Viaggi d'autore. I giardini sono lo specchio dell’anima

La scrittrice italo-inglese spiega come la cura delle piante racconti molto dei luoghi. E ci rivela come (e dove) sia nata la sua passione per la botanica

Avevo 7 anni. Zia Anna, la cugina preferita di mia madre, aveva assunto il ruolo di mia madrina. Un pomeriggio volle portarmi in visita dalla sua amica Erminia. Per strada mi raccontava che Erminia e il marito avevano creato nel loro villino a San Leone, la marina di Agrigento, un giardino bellissimo. «Ti piacerà» mi disse, e poi, «Attenta a non toccare nulla, in quel giardino». Ero rimasta perplessa. Mai nessuno mi aveva vietato di toccare le piante; di non romperle, di non togliere i fiori, sì. Ma accarezzare una foglia, piegare un ramo di mimosa per annusare il profumo dei fiori, passare la mano sulla corteccia di un giovane tronco, era il mio modo per conoscere godere e amare le piante.
Il villino consisteva di una casetta quadrata a un piano, con il giardino sul dietro. L’amica della zia, una professoressa alta e con gli occhi chiari, parlava con l’accento “di fuori” (era veneta). Le due grandi vetrate del soggiorno erano spalancate sul giardino: una massa di verde e di colori, come un quadro. Sembrava che le piante fossero lì davanti, alte e rigogliose, pronte a chiedere il permesso di entrare in casa. Sotto un antico olivo ci aspettava la tavola con i rinfreschi – taralli e limonata. Mi venne l’acquolina in bocca. La zia se n’era accorta. «Prima visitiamo il giardino», mormorò. Ci rimasi male. Ero golosa e, a paragone di quello di Mosè, la nostra campagna, quel giardino era minuscolo. Indispettita, pensai che mi avrebbe delusa. Mi sbagliavo.

 

C’era di tutto: alberi, cespugli, piante rampicanti, cactus, perfino papiri e piante acquatiche in una vasca non più grande di una tinozza, separati da vialetti serpeggianti. Camminavamo lentamente per osservare tutto bene, e a ogni passo avevo l’impressione che il giardino si allargasse a dismisura, tanto c’era da vedere. Vasi di gerani in piena fioritura erano posati tra le piante che non avevano più fiori. Dovunque, le gradazioni di verde delle foglie e i colori vividi dei fiori armonizzavano tra loro perfettamente. Piccolissimi spazi davano un senso di profondità, un salice piangente contrastava il fogliame denso e confuso di un albero dalle foglie enormi, a me sconosciuto. Tutto, dalla ghiaia dei vialetti, ai sedili posti davanti a scorci particolarmente interessanti, ai vasi di terracotta traboccanti di begonie sui muretti, era “pensato” ed “esposto” come se il giardino fosse un salotto.
La padrona di casa ci raccontava la storia di alcune piante: «Questa viene da un rametto che ho ‘rubato’ da un albergo di Taormina», e indicava un cespuglio alto dalle foglie a forma di cuore, lucidissime e larghe quanto la sua mano. S’era fermata dinanzi a una pianta invasata, coperta di fiori rosa, una bellezza. «Questa azalea è il dono di mio marito per il nostro primo anniversario di matrimonio». la signora Erminia accarezzava una foglia, teneramente, e poi, «È una pianta delicata. Lui lo sapeva, che io desideravo tanto avere un giardino... Ci fa compagnia in casa, d’inverno.»

Sorseggiando la limonata, mi chiedevo perché nel nostro giardino la terra era brulla, e le sole piante fiorite erano i gerani e i gelsomini? Perché la mia mamma che sapeva ricamare fiori dai colori stupendi e disegnava tanto bene non aveva creato a Mosè un giardino simile a quello? Non mi rendevo conto dell’immenso lavoro richiesto per creare e mantenere un giardino, soprattutto in un posto come la costa meridionale della Sicilia, dove non piove per sei mesi l’anno.
L’amica della zia mi aveva fatto capire che curare con amore le piante di un giardino o quelle nelle terrazze e nei balconi è anche un modo di comunicare con gli altri e di esprimere la propria natura liberamente, mantenendo il proprio pudore.
­­Quando entro in una casa cerco di conoscere i suoi abitanti attraverso le piante e i fiori che vedo (o la loro assenza). Faccio lo stesso con città e paesi: una buona amministrazione comunale e il senso civico dei suoi abitanti si esprimono attraverso la cura delle aiuole e dei parchi. Ogni volta che visito un posto nuovo, mi informo su cosa mangia la gente, dove va per divertirsi, come cresce i propri figli e cosa fa per i poveri.
Ma non basta. Sono curiosa, voglio conoscere l’anima di quella gente.
E chiedo se c’è un orto botanico. Questo soltanto – la raccolta della flora della nazione o di posti lontani, gestita dallo Stato o da benefattori privati e resa accessibile al pubblico – rivela l’animo di un Paese e l’importanza che i suoi abitanti danno alla natura.

Illustrazioni di Jean Blanchaert