di Federico Geremei | Fotografie di Giacomo Fè
Viaggiare sulle acque interne scozzesi tra chiuse e laghi. Per scoprire un mondo di vogatori, amatori e flaneur fluviali. Lontani dalla Brexit
Firth, muir, dun e linn. Ben e glen. E poi loch, ovviamente, senza perseverare nell’errore dicendo “Lago di Loch Ness” invece di “Lago di Ness”. Partiamo da quest’inciampo topografico/tipografico, col gaelico a punteggiare un itinerario liquido lungo le waterway scozzesi. Da Edimburgo a Glasgow coi canali Union e Forth & Clyde fino al Caledonian Canal tra Fort William e Inverness. Nelle parti all’asciutto i due parchi nazionali più antichi, tenendo l’acqua, quella dolce, sempre in primo piano e quella salata di golfi e baie sullo sfondo – però vicina, in Scozia non si è mai a più di cento chilometri dal mare. Non basta? C’è la scotch water per eccellenza, il whisky delle distillerie lungo il percorso. Lo Union Canal a guardarlo su una mappa pare un fiume e in parte lo è: una traccia bluastra di cinquanta chilometri che si srotola da Fountainbridge a Falkirk, assecondando le volute del Firth (estuario) of Forth. Sono passati due secoli da quando il parlamento scozzese emanò la legge con cui consentì la costruzione del Canale dell’Unione. Correva il 1817. Cinque anni dopo era pronto. Nessuna chiusa da manovrare, il viavai di mattoni e carbone (e poi passeggeri) seguiva solo il ritmo del passo dei cavalli, forza motrice di quest’epoca ottocentesca. Che durò però poco: vent’anni dopo venne aperta la Edinburgh & Glasgow Railway, il ferro ebbe la meglio sull’acqua e quell’arteria fluida smise di pompare. Il primo segmento unisce Edimburgo a Ratho, segue l’autostrada M8 ed è solo un assaggio: l’aeroporto della capitale si trova lì vicino e l’eco urbana si stempera con calma nel diporto di vogatori e armatori, tra flaneur fluviali e houseboat. I venti chilometri lungo la M9 per Linlithgow sono i più densi. Il ponte-canale Almond – le mandorle non c’entrano, l’etimo rimanda ad almon (torrente) – si presenta con quattro arcate e centotrenta metri di corridoio navigabile. Con l’Avon si replica a soggetto ma i numeri pesano: è lungo il doppio, le campate sono il triplo ed è il più alto di tutto il Paese. Con la terza tappa si raggiunge la zona di Grangemouth, una volta era qui vicino che i due canali si connettevano. Vale la pena approfittarne per un giro a ritroso lungo il litorale – con soste a Bo’ness e al Blackness Castle – e puntare poi alla Falkirk Wheel. Prima della costruzione della ruota le imbarcazioni scendevano dallo Union al Forth & Clyde tramite un sistema di undici chiuse che si trovano oggi sotto ad asfalto ed edifici. Col boat lift si risparmia tempo (basta un quarto d’ora) ma ne rimane abbastanza per un selfie con l’opera di ingegneria più celebrata di Scozia. Ci si mette in coda in un bacino di collegamento, si entra nel Rough Castle Tunnel – la prima galleria fluviale scavata in oltre un secolo, incrocia l’antico tracciato del Vallo Antonino – e si scivola lentamente su un ponte-canale, in attesa di uno dei due cassoni. Quando è pronto le paratie si abbassano e la giostra parte; venticinque metri in basso succede lo stesso. Archimede e il suo principio garantiscono che la massa di acqua, barche e pesci, – spesso qualcuno guizza e s’imbuca – sia la stessa: 250 tonnellate. Meccanica di precisione e bassissimo impatto energetico e al resto ci pensano idraulica ed elettronica.
Il totem vero e proprio è però un altro, sta nel vicino complesso The Helix, si chiama The Kelpies ed ha la forma di due teste di cavallo. Le ha disegnate Andy Scott, scultore locale, come omaggio a tutti i Clydesdale horse, cavalli da tiro a cui sono stati agganciati carri, chiatte stracariche. Un migliaio di pezzi di acciaio tubolare creano così due spazi vuoti alti trenta metri. Al primo – Duke, il purosangue che sbuffa al cielo – si accede, l’altro (Baron) va ammirato da fuori. Il canale di raccordo col Carron è proprio lì sotto e fino a pochi mesi fa non aveva una vera denominazione. La regina ha però rimediato e si è presentata per dare il proprio nome a quel mezzo miglio di acqua che unisce, oltre i muri che dividono. In tempi di Brexit non è poco. Se lo Union è un buon compendio di storie e ambienti, spunti e appunti di quell’epopea, il Forth & Clyde Canal ne è la quintessenza. Interessi privati, prestiti pubblici e manovalanza varia: il tris del pioniere era servito. Quando è stato inaugurato nel 1790 si chiamava Great Canal ed era destinato a essere il primo passaggio artificiale a collegare due mari, con l’estensione a Bowling. Il taglio di Suez venne infatti completato ottant’anni più tardi e per Panama ce ne vollero altri quaranta. È lungo come lo Union ma s’interrompe in media ogni chilometro e mezzo ché qui di chiuse ce ne sono parecchie, 39 in tutto. Il declino è stato però parallelo: dismesso a metà degli anni Sessanta del Novecento, è rinato anch’esso col progetto Millennium Link.
La marina di Auchinstarry è un bell’esempio di rilancio e prima sosta con le colline di Kilsyth da un lato e Kirkintilloch più avanti. Il passaggio dalle contee di Lanark e Dunbarton sfuma invisibile, si avverte invece Glasgow: cinquanta sfumature di marrone, altrettante di verdi opachi e bagliori di grigio. Il tratto più interessante è però l’ultimo, oltre la minimetropoli, lungo il Clydebank. Sbrecciato e commovente, il passato industriale s’impone oltre la patina della retorica d’ordinanza. Qui si costruivano e varavano le navi di stazza massima, quattro su tutte: il Lusitania (all’epoca la più grande al mondo) e le tre ammiraglie Queen Mary, Queen Mary 2 e Queen Elisabeth. La Titan Crane si staglia ancora lì, celeste, a sancire l’ennesimo primato muscolare – è stata la prima gru elettrica mai costruita – e fare da piattaforma a chi si voglia lanciare con un elastico intorno alle caviglie. Molto di quello che animava quest’hub iperattivo va ora intuito o immaginato, come i turni segnati dal gigantesco orologio della fabbrica Singer: tredicimila macchine per cucire a settimana, rain or shine, pioggia o sole. Da Glasgow a Fort William basterebbero due ore e mezza ma prendiamocela comoda, seguiamo a piedi la John Muir Way e lasciamo il Vallo dietro ai talloni. La cesura che ci interessa è un’altra: la faglia che divide le Lowlands dalle Highlands passa da queste parti e corre in mezzo al Loch Lomond, il lago più esteso della Gran Bretagna e due coste diversissime. Quella orientale è intatta e sonnacchiosa, l’altra snocciola un parterre d’opulenza: campi da golf, manieri, porticcioli e ville. C’è anche un altro record, l’isola britannica più grande dentro a un lago è qui, si chiama Inchmurrin. La regola-del-loch ammette un’eccezione e da queste parti c’è anche un lake, il Menteith. Sulla sua isola più grande, Inchmahome, venne messa in salvo Maria, la regina degli scozzesi, allora bambina. Ora che siamo nelle Terre Alte il pantheon dell’oleografia da souvenir s’affolla compatto: kilt e clan, William Wallace, e il mostro Nessie e lo scotch in botte.
Dal parco dei Trossachs raggiungiamo Fort William seguendo il profilo della litoranea lungo il tratto più bello della Argyll Coastal Route. Uno sguardo al Loch Linnhe, scuro eppure brillante, e poi la tripletta Lochy-Oich-Ness: una cerniera di tre laghi allineati, separati – ops, uniti – a formare il Caledonian Canal, cento chilometri di Great Glen. Se si segue il profilo destro il panorama lo scandiscono colline che si fanno monti e fiumi che entrano ed escono da minilaghi. Dall’altra parte le viste sono meno ingombre di verde, la scala cambia – valli più ampie, loch meno nascosti – e maestosità addomesticata. Il canale è però come una rampa, invita ad arrivare fino in fondo. Lì ci sono Inverness, la sua baia e le sue isole con delfini e leoni marini. E poi le belle Beauly e Nairn.