C'era una volta la foresta padana

Illustrazione si Franco Spuri Zampetti

 L’oasi di Bosco Negri, vicino Pavia, ultimo lembo dell’enorme bosco che un tempo occupava tutta la pianura Padana, dal Piemonte fino a Ravenna

 Dovete immaginare che la grande pianura padana era nell’antichità una sola immensa foresta nordica, cresciuta dentro un reticolo di fiumi, torrenti, rogge, paludi e popolata dalle varietà della famiglia delle querce, dal Piemonte fino a Ravenna. Dove i Romani piantarono le pinete ancor oggi esistenti per ricavare il legno per la loro flotta ­militare adriatica del porto di Classe. Grande foresta nordica quindi, popolata stabilmente di lupi, cinghiali, caprioli, cervi, linci, gatti selvatici. Tanta foresta e tanta acqua. Talché fino all’800 si andava in barca da Bologna al mare. Nel medioevo (le bonifiche romane cominciano presto, in periodo repubblicano) parecchi terreni da coltivare erano stati sottratti al bosco e alle padule, ma vere e proprie foreste sfioravano ancora le città di pianura come Vigevano e Pavia, porto sul Ticino. Qui tutti i monasteri – che premevano per nuove terre da coltivare – avevano le loro cellae, i loro magazzini, essendo il Po, lì vicino, la più grande arteria commerciale d’Europa. Andiamo appunto qui, alle porte di Pavia dalle rosse torri, sulla riva destra del suo bel fiume (il Ticino, per me il più bello d’Italia) per addentrarci in un’oasi chiamata Bosco Negri, dal nome della famiglia pavese che nel 1968 lo ha generosamente lasciato in eredità al Comune di Pavia. Entrando, avrete la sensazione di essere come in una foresta vergine. E così è.

Da decenni infatti il Bosco, oggi di 34 ettari, gestito dalla Lipu, non ha più conosciuto interventi dell’uomo. Gli alberi hanno una altezza media sui 30 metri, ma arrivano anche a 40. In prevalenza sono farnie (Quercus robur) accompagnate nelle zone più umide da pioppi bianchi e neri. Diffusissima l’edera. Meno, oggi, la vite silvestre. Nel sottobosco vigoreggiano i nocciòli, fra biancospini, ligustri e cappelli di prete. Immaginate allora che, ai tempi in cui Pavia diventava una città, tutta la valle del Ticino e quella del Po erano così. Un verde fitto, un intrico di piante e di arbusti, di bosco e sottobosco fra le acque. Un autentico paradiso della biodiversità, vegetale e animale. Attraversato ogni tanto da porcari, cacciatori e pescatori che puntavano ai carpeliones e nel Po agli storiones magnos. Qui è il regno di uccelli come il picchio, presente in quattro versioni: il picchio rosso maggiore, il più comune, il picchio verde, più raro e difficile da individuare, il torcicollo che nei mesi di gelo emigra verso il caldo, e il picchio rosso minore. Ovviamente ci sono i rapaci come l’allocco e d’inverno planano qua poiane e sparvieri dal volo solenne. Ricco il popolo dei ricci, dei tassi e delle volpi. Naturalmente all’Oasi – visitabile da marzo a giugno e da settembre a novembre – i volontari della Lipu offrono servizi educativi, per adulti e bambini (si possono festeggiare qui pure i compleanni dei piccoli), visite guidate a tema, anche notturne, animazioni teatrali lungo i sentieri. Non dimenticate: mete come il Castello di Belgioioso e la stessa Pavia sono a pochi chilometri.

Illustazione di Franco Spuri Zampetti