Sardegna, l'isola dei Giganti

Viaggio nel patrimonio archeologico sardo che continua a rivelare grandi sorprese

Ti guardano dall’alto in basso, i Giganti di Mont’e Prama, con quegli occhi da alieni che sono due cerchi perfetti – fatti senza compasso, e sì che le popolazioni nuragiche lo strumento lo conoscevano bene, si conserva un esemplare di protocompasso al Museo archeologico Sanna di Sassari. Ma qui siamo a Cabras, cittadina di 9mila abitanti a un tiro di schioppo da Oristano e a due chilometri dal mare, adagiata sulla riva sinistra di un grande stagno che fino agli anni Settanta del secolo scorso era ancora latifondo feudale, proprietà privata dei “baroni in laguna” ai quali il grande giornalista Giuseppe Fiori dedicò uno sferzante libro-reportage.
Archiviati i padroni delle acque, oggi da queste parti i pescatori, organizzati in cooperativa, pescano il muggine (o cefalo che dir si voglia). Dalle sue uova si ricava la bottarga, l’oro di Cabras che arriva a costare 250 euro al chilo. Oggi si fanno vini bianchi notevolissimi, soprattutto la strepitosa vernaccia. Oggi questo e gli stagni vicini (Santa Giusta, Sale Porcus, Is Benas) sono oasi per il birdwatching, perché in queste acque salmastre staziona tra le tante specie avicole sa zent'arrubia, “la gente rossa” come la chiamano qui, ovvero i fenicotteri rosa.
Soprattutto oggi chi viene per turismo, in questa porzione del Campidano di Oristano che è il Sinis, centro di traffici fin dalla preistoria, approdo dal Levante e scalo obbligato nelle rotte mercantili fenicie verso le Baleari e l’Iberia, trova un territorio ricco di archeologia: 75 nuraghi, 47 monotorre e 28 di tipo complesso; l’antica città fenicia, cartaginese e poi romana di Tharros con terme, mura e anfiteatro; il santuario ipogeo pagano di San Salvatore di Sinis con le pareti affrescate e graffite e, archeologia di avantieri che già stinge nella nostalgia, un villaggetto simil-messicano in cui, negli spensierati anni Sessanta, si giravano film spaghetti western. Chi arriva qui negli ultimi anni, però, ci viene soprattutto per loro: i Giganti.

Statue di guerrieri, arcieri, pugilatori scolpite nell’arenaria gessosa locale, alte fra due metri e due metri e mezzo. E già in questa altezza sta uno dei motivi del clamore che ha accompagnato la scoperta: non altissimi di statura (da sardo lo posso dire senza temere la leggendaria suscettibilità locale), i sardi hanno cercato di farsene una ragione, ma anche la statuaria nuragica li penalizzava. I bronzetti sono alti da 13 a 25 centimetri, mentre le civiltà più evolute potevano vantare una statuaria a tutto tondo di altezze ben più cospicue.
Poi, su una modesta altura (50 metri sul livello del mare) a pochi chilometri da Cabras ribattezzata pomposamente Mont’e Prama, il monte delle palme perché qui un tempo crescevano le palme nane (ho già detto che in Sardegna abbiamo qualche problema con l’altezza?), il terreno restituisce questi guerrieri alti più dei giocatori di basket: è un balsamo per l’orgoglio sardo e, soprattutto, una scoperta che può riscrivere l’archeologia del Mare Nostrum.
Stando alle datazioni più prudenti i Giganti dovrebbero risalire al 900-750 avanti Cristo. In anticipo quindi sui kouroi, le statue greche arcaiche del VII secolo. E più belli dei kouroi, vuoi mettere? Le statue greche avevano le mani attaccate ai fianchi e le gambe unite, hai visto mai che con le tecniche rudimentali di scultura la pietra si potesse rompere facendo buttare via tutto il lavoro, mentre i Giganti sono, dicono storici dell’arte e archeologi, “aggettanti”, cioè hanno braccia e gambe che sporgono. Come i bronzetti, del resto. Inoltre sono in posizione eretta e in grado di reggersi da soli, e la finezza delle decorazioni fa pensare a una grande abilità tecnica e all’uso di strumenti non proprio di tutti i giorni, dal regolo alla gradina a sei denti. Uno a zero per la Sardegna e palla al centro.
Il ritrovamento ha avuto un’eco vastissima: i Giganti sono arrivati fino in Cina, il Rotary ha raccontato la loro storia agli associati di tutto il mondo, la Regione Sardegna ne ha fatto i testimonial della campagna turistica istituzionale, i venditori di T-shirt si sono arricchiti con la loro immagine, le università sarde in associazione con quelle inglesi hanno dato un volto agli antichi guerrieri usando le tecniche della bioarcheologia: ragazzoni di 20-25 anni, di stazza notevole, sbarbati ma con lunghe trecce che arrivavano fino al petto.

La fortuna dei Giganti è esplosa nell'ultimo decennio, dopo essere stata a lungo affare per specialisti e sovrintendenze. Il primo ritrovamento è del 1965: una testa di guerriero in un pozzo a Narbolia, non troppo distante da Cabras. Ma nel pozzo c’è molto materiale punico e nessuno fa caso a quella testa.
Nove anni dopo, nel 1974, un contadino di Mont’e Prama trova un’altra testa nel suo terreno mentre sta arando. La Sovrintendenza locale, informata, avvia una serie di scavi. Emergono 5.178 frammenti che vanno a finire negli scantinati del Museo archeologico di Cagliari e ci restano per più di trent’anni:  soltanto qualche pezzo ha l’onore dell’esposizione. Poi, nel 2005, un finanziamento congiunto di Regione e ministero dei Beni Culturali consente di restaurare e ricomporre quei frammenti. Il risultato sono 38 statue: cinque arcieri, quattro guerrieri e sedici pugili. Oltre a tredici modelli di nuraghe e a una quantità di betili, equivalente sardo dei menhir.
Oggi si continua a scavare nell’area di Mont’e Prama, che non è aperta al pubblico ed è circondata dalle coltivazioni: gli ultimi ritrovamenti sono di qualche mese fa. Nel 2014 l’Università di Cagliari, con il geofisico Gaetano Ranieri, mette in campo una batteria di sedici georadar collegati con un gps e montati su un pick-up, che “arano” il terreno leggendo il sottosuolo e dando indicazioni di scavo agli archeologi. La necropoli nuragica che già era stata individuata negli anni Settanta si rivela di estensione più che ragguardevole, circa sette ettari: un luogo di sepoltura e di culto per l’aristocrazia maschile nuragica (le sepolture sono quasi soltanto di uomini, fra i 15 e i trent'anni) che forse aveva alle spalle una città? Mistero. Uno dei tanti misteri che circondano i Giganti, nel frattempo diventati superstar. Lo dimostra l’afflusso record di visitatori del bellissimo Museo Marongiu: 126mila nel 2014, 160mila nel 2015 e 164mila nel 2016, quando fino al 2013 erano poco più di 80mila. E deve essere ancora completata (apertura prevista nel 2018) la nuova ala realizzata per ospitare tutti i reperti di Mont’e Prama: oggi alcune statue sono esposte al Museo archeologico di Cagliari.

La Sardegna è il più grande museo a cielo aperto del Mediterraneo occidentale: quasi ottomila nuraghi; 2.400 tombe scavate nella roccia, le domus de janas; poi cromlech, dolmen, menhir, tombe dei giganti e pozzi sacri. Nel territorio di Arzachena c’è il complesso nuragico della Prisgiona e la tomba de giganti di Coddu Ecchju, a Luras sempre in Gallura il dolmen di Ladas con una galleria coperta lunga 6 metri. Vicino a Porto Torres l’altare nuragico di Monte d’Accoddi somiglia a uno ziqqurat ed è l’unico del genere nel Mediterraneo. La necropoli rupestre di Sant’Andrea Priu, presso Bonorva, ha tombe scolpite ed affrescate ed è dominata da un’enigmatica scultura a forma di toro priva (non si sa da quanto) della testa. Verso sud, nelle campagne di Orroli, si erge l’imponente nuraghe Arrubiu, noto anche come gigante rosso, il più grande nuraghe dell’isola, con mura di cinta e torri in origine alte fino a 30 metri.
A Cabras sono orgogliosi, hanno scoperto che i Giganti valgono tanto oro quanto la bottarga. Chissà se anche il resto della Sardegna si renderà conto che il suo patrimonio archeologico potrebbe diventare il nuovo tesoro dell’isola.

Fotografie Di Gianmario Marras