Usa, San Francisco Forever

Cinquant’anni dopo la festa degli hippy è ancora all’avanguardia: dalla Summer of Love alla Silicon Valley, come è cambiata e dove va la capitale culturale della California

«Un figlio dei fiori non pensa al domani» cantava Augusto Daolio dei Nomadi sui palchi dei primi festival. Chissà che cosa penseranno di quel domani diventato oggi i milioni di ex adolescenti che in questo periodo si recano in visita devozionale alla baia californiana di San Francisco. Esattamente 50 anni, fa nei mesi estivi del 1967, migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze, attratti come da un pifferaio magico lasciarono le case e le fattorie sperdute nelle praterie e chi in minibus Volkswagen, chi in autostop, si diressero tutti nella stessa direzione, il West, accompagnati dalla colonna sonora cantata da Scott McKenzie, un vero e proprio invito alla festa e che indicava persino il dress code: «If you’re going to San Francisco be sure to wear some flowers in your hair». Insomma non dimenticare di infilare dei fiori nei capelli (che allora si portavano lunghi).
Fu il trionfo del flower power, gli ultimi spettacolari botti di una girandola iniziata un mese prima con il primo (e unico) festival pop della vicina Monterey, dove esordirono band e cantanti destinati a brillanti successi e a brevi vite spezzate dalla droga. Fu la rottura della leccata patina dell’american way of life, illustrata da Norman Rockwell sulle copertine del Saturday Evening Post, fu l’affermarsi sulla scena della controcultura, letteraria, musicale e politica (contro la guerra del Vietnam) già annunciata dagli apostoli della Beat Generation. Tutto questo ebbe come epicentro il Golden Gate Park dove si trovarono a sbocciare tutti insieme nella Summer of Love, l’estate dell’amore e fu uno di quei momenti della storia in cui all’improvviso tutto accade e poi niente sarà più come prima.
Ed è allora proprio da questo rettangolo verde di eucalipti, querce e palmizi, imitazione in miniatura del Central Park di New York, che sbarchiamo anche noi, dopo un lungo ma rilassante volo e una sosta a Zurigo nella ipermoderna lounge della compagnia aerea Swiss, per vedere che cosa resta e che cosa ha lasciato in eredità il passaggio di quell’onda anomala di mezzo secolo fa.

Quel parco che accolse, ospitò e rifocillò gratis grazie ai diggers, giovani anarchici e ai medici volontari, centinaia di autostoppisti e sbandati, spesso sotto l’effetto dell’Lsd, senza casa, senza cibo, senza medicine, oggi è una delle aree con le case più care d’America e quelle casette aggrappate alle mitiche colline di Frisco (set del film Bullit) una volta rifugio per i Grateful Dead, Janis Joplin, Country Joe (sua la canzone contro l’intervento in Vietnam I feel like I'm Fixin'to Die Rag ripresa poi a Woodstock nel 1969), Jerry Garcia. Oggi sono disputate al doppio della media nazionale dai giovani nerd della vicina Silicon Valley che ogni sera abbandonano i campus e le architetture hi-tech del deserto di Cupertino e si rifugiano in queste colorate dimore vittoriane vista oceano dove le cortecce dei tronchi degli alberi portano ancora incisi cuori e nomi dei protagonisti di allora (e dei fan di oggi) in pellegrinaggio guidato. Il Free Love tour, guidato da Wes, un ex hippy con tanto di chitarra al collo, ci porta da Panhandle Park (chiamato così per la forma di manico della padella rappresentata invece dal Golden Gate Park) su e giù per colline ripide e si conclude, casa dopo casa, canzone dopo canzone, negozio dopo negozio (compresa la Free Medical Clinic, pronto soccorso gratuito realizzato dal medico David Smith per contrastare gli effetti di trip allucinogeni), fino al mitico incrocio tra Ashbury e Haight, il punto zero di Yerba Buena (originale nome indiano di San Francisco) da cui venivano calcolate le distanze dal resto del mondo.
Non c’è tempo né voglia per la nostalgia: tutto lì intorno ricorda quegli anni ma alla maniera più banale: negozietti di t-shirt e pantaloni multicolor con giochi psichedelici, riproduzioni dei poster di Wes Wilson, pipe e chilum da fumo, bar vegani. Insomma un ciarpame di gadget che invade una scena urbana intatta e identica a quella ricostruita dopo il terremoto e successivo incendio della città nel 1908. Le villette a schiera di Alamo Square con vista panoramica sulla baia sono un’occasione per una sosta prima di inerpicarsi sulle tortuose curve del Buena Vista Park dove sono stati girati decine di film tra i tanti che hanno fatto la storia del cinema e di San Francisco (dal Falcone maltese alla Signora di Shanghai, da Il Laureato a Fuga da Alcatraz...). Il carcere per i criminali più famigerati d’America si staglia ancora in mezzo alla baia sulla sua roccia.

The rock è infatti il nome di questo minuscolo isolotto, un tempo avamposto militare contro ipotetiche invasioni nemiche, dagli anni Trenta ai Sessanta penitenziario, infine parco nazionale visitato da migliaia di persone ogni giorno attratte da un luogo simbolo della guerra al crimine e dalle celle di reclusi illustri come Al Capone e Birdman. Dentro la vita era dura: «Avete diritto a un letto, a dei pasti e a essere curati. Tutto il resto è un privilegio»; la fuga pressoché impossibile. Si registrò un solo caso: tre evasi, mai ritrovati, forse annegati nelle fredde e pericolose acque della baia.
Intorno ad Alcatraz decine di barche a vela spinte dal vento forte che spazza via nuvole e pioggia. Per ritrovare il filo rosso della Summer of Love tra nuovi quartieri trendy (Presidio, Mission), grattacieli d’autore, locali e musei ipermoderni (il Contemporary Jewish museum di Daniel Libeskind, il Museum of Modern Art di Mario Botta...) risaliamo dall’Embarcadero e dallo storico Ferry Building trasformato in un food store per edible excursions, assaggi di cibo e bevande bio, che qui chiamano organic, lungo il pendio lungo la Broadway fino all’incrocio con Columbus Avenue. In questo piccolo reticolo di strade si raccoglie da sempre la comunità degli intellettuali, scrittori, gente di cinema e i nostalgici dell’epoca pop. Cuore del quartiere di North Beach, ai confini con la formicolante Chinatown, si trova la libreria City Lights fondata nel 1953 da Lawrence Ferlinghetti (ultimo sopravvissuto del gruppo dei poeti beat, Gregory Corso, Jack Kerouac, Allen Ginsberg) e tuttora tempio letterario e museo vivente della cultura degli anni Cinquanta e Sessanta.
Il vicoletto di Kerouac Alley dove suonano gruppi musicali spontanei circondati da una fauna di attempati fricchettoni, capelli lunghi, camicie a fiori, scarpe colorate, jeans a zampa d’elefante, confina con il mitico caffè Vesuvio che per gli irrequieti frequentatori, fa il paio con il caffè Trieste della vicina Vallejo Street (due segni forti della storica presenza della comunità italiana), dove Francis Ford Coppola scrisse la sceneggiatura de Il Padrino. Tutti gli altri film il regista di origine lucane li scrisse sopra al suo Zoetrope caffè nella vicina Kearny Street in un bell’edificio di ferro che ricorda il Flatiron di New York. E sempre a due passi, al 540 di Broadway, il Beat Museum raccoglie libri e oggetti e la memorabilia legata ai padri degli hippy, i beat, compresa l’ingombrante Hudson del 1949 color melanzana identica a quella con cui Kerouac attraversò l’America con l’amico Neal Cassady scrivendo il suo capolavoro On The road.

A San Francisco le strade su e giù per le colline portano per chilometri lo stesso nome. Meglio utilizzare l’efficiente sistema di trasporto pubblico, spesso elettrico, i filobus e gli storici tram anteguerra acquistati in tutta l’America, in Messico e a Milano, portati a nuova vita, tirati a lucido e attrezzati per far salire i portatori di handicap. In tram arriviamo fino al de Young, fantasmagorico museo di arte contemporanea firmato dagli archistar Herzog e de Meuron per assistere agli scoppiettanti riti e ascoltare le musiche vintage che hanno aperto la mostra Summer of Love Experience, Art, Fashion and Rock & Roll (una delle tante tra eventi, appuntamenti e happening che ricordano quella magica estate). Si trova proprio di fronte all’avveniristica Accademia delle Scienze disegnata da Renzo Piano dove si può sperimentare anche un simulatore di terremoti (la città è sempre a rischio e si prepara anche così al temutissimo Big One).
Alla fine del tour l’impressione è che quel domani al quale gli hippy non pensavano è forse andato in tutt’altra direzione. Ma Frisco, come la chiamano, pare aver mantenuto creatività e capacità di produrre nuove idee (il pacifismo, il bio, l’ambientalismo, i movimenti gay), nuove mode, nuove tecnologie (Apple)... Nacque qui The Well (well.com), la prima comunità virtuale, ponte tra la controcultura di allora e la cybercultura di oggi. Insomma, con altre forme, abiti, colori, riti, stimoli e utopie, il ponte del Golden Gate continua a fare da trampolino di lancio, osservatorio e laboratorio della nuova frontiera e far rivivere lo stesso sogno, quel California dreamin', immortalato già dai The Mamas & the Papas nel 1966.

Fotografie di Silvestro Serra