48 ore Hong Kong: Così lontana così vi(cina)

Esattamente vent’anni fa gli inglesi lasciavano l’isola al suo destino cinese. Oggi la megalopoli è un melting pot sempre più aperto al mondo tra gastronomia di altissima qualità, architetture e shopping estremo

Subito dopo aver alzato il calice, brindando alla nuova Hong Kong che rinasceva sotto la bandiera di Pechino, il principe Carlo d’Inghilterra e l’uscente governatore Chris Patten lasciarono la banchina del Wan Chai Convention and Exhibition Center e presero la via del ritorno a Occidente. Era la notte tra il 30 giugno e il primo luglio 1997, a bordo dello yacht reale Britannia si erano radunate le più alte gerarchie del governo coloniale appena destituito. Così come erano entrati, per la prima volta nel 1839, nel “porto profumato” (la traduzione di Hong Kong in cantonese), gli inglesi lasciavano l’isola per mare: un modo simbolico di sancire quello che da allora, a Hong Kong, è ricordato semplicemente con una parola: handover. Il passaggio dalla corona reale britannica al Politburo di Pechino avvenne con una prosopopea che gli inglesi, poco inclini ai complimenti verso i ritrovati padroni di casa, definirono senza mezzi termini “in perfetto stile soviet”. La verità, per molti di quei cittadini che hanno assistito all’evento vent’anni anni fa, è che tutto avvenne in una atmosfera di tranquillità quasi deludente. Si vociferava di carri armati al confine, l’esercito rosso pronto a sfilare in parata sulla piazza Tamar, qualcosa insomma che sancisse un passaggio che da anni era temuto come l’apocalisse politica e sociale, la morte delle libertà commerciali che avevano fatto crescere in modo vertiginoso questa piccola isola che si affaccia sul Mar della Cina Meridionale. E invece.

«Il risultato piú evidente fu solo l’incredibile numero di hongkonghesi con il doppio passaporto, soprattutto canadese e australiano», ricorda Edoardo Podestà, ligure di origine ma manager che vive a Hong Kong da più di vent’anni. «Per il resto, le cose cambiarono solo marginalmente, e molto lentamente». D’altronde, come sottolinea l’uomo d’affari simbolo del melting pot politico di Hong Kong, sir David Tang, fondatore del prestigioso China Club ma anche Cavaliere dell’ordine britannico nonché console onorario di Cuba a Hong Kong («è per via dei sigari»): «I veri cambiamenti arriveranno nel 2047, quando la fase dell’handover sarà conclusa e questa città sarà cinese al cento per cento, senza common law e istituzioni intermedie. Non c’è fretta». La Cina non ha mai fretta, e i giovani democratici di Hong Kong che hanno occupato le strade del centro finanziario d’Oriente se ne sono accorti bene quando, tre anni fa, Pechino ha lasciato che si accampassero sull’asfalto per oltre due mesi fino allo sfinimento, senza cedere neanche una volta al colloquio con gli attivisti di quella che fu battezzata dalla stampa internazionale Occupy Hong Kong, la rivoluzione degli ombrelli. Per il momento, Hong Kong si inventa ogni giorno un modo per essere diversa da ogni altra città, non solo della Cina. Incredibilmente, nonostante le dimensioni ridotte del suo territorio, ci riesce. Riesce perché ha ancora il potere di attrarre giovani talenti dal resto del mondo, incuba start up, protegge i suoi parchi naturali e offre servizi di intermediazione finanziaria con il gigante cinese.

La popolazione intanto diventa ogni giorno più mainland, cioè cinese della Grande Cina, anche grazie alle politiche di Pechino che incentivano l’ingresso, senza possibilità di ritorno, a centinaia di cittadini che attraversano il confine con Hong Kong in cerca di quel welfare e possibilità lavorative che la Cina non riesce a garantire. Sulla metropolitana, efficiente e puntuale, il mandarino prende progressivamente il posto del cantonese, la lingua locale. Dall’altra parte, la popolazione dei gwailo, come venivano chiamati gli occidentali trapiantati (significa, letteralmente, fantasma bianco) si assottiglia di anno in anno perché dal Mainland non arrivano solo lavoratori ma anche capitali, che devono essere gestiti da società che garantiscono il mandarino come lingua madre con cui relazionarsi con i clienti. Senza contare che il prezzo della vita è tra i più alti al mondo, in gara con le vicine Singapore e Tokyo, e le società non offrono più i pacchetti favolosi da expat di un tempo. Insomma, negli ultimi vent’anni il sapore di questa città considerata la New York d’Oriente è cambiato e continua a cambiare, come il suo famoso skyline di grattacieli specchianti. Ma tra i vicoli di Sheung Wan e nelle piazze del villaggio di Sai Kung, alle porte di uno dei parchi naturali protetti dall’Unesco, si respira ancora il profumo inequivocabile del pesce secco tipico di questa parte marinara del Guangdong. Le sale da tè dietro ai palazzi dagli affitti da capogiro preparano sempre la variante rossa, cinese ma macchiata con il latte (all’inglese) e nei mercati notturni gli indovini più anziani sanno comunicare il giusto con un perfetto accento britannico. Masticano bene anche il mandarino, però: perché business is always business qui a Hong Kong, anche per chi predice il futuro.

Primo giorno

Ore 10: i vicoli di Sheung Wan
Tra negozi di medicina tradizionale cinese e nuovi caffè trendy. E poi Soho per lo shopping vintage e il Man Mo Temple per una pausa di riflessione e di quiete.

Ore 13: è l'ora del Dim Sum
Ovvero la cucina al vapore cantonese. Ma anche dei dumpling (ravioli ripieni di carne, pesce, verdure o funghi) da assaggiare al Din Tai Fung a Causewaybay: un via vai di cestini di bambù ai tavoli a tutte le ore. Se volete invece avventurarvi nello street food, affidatevi agli esperti di Hong Kong Foodie Tour: dalle fishball ai pork bun (panini al vapore imbottiti di maiale in agrodolce). Info: dintaifung.com.hk; hongkongfoodietour.com

Ore 15: visione dall'alto
Da Central, prendete un taxi che vi porta in cima al Peak e salite sulla terrazza della piattaforma di osservazione. Per scendere, prendete il Peak Tram, la vecchia cremagliera del 1888. Info: thepeak.com.hk 

Ore 21: gli estremi della notte
Luci e proiezioni sui grattacieli ma anche lanterne rosse dei vecchi indovini e del mercato notturno tra le fermate della metropolitana Yau Ma Tei e Jordan, nel cuore di Kowloon. Camminate attraverso il Temple Night Market, fatevi leggere il futuro da un canarino. Per cena, non fatevi sfuggire il miglior granchio e i gamberi allo zenzero al Temple Spice Crabs, sull’angolo tra Temple Street e Nanking Street. Info: temple-street-night-market.hk

 

 

Secondo giorno

Ore 10: trekking urbano
Da non perdere gli otto chilometri di passeggiata del Dragon’s Back alla portata di tutti. Dalla fermata di Shau Kei Wan prendere il Citybus n. 9 fino a To Tei Wan sulla Shek O road. Info: walkhongkong.com; discoverhongkong.com 

Ore 13: pranzo in spiaggia
Per dissetarsi, il Ben’s back Beach Bar. Per mangiare, Cococabana Mediterranean Restaurant, con tavolini sulla spiaggia o sulla terrazza e cucina a base di pesce. Da non perdere la spiaggia dei surfisti: Big Wave Beach.

Ore 15: il momento dello shopping
Da Central, basta prendere il traghetto per Tsim Sha Tsui al molo, pier, numero 7: in due minuti si attraversa il Victoria Harbour e si arriva all’Harbour City, centro commerciale con 700 negozi (e non è l’unico). Info: harbourcity.com.hk 

Ore 17.30: la luce più bella
Il tramonto visto dal Victoria Harbour è un’esperienza indimenticabile. Il modo migliore per godere appieno di questo momento è la minicrociera Sunset Cocktail a bordo della junk Aqualuna. Info: aqualuna.com.hk

Ore 20: ogni cosa è illuminata
Si chiama A symphony of lights lo spettacolo di suoni e di luci permanente più grande e suggestivo del mondo. Per 13 minuti, a partire dalle ore 20, i 40 edifici più importanti della città si illuminano a turno attraverso i laser installati lungo i loro tratti geometrici. E per finire aperitivo al Sevva, cena al Duddell’s oppure al Mott 32, ristorante nascosto nel caveau della banca Standard Chartered. Info: sevva.comduddells.commott32.com