Viaggiare leggeri

Note sul mondo del turismo contemporaneo e le sue problematiche

DAL PELLEGRINAGGIO AL DIO-VIAGGIO
Il più grande sociologo di questi anni, Zygmunt Bauman, prima di dedicarsi all’analisi della società liquida, aveva ipotizzato che il turista fosse il prototipo umano dell’epoca dell’incertezza, notando che il passaggio chiave della modernità sia stato la trasformazione del viaggiatore da pellegrino a turista. Se fino al medioevo si viaggiava soprattutto per motivi religiosi, oggi siamo passati a una sorta di religione turistica di massa? All’unico dio della mobilità? «Uno strano e spesso insaziabile desiderio di trascendenza conferisce al turismo un elemento di religiosità secolare», ha scritto l’etnologo svedese Orvar Löfgren alla fine della sua Storia delle vacanze. Di certo, per molti milioni di persone la ritualità del viaggio prende sovente il posto degli appuntamenti liturgici. E, poi, viaggiare per il solo scopo di viaggiare è stato il fulcro di una cultura quasi del trascendente, che si è affermata dopo gli anni Sessanta. Non per caso, forse, quel genere di motivazione on the road muove da qualche decennio un certo turista a tornare di nuovo pellegrino, camminando con i sandali nella polvere.

LA POLVERE E IL PAESAGGIO
La questione riguarda la modificazione del paesaggio conseguente alla globalizzazione. Un brillante intellettuale, l’antropologo francese che ha enunciato la teoria dei non-luoghi, Marc Augè, ha scritto già una ventina d’anni fa un saggio dal titolo emblematico L’Impossible Voyage (tradotto in italiano come Disneyland e altri nonluoghi); cantando la nostalgia per le prime semplici vacanze di una volta, nell’introduzione Augè notava: «L’idea stessa di campagna, quale era evocata dalla parola magica “vacanze” e quale dovette essere associata nella mente di milioni di persone alle prime ferie retribuite, si è trasformata, e non sono sicuro che non si sia semplicemente volatilizzata. Nella Francia asfaltata, le strade non sono più polverose e le automobili viaggiano da un parcheggio all’altro, attraverso un paesaggio pieno di zone artigianali e commerciali, di svincoli autostradali e di topaie industriali».

 

IL DISTRUT-TURISMO E L’ECOSISTEMA
La globalizzazione che ha travolto il mondo non si capisce bene quanto potrà reggere lo stress ulteriore dell’iper-mobilità turistica. Il caso italiano più clamoroso
è certamente quello di Venezia. Viaggi e vacanze rischiano di diventare un’arma di distruzione di massa, non più di distrazione, come si è andato affermando in epoca moderna, dopo l’industrializzazione. Il problema principale di oggi sembra proprio quello di arginare il fenomeno del distrut-turismo, ovvero, per continuare il gioco di parole, come de-strutturare il distrut-turismo: è una questione decisiva per l’eco-sistema ma anche per quanto riguarda la salvaguardia delle culture.

IL MODELLO THAILANDESE
È un enorme mercato di viaggi organizzati, quello dei tre milioni e mezzo di turisti cinesi che ogni anno arrivano in Europa, e oltretutto quasi la metà passano in Italia. L’offerta è varia, per esempio la moda del turismo matrimoniale alimenta un flusso di cinesi nella Costiera Amalfitana o sul lago di Como, ormai da anni. Non parliamo poi dei viaggi aziendali, che per ora travolgono soprattutto il più vicino Oriente. Ha fatto notizia, nel maggio scorso, l’organizzazione di un viaggio premio in Thailandia che ha coinvolto quasi tredicimila lavoratori della stessa azienda cinese, con l’impiego di 110 voli aerei e 400 pullman per gli spostamenti. Più di 6 milioni di cinesi ogni anno visitano la Thailandia, e i problemi d’interazione culturale sono già diventati materia per una commedia di successo, Lost in Thailand. Perciò, alla fine del 2016, Bangkok ha superato Londra, diventando la città più visitata del mondo con 21,5 milioni di turisti.