di Benedetta Rutigliano | Fotografie di Vittorio Giannella
Giovanni, 22 anni, ha scelto di vivere in montagna con il suo gregge. Con lui scopriamo il fascino selvaggio della vallata bergamasca, ma anche i suoi gioielli artistici e naturalistici
“Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai / silenziosa luna? / […] Somiglia alla tua vita / la vita del pastore. / Sorge in sul primo albore / move la greggia oltre pel campo, e vede / greggi, fontane ed erbe; / poi stanco si riposa in su la sera: / altro mai non ispera”. È così che nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia Giacomo Leopardi sceglie come emblema della condizione umana il pastore errante, che incarna l’idea di libertà, semplicità e armonia con la natura. Essere pastori erranti significa seguire il ritmo delle stagioni, condurre una vita incompatibile con una società frenetica come quella odierna. Eppure c’è chi da questa evoluzione tecnologica s’allontana, e sceglie il silenzio della montagna, l’immensità del cielo, la convivenza con gli animali, cullato dalla sinfonia unica di cascate e uccellini. Esempio di questo stile di vita è il giovane Giovanni Zucchelli, incontrato più volte a partire dallo scorso giugno, mentre conduceva 700 pecore sulle fresche Prealpi orobiche della val Seriana, all’ombra del Pizzo Arera. Giovanni ha compiuto 22 anni ad aprile e fa il pastore da quando ne ha 16. Suo padre Renato lo è da quasi cinquant’anni: ha visto il paesaggio cementificarsi, ma ha trasmesso al figlio l’amore per il mestiere anche nell’era digitale. Giovanni ha sempre avuto la “passiun per la bestia”: ha terminato le scuole dell’obbligo nell’hinterland milanese, dove ha frequentato coetanei che hanno seguito strade più convenzionali. La sua vocazione è prendersi cura del suo gregge che, secondo l’antico rito della transumanza, pascola tra Milano e Lodi da settembre a maggio, per godere il fresco e l’erba genuina di montagna quando l’umidità e l’afa si fanno insostenibili.
Una vita essenziale. Giovanni ha il volto segnato dal sole, ma le lentiggini tradiscono una carnagione chiara: vive all’aperto tutti i giorni, sotto pioggia, grandine, sole, neve, vento. Non conosce le vacanze di Natale, Pasqua né quelle estive. A giugno arriva a Valcanale di Ardesio (Bg) con il gregge, e lentamente, fino ad agosto, risale gli alpeggi. Ha tre baite d’appoggio a seconda dell’altitudine, fino a 1800 metri. La prima e più attrezzata è all’altezza del rifugio Alpe Corte (1400 m): un edificio in pietra affiancato da un torrente d’acqua gelida e limpida. La baita, dove il tocco più tech è una vecchia radiolina, ha una cucina con fornelli a gas e un tavolo di legno, scorte di pasta: una volta al giorno il padre porta a Giovanni il pranzo preparato da mamma Lucia, con cui vive nel paese a valle assieme ai figli Goffredo, Margherita e Domenico (23, 18 e 11 anni). Con 700 pecore che pascolano libere, è impossibile allontanarsi. Verso le 10 di sera, quando il gregge dorme, Giovanni legge il giornale alla luce del camino, si scalda e si riconnette col resto del mondo, prima del meritato riposo. Raramente raggiunge i coetanei al rifugio: la sua giornata inizia quando le prime pecore si svegliano alle 3 o alle 4 del mattino, e col fedele cane si adopera per evitare che si disperdano per la montagna.
Amico e collega indispensabile. Bruno, il cane di Giovanni, ha solo 10 mesi quando lo incontriamo, ma è già il suo aiutante insostituibile, senza cui non potrebbe lavorare: a seconda del suono o dell’urlo che il padrone emette, Bruno scatta verso le pecore, abbaia e mordicchia le zampe delle più indisciplinate, finché tutte non sono al posto giusto.
Papà e veterinario. Appena l’erba scarseggia Giovanni sale alla seconda baita, più essenziale, verso il rifugio Laghi Gemelli. Qui è molto più solo e passa la giornata a prendersi cura delle pecore. Le sue sono di razza bergamasca, tra le più grandi al mondo: non a caso il giovane pastore ha un fisico forte e muscoloso. Quotidianamente ne prende in braccio più d’una, per tagliare le unghie, disinfettare le ferite: Giovanni è anche un po’ veterinario. Assiste alle nascite degli agnelli, e interviene in caso di complicazioni. Quando un piccolo vede la luce, disegna sul suo vello e su quello della mamma un simbolo identico per ricongiungerli facilmente. Se un agnello non viene più riconosciuto dalla madre, Giovanni distrae una capra con un po’ di pane, mentre il piccolo le “ruba” il latte.
A 1800 metri, alla terza baita, le minacce maggiori sono i fulmini dei temporali estivi e gli attacchi di corvi imperiali e volpi, per cui Giovanni recinta gli agnellini col filo spinato. Quando l’erba finisce, è ora di scendere a valle. Vedere un gregge tornare dagli alpeggi è come osservare uno stormo di uccelli volare nel cielo: settecento pecore insieme formano una metaforica nuvola bianca che ravviva la montagna. L’aiuto del cane è indispensabile per recuperare le pecore più impavide, che Giovanni spesso salva dai precipizi, tirandole col bastone ricurvo. Qualcuna si ferisce, gli agnelli nati pochi giorni prima sono stanchi, per cui papà Renato segue la discesa col fuoristrada, per ogni emergenza. Anche gli altri due fratelli sono d’aiuto assieme a Moro, il cane di Renato. L’operazione è faticosa e un po’ triste per Giovanni, costretto a salutare l’amata montagna. Il paesaggio cambia: dal pino mugo, dai larici e dal sorbo degli uccellatori dell’alta quota, si passa ai faggi, rododendri, betulle, pronti nella loro veste autunnale. Il paese si rattrista per la fine dell’estate e per la partenza del custode della montagna, il pastore. Col pascolo degli animali, infatti, la vegetazione infestante viene contenuta, incrementando la biodiversità vegetale e preservando il bosco dagli incendi. Per il suo valore storico, culturale, antropologico ed ecologico, la pastorizia transumante in Lombardia è riconosciuta nel registro delle eredità culturali immateriali.
Per incontrare Giovanni e il suo mondo, basta cercarlo da fine maggio a fine agosto su per gli alpeggi di Valcanale, e perdersi come lui sul fiume Serio per scoprire le bellezze artistiche della val Seriana.