di Enrico Saravalle | Fotografie di Lorenzo Palizzolo
Un itinerario insolito, nel Sud dell’Isola, percorrendo a ritroso uno dei pochi corsi d’acqua siciliani, il Platani. Per scoprire luoghi, persone e sapori indimenticabili
«Amunì (andiamo)?» chiede Pierfilippo Spoto, anima, mente e braccio di Val di Kam, start-up di turismo esperienziale che opera in un angolo di Sicilia arcaica, toccato raramente dai turisti. Siamo nell’area dei monti Sicani e della valle del Platani, a poche manciate di chilometri dalla Valle dei Templi di Agrigento, dalle rovine di Selinunte, dalle marne candide della Scala dei Turchi e di Capo Bianco. Ed è proprio il fiume, il Platani, a guidare i passi e le camminate di Pierfilippo, che ne segue la corrente, tra sentieri e regie trazzere, a cavallo, a piedi, con un fuoristrada d’antan.
«Amunì?», ripete. Ma sì, andiamo. Pronti a scoprire un territorio aspro, rude, selvatico, primitivo a tratti. E al tempo stesso forte, emozionale, vero. Pronti, anche, a incontrare persone, o meglio, personaggi dal carisma invidiabile.
Luogo di bellezza magica, la foce del Platani è parte integrante dell’omonima riserva che comprende la parte finale del fiume e il lungo litorale di Borgo Bonsignore (Ag). I colori del mare africano e la macchia mediterranea nascosta in una pineta fanno da cornice a una spiaggia interminabile su cui si alternano, fino ai piedi di capo Bianco, arenili sabbiosi e dune. Alle spalle, una collina conserva, come in uno scrigno, le rovine dell’antica colonia greca Eraclea Minoa. Come diceva Leonardo Sciascia: «Se vuoi conoscere la vera Sicilia, devi andare all’interno». E allora, lasciati alle spalle mare e dune, seguiamo il corso pigro del Platani, sotto l’occhio attento di Pierfilippo.
La prima sosta è Sant’Angelo Muxaro che, arroccato su una collina rocciosa, spunta all’improvviso tra rilievi, valloni e anse del fiume: «È la migliore porta del comprensorio – dichiara convinto il nostro canuscituri (letteralmente, il conoscitore, l’esperto) – se è vero che qui, secoli fa, prima dei conquistatori Greci, risalendo la corrente del Platani arrivarono i Sicani. Erano guidati, racconta la leggenda, dal mitico re Kokalos e qui fondarono Kamikos, capitale del loro regno, fortificata addirittura dall’archistar più famosa del tempo, Dedalo.»
Una visita al MuSam (il museo archeologico extrasmall di Sant’Angelo Muxaro) conferma le parole del canuscituri: tra corredi funerari, installazioni multimediali, pannelli e ceramiche si scopre la storia, fantastica, e reale insieme, del primo popolo che ha abitato la Sicilia. Vasi, monili e utensili sono stati ritrovati nelle sepolture, a tholos o a grotticelle e nella monumentale Tomba del principe (la leggenda dice che qui sia stato sepolto il mitologico Minosse) scavate nei fianchi gessosi della collina. Nei prati intorno alla necropoli, poi, non è difficile incontrare Angelo Greco, il “pastore degli occhi azzurri” (qui tutti si conoscono con la ‘nciuria, il soprannome). Venticinque anni, quarta generazione di allevatori e mandriani, Angelo è un personaggio da film: mentre in dialetto arcaico racconta la sua giornata, incita con fischi e ordini appena sussurrati il suo border collie a far muovere centinaia di pecore. Una sosta in paese, poi, è d’obbligo: qui, infatti, si assaggiano ricotte, tume, pecorini preparati da Olga (la mamma di Angelo) in un microcaseificio.
Il Platani chiama e si continua, allora, a seguire a ritroso il suo corso, scoprendo che la sua valle è una terra benedetta dove il clima, la fertilità dei suoli e la sapienza contadina del popolo sicano regalano prodotti ineguagliabili: uliveti e vigneti si inseguono lungo i crinali delle colline, inframmezzati da campi di frumento – qui si coltivano ancora i grani dai nomi antichi: tumminia, perciasacchi, russello –, da pistacchieti (il pistacchio della valle del Platani non ha niente da invidiare a quello di Bronte ed è pronto per ottenere la dop) e mandorleti. E allora una sosta a due aziende agricole della zona è doverosa. La prima è Luna Sicana (omen nomen): un centinaio di ettari sparpagliati lungo il corso del Platani dove Costanza Trevisan, la giovanissima proprietaria, produce vini d’eccellenza da vitigni autoctoni come il nero d’Avola e il catarratto, e poi olio extravergine (da cultivar indigene di nocellara, biancolilla e coratina) e ovviamente pistacchi.
L’altra realtà, tra i territori di Sant’Angelo Muxaro, Casteltermini e San Biagio Platani, è quella della Tenuta San Giovanni, che funziona anche da fattoria didattica. Qui, si incontra Angelo Leto, l’agricoltore “custode” che accanto a vigne e ulivi coltiva antiche varietà di frutta a rischio di estinzione come il fico natalino, la pesca tabacchera, l’albiccoca faccirussa e il famoso pistacchio santangilisi, impollinatore d’eccezione che nel corso dell’anno fiorisce ben tre volte.
San Biagio Platani è a una manciata di chilometri dalla Tenuta San Giovanni: anche qui molto da sapere, da vedere e da scoprire. Il paese è famoso per una delle più spettacolari feste della Settimana Santa, la processione di Pasqua, durante la quale le statue di Cristo Risorto e della Madonna percorrono il corso principale del paese, trasformato, per l’occasione, nelle navate di una chiesa en plein air grazie ad architetture effimere di canne, vimini, rami, giunchi (alcuni modellini e parti delle strutture sono visibili al Museo degli Archi di Pasqua).
Si diceva che questo tour sicano permette l’incontro ravvicinato con personaggi carismatici. E a San Biagio c’è lui, Aldo Bongiovanni, “l’uomo che sussurra alle piante” pronto a guidare botanici in pectore e aspiranti erboristi in una passeggiata sensoriale tra i sentieri di un giardino profumato da decine e decine di piante aromatiche, erbe officinali, arbusti della macchia mediterranea, dove gli aromi, le texture e i sapori di rosmarino, mentuccia, timo, finocchio selvatico, nepitella, salvia, alloro fanno la gioia di odorato, tatto e gusto. Aldo racconta le sue tante passioni: per le erbe officinali, per la scultura e la pittura, per la scrittura di fiabe e per la dragologia, per la produzione di elisir, tinture madri e infusi e per le antiche varietà di piante, che lui, ovviamente, coltiva in modo biologico e biodinamico.
Il viaggio lungo i sentieri percorsi da secoli dai pastori e dalle loro greggi continua e continua l’avventura a contatto con una Sicilia inviolata, dove sopravvivono tradizioni e costumi arcaici.
Se i paesi disseminati lungo il corso del fiume, adagiati sul fondovalle o arroccati su rilievi brulli, sono pronti a regalare visioni da cartolina, i loro abitanti ti accolgono con un sorriso di benvenuto, pronti a spartire con te pane cunzatu e un bicchiere di vino, a mostrare i piccoli grandi tesori della loro terra, a raccontare le loro storie, prima di chiederti «Chi sei? Da dove vieni?». Proprio come succedeva secoli fa nelle polis greche, dove l’ospite, sacro, era considerato la personificazione di una divinità.
Pochi chilometri ancora più su e si arriva alla sorgente del Platani, sulla dorsale di Serra Quisquina, sopra l’abitato di Santo Stefano. Accanto all’eremo che, secondo la tradizione fu il rifugio di Santa Rosalia, ci attende Lorenzo Reina, pastore e scultore (autodidatta, ci tiene a sottolineare) con una sapienza impressionante. Lorenzo alleva pecore e asine, ma nel tempo libero scolpisce e crea (una delle sue installazioni è stata ospite di Villa Bagatti Valsecchi durante l’Expo di Milano) con il tufo, la calcarenite, le rocce che trova tra i monti. Qui, lui ha realizzato una “fattoria dell’arte” con un museo che raccoglie le sue opere.
Ma la sua creazione più suggestiva e magica è il Teatro di Andromeda: costruito pietra dopo pietra in trent’anni di lavoro, come gli antichi teatri greci si spalanca su un paesaggio che abbraccia i monti, la valle del Platani e il Canale di Sicilia. «Pronto – sostiene Lorenzo – a ospitare un concerto di Joan Baez!».