Una foto, una storia. Il Po come era una volta

@Archivio Fotografico Tci

Il più grande fiume italiano non è un confine, bensì un grande prodotto turistico da rilanciare. Ritratto romantico del fiume Po e del mondo che lo circonda

 Chissà quando abbiamo deciso di girare le spalle al Po. Qual è stato l’esatto momento in cui come nazione, abbiamo lasciato che una zona geograficamente centrale diventasse marginale. Perché se una cosa è certa è che oggi il Po e il suo filo d’Arianna di acque mai davvero chiare, sono il grande dimenticato del nostro Paese. E da Torino alla foce i paesi che lo circondano rappresentano la periferia abbandonata dell’Italia settentrionale. Luoghi i cui nomi sembrano ancorati a un’altra epoca: Bozzole, Parpanese, Quingentole, Ficarolo, Papozze. Come sembrano usciti da un’altra epoca i ristoranti in cui t’imbatti lungo l’argine – spesso direttamente aldilà –, con quell’aria da balera fuori tempo e senza musica, i tavoli di plastica, i vetri smerigliati, le bottiglie da esposizione con il cartellino «non in vendita». Per non parlare degli approdi dimenticati, in cui barconi a fondo piatto aspettano come promesse carichi di merci che non arrivano mai. Oppure le case di bonifica degli anni Trenta, con le idrovore che pompano acqua per i campi sottostanti, perché il Po visto dagli argini è sempre più in alto di quel che lo circonda. Un mondo aggrappato alle sponde del fiume, un mondo fatto di mattoni rossi e biciclette, parrocchiali imponenti e statue di Verdi. Ma il paesaggio che si svela davanti agli occhi è a suo modo grandioso e poetico. Sembra disegnato da un geometra con la passione per le righe nette e le forme definite: filari di pioppi come pedine di una dama perpetua, campi di grano arati con la livella, scacchiere di peschi, argini sinuosi che segnano la via verso l’orizzonte e il mare.

Così, mentre si scende lungo il grande fiume con quel sospetto costante che l’acqua in realtà non si muova, tanto è apparentemente calma, viene da pensare che lungo il Po c’è tutta quest’Italia sincera e tranquilla che meriterebbe di essere vissuta e conosciuta, almeno per poco. E invece la si ignora bellamente, nonostante sia solo a un passo dalle città allineate lungo la A1 i cui nomi si sgranano come fossero un rosario, PiacenzaParmaReggioEmiliaModena.
Al punto che quando sei sull’Alta velocità neanche lo senti il ponte che scavalca il più grande fiume italiano, immerso nello schermo del telefono a cercare mondi altri e altri paesaggi.

E invece una volta sì che ti accorgevi quando stavi attraversando il Po. A Casalmaggiore, provincia di Cremona, in treno lo si scavalcava con un rumoroso ponte di ferro – ancora in funzione –, o un ancor più romantico ponte di barche, che saliva e scendeva con le piene, con l’omino solerte che vigilava giorno e notte che tutto fosse sempre in ordine. E sul fiume un tempo ci andavano i bambini alla colonia balneare: due settimane a Guastalla a prendere aria e a fare esercizi fisici, che l’ambiente del Po era sano, e in acqua – allora sì – potevi farci il bagno senza pensieri. Poi è successo qualcosa e senza che fosse un piano deliberato e consapevole abbiamo voltato le spalle al Po. Sul fiume al massimo vanno i rumeni a pescare
i siluri, o qualche romantico come lo scrittore Gianni Celati. Anche se adesso vogliono farci una ciclabile lungo il Po per provare a rianimarlo. Si chiama VenTo e pazienza se arriva a Venezia, e non su uno dei tanti bracci del Delta. In qualche modo bisogna pur farli arrivare questi turisti dalle parti del fiume, e la Serenissima è un marchio che attira. Così è di sicuro meglio farli arrivare in laguna con un gran progetto di sviluppo turistico sostenibile che con una nave da crociera. Un modo per far ridiventare un po’ meno marginale e più frequentato il liquido entroterra dell’Italia settentrionale.

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