Gioielli di famiglia. Nel borgo allegro e tollerante

La dolce vita romagnola di Bertinoro a base di vino docg e musei multireligiosi

 

Bertinoro svetta sulla pianura romagnola che va verso l’Adriatico. Coronata di viti, a tutti è nota quale patria dell’albana, il primo bianco (secco e amabile) docg. Essa è anche nota pure come la città dell’ospitalità e a riprova esibisce in centro l’antica colonna “delle anelle” alle quali ai cavalieri di passaggio bastava attaccare la cavalcatura per essere automaticamente ospiti della famiglia nobile bertinorese indicata su quell’anella. Da queste parti, a Monte Poggiolo di Forlì, è vissuto circa un milione di anni fa un Homo Erectus, piccolo ancora, sul metro e 20, arrivato dall’Africa via Sicilia, senza dover attraversare, all'epoca, il mare.
Bertinoro è un bel borgo medievale, feudo dei Polentani che a Ravenna ospitarono, finalmente in pace, l’esiliato Dante Alighieri. Un borgo di mattoni arrampicato su di un colle dal quale si gode un panorama, quand’è chiaro, dei più affascinanti. In cima a esso la Rocca, costruita prima del Mille, e il Palazzo arcivescovile ora adibito a museo. E qui entriamo in un’altra storia bertinorese: un museo interreligioso nel quale sono esposti insieme paramenti religiosi cattolici ed ebraici, provenienti dalle stesse manifatture locali. Mitrie, piviali, guanti decorati, stole delle chiese e tallèd, kippah, tabbit delle sinagoghe.
Ora nel borgo spunta un quartiere dedicato a un certo Ovadja Yahre. Chi è? Uno degli ebrei della comunità presente qui fin dal Trecento, sapiente fin dalla più giovane età e ben presto noto ovunque come il Gran Bertinoro. Se famosa in tanti Paesi è l’albana di Bertinoro, il Gran Bertinoro lo è in tutte le comunità israelite del mondo. Perché, partito di qui sulla mula, alla fine del Quattrocento, arrivò pian piano a Gerusalemme. Dove divenne presto il rabbino capo di una comunità piccola, perseguitata ma prestigiosissima, e il commentatore più apprezzato della Mishnah, la legislazione civile sin lì trasmessa oralmente.
A Bertinoro, sotto la piazza, c’è dagli anni Settanta la Cà d'e bé, letteralmente la Casa del bere perché da queste parti e bé, il bere, è soltanto il vino, fondata dal Tribunato dei Vini romagnoli (c’è anche un mio stemma) di cui all’epoca facevano parte i migliori intellettuali di Romagna, a cominciare dal giornalista Max David, nato a Cervia, anch’egli di origine ebraica, il quale su questi colli produceva albana, sangiovese, e magari pagadebit, un vino bianco derivato da uve resistenti alla grandine e quindi al maltempo, al punto da consentire almeno di pagare i debiti.
Paesi allegri, questi, dove si lavora molto e però molto ci si diverte. La campagna collinare, nella quale sorge la frazione di Polenta, è dolce, già un poco toscana, con cipressi e ulivi (olio d’oliva dop, ovviamente). Qui nacquero i Polentani, potente famiglia feudale. Qui si incontrano tracce di Etruschi, Umbri, Celti e poi, naturalmente, Romani.
Bella la chiesa romanica di Polenta cantata da Giosuè Carducci. Un crocevia, insomma, di etnie e di religioni.

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