Val Grande, aspra e bella

Grazie al Parco nazionale, e alla nascita di alcune iniziative locali di ospitalità, si assiste a un promettente risveglio del turismo naturalistico

Ritorno in val Grande dopo tanti anni, la val Grande del Parco nazionale, ovviamente; quella più famosa. Già, perché non è l’unica valle che si chiama così, ma è certamente la più conosciuta. Siamo nell’entroterra di Verbania, con il Lago Maggiore a un tiro di schioppo, ma basta una manciata di chilometri nei boschi per passare dalle località turistiche vip a un mondo che ritrovo com’era, arcaico, sperduto, primordiale.
La val Grande è l’antitesi di un luogo turistico e non è per niente facile percorrerla, eppure ha il suo fascino per la selvaggia bellezza della natura che qui regna sovrana. Boschi impenetrabili, montagne aspre e dure dai fianchi scoscesi, torrenti incassati in fondo ai burroni, sentieri spesso da trovare perché inghiottiti dalla vegetazione.
Per questo è diventata molto frequentata dagli escursionisti in cerca di avventura, soprattutto stranieri, tedeschi in primis. Solitamente le valli delle nostre Alpi sono frequentate per la bellezza dei luoghi associata alla facilità dei percorsi di trekking: sezioni del Cai, Comuni, parchi e riserve fanno a gara per segnalare nel modo più evidente i sentieri con cartelli e bolli in vernice. L’obiettivo è promuovere un turismo sicuro, per famiglie che possono così affrontare itinerari in assoluta tranquillità. In val Grande avviene l’opposto: è percorsa e frequentata per la sua asprezza. Non a caso detiene, fra tante valli, un piccolo record negativo per gli interventi di soccorso alpino che si rendono necessari per recuperare escursionisti in difficoltà che perdono il sentiero e si ritrovano sperduti tra boschi e dirupi.

Me lo conferma Marco Tessaro, giovane regista varesino di documentari naturalistici, che conosce bene la val Grande perché vi ha girato più riprese per conto del Parco nazionale; il suo giudizio è netto «è un territorio dove è ancora possibile perdersi letteralmente. In val Grande valgono a poco cartine e sentieri segnati: se per distrazione perdi una traccia ti ritrovi in posti imprevisti, difficili da collocare nello spazio e, direi, anche nel tempo».
Eppure la valle, forse proprio per questo, mantiene un suo fascino tutto particolare e molti escursionisti non si lasciano spaventare dalla sua fama: me ne accorgo di buona mattina quando vedo diverse auto arrivare in cima alla valle. Sono frotte di arzilli escursionisti, molti non giovani, in cerca di avventura.
In effetti gli amanti della natura selvaggia, senza dover prendere l’aereo e catapultarsi dall’altra parte del globo, trovano qui, a due passi dalle città della Pianura padana, un luogo ove vivere l’emozione della vera wilderness. Un’emozione, come dicevamo però, che non tutti riescono a vivere appieno perché impreparati e poco esperti.
Tutto è cominciato poco più di mezzo secolo fa. Nella prima metà del Novecento, come ricorda spesso Teresio Valsesia che della valle è stato uno dei primi cantori con un suo libro, la val Grande era abitata, come tante altre vallate alpine. Una rete di mulattiere collegava gli insediamenti permanenti con le corti primaverili e gli alpeggi estivi. Il bestiame percorreva la montagna secondo un sistema a scorrimento verticale, dalla primavera all’autunno. Era un’economia assai povera, dove l’importante era sopravvivere alle stagioni.

Poi con la seconda guerra mondiale e la successiva resistenza al nazifascismo cambia tutto. Nella valle trovano rifugio i partigiani (la Repubblica dell’Ossola è vicina), che la usano come base per imboscate ai nazifascisti, ma la reazione dei tedeschi non si fa attendere. Le baite degli alpeggi sono incendiate, i paesi bombardati, molti abitanti, anche non partigiani, trucidati.
Finita la guerra i superstiti, attirati dal lavoro in fabbrica del fondovalle, abbandonano la loro terra e le loro case, non ricostruiscono ciò che è andato distrutto e la natura piano, piano, riconquista ciò che l’uomo a fatica le aveva sottratto ricavando praterie e pascoli da boschi impenetrabili. Ancor oggi girando nella valle si ritrovano infatti molti ruderi di baite abbandonate, con i tetti sfondati. Basta poco e, prima le felci, poi nuovi castagni e faggi rioccupano il territorio. Così anche molti sentieri sono inghiottiti dalla vegetazione e perdersi diventa molto facile.
Accadde anche a me durante il mio primo approccio alla val Grande, dal ponte del Casletto: erano i primi anni Settanta e la valle era già nota per essere un’area “a tutta natura”. Ero con amici del Cai e ci perdemmo, come era naturale, dopo aver percorso un sentiero che presentava passaggi non facili con passerelle di legno marcio che cedevano al peso dei nostri passi. Per fortuna ritrovammo più avanti il sentiero e il ritorno fu senza problemi, ma già allora ci rendemmo conto che la valle non era per tutti. Prima di ritornare in città passammo dal paesino di Cicogna e restammo affascinati dal luogo impervio e isolato, con tante case di sasso aggrappate alla montagna, su un ripido pendio.

Ma, a distanza di più di 40 anni, qualcosa finalmente è cambiato, in meglio. Intanto l’istituzione del Parco nazionale nel 1992 ha fatto conoscere la valle al mondo: a Cicogna, la porta del Parco, è stato aperto un Centro informazioni e un ostello (attualmente però chiuso), poi la nascita di piccole iniziative locali, come la cooperativa Valgrande, costituita nel 1993 da persone che hanno fatto dell’ambiente e della montagna una scelta di vita e di lavoro, segna la svolta. Lo staff della cooperativa è costituito da 14 persone tra soci e dipendenti. Ci sono accompagnatori naturalistici, guide del Parco, guide alpine, operai generici e specializzati, biologi e naturalisti.
La cooperativa progetta e realizza con professionalità servizi di educazione ambientale e di ricerca scientifica, opere di ingegneria naturalistica e ripristino ambientale, accompagna scuole e gruppi in escursioni e trekking. Inoltre gestisce nella sua sede di Cossogno, nel vecchio edificio scolastico, l’Acquamondo, un centro di educazione ambientale che nasce come un Museo dell’acqua, con acquari, ma che oggi si sta trasformando in un museo del territorio, con aule e laboratori.
Andrea Mosini, naturalista, dopo aver lavorato in Norvegia, è uno dei soci più attivi, insieme al presidente Stefano Maioli; quando non accompagna scolaresche e turisti in montagna, organizza corsi di cesteria e illustra, soprattutto ai ragazzi, la filiera della produzione delle corde di canapa, che qui un tempo erano prodotte.
In val Grande si può entrare o da nord, dalla val Vigezzo, o da sud, dall’entroterra di Verbania. Per chi arriva dalla pianura il modo più semplice è salire a Cicogna, 732 metri di altitudine, frazione del Comune di Cossogno. Se passate prima da Cossogno per contattare la cooperativa Valgrande è consigliabile fare una sosta alla omonima Antica Osteria nella piazza del paese, ricavata in un bell’edificio d’epoca. La cucina è casalinga e i prezzi sono modici.
Cicogna invece è raggiungibile percorrendo una stradina asfaltata strettissima nel bosco dove l’incrocio con un’altra auto in senso contrario può essere problematico in quanto le piazzole sono assai rare e spesso è necessario fare lunghe tratte in retromarcia. È consigliabile quindi, se poco esperti alla guida, evitare viaggi nei finesettimana e nei periodi estivi in cui tutti sono in vacanza; in realtà basterebbe una norma per regolamentare il traffico secondo orari prestabiliti, ma sembra che manchi la volontà di farlo.

Il paese oggi conta solo una quindicina di residenti in quanto numerose case bombardate nel 1944 non sono state ricostruite e quelle in piedi sono utilizzate solo pochi giorni all’anno dai proprietari. Nonostante ciò il paese oggi è vivo grazie al costante flusso di escursionisti che amano affrontare sentieri impervi e selvaggi, tanto che quando arrivo, di primo pomeriggio, trovo tutti i quindici posti auto dei parcheggi occupati. Solo a sera terminate le escursioni, le auto ripartono e il paese torna in silenzio. Chi si vuole fermare la notte può farlo grazie all’ospitalità offerta dal B&B Ca’ del pitur, dal Circolo Arci che offre una frugale ristorazione e dall’azienda agrituristica Corte Merina, che mette a disposizione piazzole per il campeggio e tiene aperta una rivendita di formaggi e salumi prodotti in loco. Non ci sono invece negozi (non si trova nemmeno una rivendita di pane) e manca il segnale per i cellulari; salvo le poche strutture turistiche che offrono un collegamento wi-fi, non c’è modo di collegarsi con il mondo se non con la rete telefonica fissa.
Ora, grazie al Parco nazionale e soprattutto ai lavori eseguiti dalla cooperativa Valgrande, diversi sentieri sono segnalati e i vari tabelloni in legno realizzati dal parco li illustrano con evidenza. Non è più facile perdersi come una volta; si possono fare senza problemi diverse escursioni senza difficoltà: da Cicogna, per esempio, in un’ora e mezza si sale con un ripido sentiero alla sovrastante alpe Prà, dove sorge il rifugio Casa dell’Alpino (tel. 0323.571329), aperto d’estate e nei fine settimana. Sono pochi i rifugi all’interno del parco o nelle vicinanze: uno, al margine dell’area protetta, è quello di Pian Cavallone (tel. 0323.407482), del Cai Verbano, nel Comune di Intragna. Un altro, invece, del Parco nazionale, ma appena all’esterno, è quello dell’alpe Parpinasca, nel Comune di Trontano. Un altro ancora, sempre fuori dal parco, è il rifugio Fantoli (tel. 340.5783883) all’alpe Ompio, del Cai Pallanza. Poi ci sono vari bivacchi del parco (baite in pietra), non custoditi, come quelli che si trovano al Pian di Boit, all’alpe Scaredi, alla bocchetta di Campo o all’alpe in la Piana. In genere non sono facilmente raggiungibili, sia per difficoltà intrinseche dei sentieri, sia per la lunghezza dei percorsi.

 

Decisamente più comoda e con molti tratti pianeggianti è invece la strada Sutermeister che parte da un tornante appena sotto le case di Cicogna e si addentra nella
val Pogallo, raggiungendo le omonime case, a quota 778, dopo un’ora e mezza di cammino. La imbocco e ne resto subito affascinato: si tratta di una bella mulattiera nel fitto bosco di castagni, frassini e querce, a tratti lastricata e spesso aggrappata alla montagna, sempre sul bordo di ripidi precipizi, chiamata così dal nome dell’ingegnere, e industriale della prima ora, Karl Sutermeister, che volle agevolare il trasporto a valle del legname, molto richiesto a fine Ottocento, frutto di un epocale disboscamento eseguito proprio nell’area di Pogallo.
Non è per tutti, invece, il sentiero dedicato all’esploratore Giacomo Bove. Sebbene famoso (un recente volume di Marco Albino Ferrari, dal titolo La valle incantata, lo descrive in termini di vera immersione nella natura più selvaggia), è consigliabile solo a esperti alpinisti. Chi lo vuole affrontare deve essere non solo ben allenato e preparato a pernottamenti in alloggi di fortuna. Meglio farsi accompagnare dalle guide della cooperativa Valgrande. Parte anche questo da Cicogna, ma occorre prevedere due pernottamenti in bivacchi. Dopo aver raggiunto Pogallo con la strada Sutermeister, si porta in alta quota e prosegue per creste, con tratti impegnativi superabili con l’ausilio di catene. Attenzione: diventa ancor più problematico in caso di nebbia.
Quando decido di ripartire da Cicogna il sole autunnale è già tramontato dietro la cresta della montagna; l’immersione nella wilderness si sta concludendo e tra poco il cellulare riprenderà a squillare e a ricevere i messaggi. Ma non era poi così male averlo inattivo...

Fotografie di Susy Mezzanotte