di Tino Mantarro
Dal passo del Maloja ai laghi di Sils e Silvaplana, in tutte le stagioni la valle dell’Inn rappresenta la quintessenza del panorama alpino.
L’Engadina è come quelle compagne di classe di cui sei sempre stato innamorato ma non hai mai avuto il coraggio di dirglielo: ogni volta che la vedi, anche a distanza di anni, rimane sempre la più bella. Possiede quella perfezione estetica propria delle visioni celestiali, quasi fosse una Beatrice dei paesaggi montani, la quintessenza dell’idea stessa delle Alpi. Fitti boschi di abeti, tanti larici prossimi a ingiallire; venature di roccia chiara sotto le cime aguzze e innevate; le acque grigie e rapide dei torrenti che in chissà quanti giorni finiranno nel Mar Nero dopo un viaggio di migliaia di chilometri; qui e là, nelle zone d’ombra, spruzzate di neve disperse con la sapienza di un pittore impressionista e poi quei prati, così perfettamente verdi e così perfettamente pettinati che viene il sospetto che dietro ci sia qualche organizzazione di giardinieri anonimi che nottetempo si preoccupano di raderli e sistemarli come si fa con certe spiagge nei resort extra lusso. Una volta paesaggi così incredibilmente perfetti li mettevano su quelle scatole di cioccolatini che si regalavano a Natale. È forse per questo che sono diventati così familiari e così ambiti: ricordano l’infanzia.
Ma in Engadina non si arriva semplicemente, l’Engadina si conquista. Da qualunque versante tu lo voglia fare per accedervi devi per forza salire, oltrepassare passi alpini che rappresentano una sfida e una parte del viaggio. Certo, puoi arrivare comodo in treno: prendendo il trenino rosso delle Ferrovia Retica che si arrampica tenace e costante, da Tirano segue le spire della massicciata costruita per sfidare le leggi della fisica in ogni stagione. Altrimenti bisogna scegliere la macchina e affrontare passi agili e non troppo elevati, come il Maloja e il Forno; oppure passi ostici, ben oltre i duemila, dove può nevicare anche in estate, come accade sul Bernina, sull’Albula e sul Flüela, la strada su cui ci si inerpica quando si arriva da Maienfeld, seguendo il percorso del Grand Tour. In questo caso arrivi a Zernez e poi risali piano piano: un godimento. Con quel serpeggiare dell’asfalto nero tra i gli spazi verdi; i paletti gialli e neri per segnalare l’altezza della neve che si susseguono regolari e cadenzano la salita, le acque che rumoreggiano giù in basso, il vento che disordina l’erba, l’armonia dei tracciati: tutto incoraggia a salire ancora e ad andare oltre. Un, due, tre. Rallenti, scali e riparti. Quanti sono questi tornanti? Avvicinarsi alla cima di un passo è come approssimarsi alla superficie della luna, sai che cosa hai sotto, ma non sai a che cosa vai incontro. Però quando arrivi in alto, lassù dove la strada si appiana e le giravolte sono finite, lo sguardo si apre e hai la tua ricompensa: uno sguardo sull’Engadina, vero magnete d’alta quota.
Perché qui nel cuore del Canton Grigioni sei davvero in alto e l’aria è frizzante, anche in estate. E inizi a capire che cosa vuol dire quando qualcuno definisce l’aria frizzante, neanche avesse le bollicine. Frizzante, perché così fresca che ti sveglia, ma non ti fa prendere di freddo. Frizzante, perché è leggera e ti accorgi subito che ti entra in corpo. E allora capisci perché una volta qui la valle era punteggiata di immensi, eleganti sanatori che ricordano il Sanatorio internazionale Berghof di Davos dove Thomas Mann ambientò La montagna incantata, giusto un passo (l’Albula) più in là dell’Engadina, sempre nei Grigioni. Frizzante, perché ti mette voglia di far due passi: una delle attività migliori che si possano intraprendere ovunque si decida di sostare lungo la valle, specie nell’Alta Engadina, la parte che dal Maloja scende leggera da 1800 metri di altitudine fino ai 1600 di Zuoz e S-chanf. Oltre c’è la Bassa Engadina, più stretta e aspra, ricca di gole e povera di prati, che dai 1600 precipita fino ai mille metri del confine austriaco.
In Engadina c’è un’unica strada, si chiama strada principale, prima numero 3, poi 27: ma sempre quella è. Parte dal Maloja che oltre a essere di fatto la sorgente dell’Inn è anche a un tiro di schioppo dal centro orografico d’Europa: al passo del Lunghin a 2644 metri di altitudine. Qui si trova il vero spartiacque: da un lato tutto scende verso il Po e il Mediterraneo; dall’altro l’acqua arriva nel Reno e risale fino al mare del Nord. Dal versante dell’Engadina invece si immette nel Danubio e sfocia lontano, nel Mar Nero.
Così viene voglia di seguirla quest’acqua grigia, ricca di sabbia che scivola via dai ghiacciai. Scende rapida e alimenta il susseguirsi dei laghi fino a Sankt Moritz. Prima c’è il lago su cui si affaccia Sils-Maria, il villaggio una volta di pastori rimasto quasi come al tempo in cui vi soggiornò per lunghi anni Nietzsche: «Qui mi piace stare sdraiato e mi vengono i pensieri migliori» diceva. E poi il lago di Silvaplana, un mare di montagna, affollato di barche a vela, windsurf e kitesurf che fanno arzigogoli da far girar la testa a ore prestabilite, mattina e pomeriggio, quando soffia forte il vento del Maloggia. In alto dominano lo scenario il Piz Corvatsch e tutto il fantasmagorico mondo delle vette delle Alpi Retiche con le piste da sci e la fitta rete dei sentieri per esplorarle. In fondo, sulla sinistra, il profilo compatto di Sankt Moritz, città delle vacanze in qualunque stagione. Da lontano i grandi alberghi assomigliano sempre al Grand Budapest Hotel del film: facciate con le logge a cupola, ricche di porte e balconate, porose come le spugne. Viene da immaginare un mondo fatto di broccati e velluti, discussioni interessanti davanti a un bicchiere di whisky, passeggiate meditative e rilassatezza imperante.
E poi ancora oltre ci si rimette in moto attraversando i paesaggi di Segantini, verso Celerina e giù ancora lungo l’Inn. Fermandosi a Guarda, che tiene fede al suo nome e domina la Bassa Engadina dall’alto di un poggio, scopri quel che in parte già sapevi: che questa è la terra del Romancio, dove la casa è una chesa, la mucca è vatga, e l’amore è charezza.
Qui gli spazi ampi dei prati iniziano a restringersi, il corso dell’Inn, a lungo parallelo a quello della ferrovia, diventa impetuoso. Verso sera, quando il tempo è bello, in alto rosseggia sempre, le vette diventano improvvisamente scure e vien da pensare: che fine avrà fatto quella compagna di scuola?