Valnerina. Umbria, di nuovo in sella

A un anno dal terremoto siamo tornati nelle zone colpite. Dove si può di nuovo, delicatamente, fare turismo. Magari a cavallo

Era tanto tempo che non montavo a cavallo. Una antica passione accesa da ragazzo sui Pratoni del Vivaro e nelle vaste campagne di Sacrofano, nel Viterbese. Butteri e cavallari trasformatisi in gestori di rustici maneggi ci permettevano di scorrazzare in sella a impigriti mezzosangue e a enormi maremmani per sentieri e campi, senza badare troppo all’etichetta, alla disciplina e alla tecnica: l’importante allora era restare in sella. Ed era comunque un modo – magari naïf – per conoscere ed entrare in contatto ravvicinato con quel bizzarro animale chiamato cavallo.
Poi era arrivato il mestiere di giornalista  – anche sportivo – che mi aveva portato a Milano e grazie a questo passepartout avevo imparato a entrare negli ippodromi, a conoscere la lunga e affascinante storia dei cavalli, le genealogie dei purosangue, i grandi allevatori, i fantini, i critici, gli esperti, le vittorie (e le disavventure) di mitici conquistatori dell’Arc de Triomphe o del derby del Kentucky.
Avevo insomma sviluppato la conoscenza e la teoria ma avevo un po’ perso la parte più divertente, quella pratica, fatta di sveglie antelucane, precisi riti in scuderia, preparazione, sellaggio, pulizia dell’animale nel paddock, giri nel tondino, riscaldamento nel maneggio e poi finalmente via al galoppo...

La passione è riesplosa improvvisa proprio qualche mese fa quando sono stato invitato a partecipare come giornalista a questo trekking a cavallo nelle terre scosse dal terremoto in Umbria dello scorso anno. Un modo molto intelligente e una originale forma di rilancio del turismo lento e dolce, proposto, in occasione del recente Salone del turismo rurale a Bastia Umbra, dagli imprenditori locali dell’accoglienza e della ricettività turistica, i centri ippici, gli agriturismi, i bed and breakfast, i ristoranti, gli alberghi...  per coinvolgere giornalisti italiani, europei e americani, a raccontare con la loro testimonianza e con l’esperienza che più diretta non si può, la situazione ambientale e la possibilità di fare turismo anche nell’area più colpita dal terremoto.

E un modo utile anche a spazzare via o a ridurre quell’eccesso di paura che si era diffusa indiscriminatamente e a macchia d’olio e che coinvolgeva di fatto l’intera Italia centrale, dall’Umbria alle Marche, dall’Abruzzo all’Alto Lazio, anche aree cioè non coinvolte minimamente dai sismi di luglio e di ottobre 2016. Una preoccupazione che ha tenuto lontano almeno la metà dei visitatori italiani e stranieri generalmente presenti in queste zone.
Ed è così che ci siamo trovati una mattina di luglio, stivali, ghette, cappelli, mantelle antipioggia, qualche cap tecnico, con un gruppo eterogeneo di colleghi, chi esperto cavaliere, chi collaudata amazzone, chi con qualche rudimento, chi senza mai avere montato, davanti alle scuderie della Malvarina, un vero gioiello dell’ospitalità rurale, tra i primi agriturismi dell’Umbria, posto alla base del monte Subasio, in mezzo agli uliveti tra Assisi e Spello. Davanti a noi, silenti come scolaretti il primo giorno di scuola, la mole imponente brusca e bonaria di Claudio Fabrizi, paron della Malvarina e storica avanguardia dell’agriturismo della regione, un passato nella finanza, ma appassionato di cavalli da sempre e ideatore del nostro tour. Sarà lui a guidarci sui sentieri segreti dell’Umbria, con il suo staff di esperti volontari, la guida turistica Beppe Bambini, l’amico imprenditore (e per anni master della Quintana di Foligno) Ulderico Gregori.
Conosciute e preparate le nostre cavalcature, montiamo in sella. A me è toccato Sole, uno scattante ma placido biondo, mezzo quarter horse, mezzo avelignese. Per maggiore comodità e prevedendo le asperità del percorso ho scelto una comoda sella di monta americana. In fila indiana e al passo circumnavighiamo il centro storico del magico borgo di Spello e ci inerpichiamo lungo la strada degli ulivi e la valle del torrente Chiona. Attraversiamo la via Flaminia Vecchia, ammiriamo l’antica pieve romanica di S. Giovanni Profiamma e iniziamo a risalire il letto di torrenti in secca e a percorrere tratturi.

Siamo avvolti dal bosco di vetusti faggi e di querce secolari della valle della Chiona. Il sentiero si fa più duro e in salita: spesso ci alziamo sulle staffe per facilitare l’andatura dei cavalli e risaliamo la valle dell’Altolina fino a Pale. Il nostro arguto tour leader, approfittando del ritmo lento della carovana tiene banco con storie, leggende e personaggi dei luoghi che attraversiamo. Racconta che la montagna di Foligno con Spoleto e Colfiorito, ha da tempo immemore la fama di essere parte del “triangolo delle guarigioni”, dove cioè, grazie alla presenza di santuari terapeutici, si veniva a guarire da pestilenze e malattie varie.
A parte il rumore delle nostre chiacchiere e il calpestio degli zoccoli, siamo avvolti in un silenzio magico. Non si vede alcun segno del pur recente terremoto. Claudio, coperto da una cerata imposta da rari sgrulloni di pioggia, ci mostra le edicole campestri devozionali cariche di ex voto per grazie ricevute, e ci indica l’eremo di S. Maria Giacobbe, raggiungibile solo a piedi, dove fino a qualche anno fa viveva l’ultimo eremita di una serie millenaria di uomini solitari.
È ora di mangiare e fa molto caldo nella gola di Pale, borgo con il convento di Sassovivo e antico avamposto longobardo arroccato sul fiume Menotre, dove è fiorita una secolare industria della carta precedente alla più blasonata Fabriano (la voce popolare vuole sia stata stampata qui la prima copia della Divina Commedia). Non c’è tempo per verificare ma la storia dell’eremita ci ha colpito, così mentre i cavalli pascolano in un prato i più arzilli di noi si inerpicano a piedi su per un sentiero pietroso che a ripidi tornanti ci porta fino sotto un’enorme roccia con panorama infinito sulla valle di Foligno. Arriviamo boccheggianti per la calura e l’assenza d’acqua, ma la soddisfazione ripaga la stanchezza. Dentro la spaccatura della roccia una piccola cappella, un antro affrescato con i resti di un focolare e dappertutto santini, foto ed ex voto di soldati sopravvissuti a guerre dimenticate.

L’ultimo eremita ha vissuto qui fino al 1960. Ma qui verifichiamo un’altra leggenda di cui ci aveva parlato Fabrizi. In due affreschi ben visibili appare, inspiegabile, l’immagine di un calice vicino alla figura del Cristo. Un rimando al Santo Graal?
Riscendiamo in paese e per contrastare la calura ci immergiamo sotto le volte delle grotte dell’Abbadessa, una Frasassi in miniatura, solo da poco aperta ai visitatori grazie all’impegno di un gruppo di giovani speleologi. Uno sguardo e un sospiro alle allettanti cascate del fiume Menotre che è già ora di ripartire per raggiungere Cancelli e poi il traguardo della nostra prima tappa, l’agriturismo Borgo La Torre.
Abbiamo percorso 35 chilometri in circa sei ore e cominciamo ad avvertire la fatica dell’impresa che abbiamo affrontato con una certa leggerezza e senza alcuna preparazione. Ma il calore dell’accoglienza di Andrea, il proprietario ed ex console del Touring Club Italiano, e della madre Rita, insegnante ma soprattutto una appassionata divulgatrice della storia della zona ci fa dimenticare il dolore al fondoschiena. La cucina saporita realizzata con i prodotti dell’azienda, il pane fatto nel forno con antiche farine autoctone, le lenticchie di Castelluccio (più piccole e gustose), le paste artigianali, i polli ruspanti, le patate rosse di Colfiorito, i bigné artigianali, i vini umbri ci rimettono in pace con il mondo e siamo pronti ad affrontare il giorno successivo: la traversata in quota che risale il Menotre, con tappa al santuario delle Madonna delle Grazie di Rasiglia (un caratteristico borgo-presepe attraversato da canali d’acqua fresca e pulita), al Ponte S. Lazzaro di Verchiano, all’antico borgo fortificato di Pupaggi, e a Sterpare. Dopo 25 chilometri e cinque ore di sella siamo giunti alla base dell’altopiano di Colfiorito.

Intanto il gruppo si è ampliato. Ci raggiunge e si unisce a noi un gruppo di mulari, appassionati di muli montati, associazione nata a Roma di “pentiti del cavallo” che hanno scoperto le virtù dei più modesti muli per le loro escursioni. Si vestono da veri cowboy, cantano ballate a squarciagola e viaggiano completamente indipendenti. Nelle ampie bisacce appese alle groppe dei loro animali hanno cacciato accessori per ogni evenienza, fornelli a gas, moka, tenda, sacchi a pelo, medicinali, ferri di ricambio e corde per delimitare i bivacchi notturni. I muli, ci spiegano, sono diversi da quelli da soma, ma sempre frutto di incroci tra cavalle e asini e pare siano gli animali più adatti per escursioni in campagna anche se non disdegnano il galoppo e le evoluzioni ippiche. Per dimostrarcelo si schierano su un prato ed eseguono un carosello con figure da concorso di dressage.
I giorni passano, i chilometri si accumulano, i muscoli sono messi a dura prova, qualcuno cade da cavallo ma si rialza senza danni, ma lo spettacolo della natura che ci circonda vale la fatica: le cascate delle Rote, il guado del fiume Nera a Cervara, l’enclave marchigiana di Mevale, Saccovescio, Montesanto di Civitella, infiniti pianori, campi di frumento mietuti, gli altopiani, le oasi naturalistiche di Colfiorito.
Ci resta l’ultima tappa, la più bella e la più impressionante. Ci avviciniamo al cuore del sisma. Siamo sempre in quota, sullo sfondo l’orrenda fenditura provocata dal sisma sul monte Vettore. Ma qui, circondati da dolci prati e di greggi al pascolo il terremoto sembra lontano, irreale. Intravediamo Norcia in fondo alla valle. Seguiamo il sentiero Italia sul crestone erboso. Scavalliamo la cresta e ci appare la piana fiorita di Castelluccio. Tutto sembra perfetto, da cartolina. Solo avvicinandoci al paese ci accorgiamo che del borgo poche case sono rimaste in piedi e il silenzio che avvolge il nostro campo base è del tutto innaturale.

Fotografie di Alessio Vissani