra i ritratti, le parole, le scenette che decorano ogni tomba e i colori sgargianti delle croci di legno si capisce perché al cimitero si accompagna l’insolito aggettivo di “allegro”. Dopo la morte di Patras la tradizione prosegue grazie a un artigiano che da giovane è stato suo apprendista.
Ancora a poche decine di chilometri da Sighetu lungo la Valle di Iza e le sue dolci colline, ecco Barsana, dove sorge uno dei monasteri più imponenti del Paese. Il monastero esiste dal 1391, ma è stato chiuso per secoli e rimane solo una pregevole chiesa in legno del 1791. A partire dal 1993 è stato costruito il monastero nuovo, oggi importante luogo di pellegrinaggio per gli ortodossi rumeni e non solo. Il complesso monastico contiene una delle più grandi chiese di legno d’Europa ed è costruito secondo lo stile tradizionale. Intorno la cucina, i depositi, le stanze delle monache, la casa degli artigiani: un piccolo villaggio immerso nella natura e nella spiritualità. L’ultima tappa di un viaggio nel Maramureș è la risalita in treno lungo la valle del fiume Vișeu. Qui si trova una delle poche ferrovie forestali private ancora attive in Europa. C’è la possibilità di viaggiare a ritroso nel tempo su un antico trenino trainato da una locomotiva a vapore alimentata a legna. Sulla ferrovia a scartamento ridotto i vagoni procedono lentamente lungo la stretta e boscosa valle: al passaggio le poche persone che vivono nei villaggi che attraversiamo escono a salutare chi ripercorre il cammino dei tagliaboschi per trasportare il legname in pianura. Si ritorna in serata e negli occhi resta il ricordo di paesaggi di una bellezza straordinaria e l’immagine di una regione, il Maramureș, in cui le persone amano la loro terra e riescono a valorizzarla in modo moderno preservandone l’autenticità.