di Claudio Sabelli Fioretti
4.444 scalini nei boschi dell’altopiano di Asiago. Io ce l’ho fatta. Ma in discesa
Immaginatevi 4.444 gradini. In mezzo a canyon, a boschi, a sentieri che intersecano la lunga scalinata. È roba vecchia, roba che risale al XIV secolo. Ormai è entrata nella storia. Grazie ai veneziani che usavano la scalinata per rifornirsi degli alberi dell’altopiano di Asiago, quello dei Sette comuni. Quello dove dicono che parlano cimbro ma non è vero, non dategli retta, è una leggenda come è leggenda quella di Loretta e Nicola due giovani in procinto di sposarsi ma lei anche in procinto di morire se non fosse che Nicola si fiondò giù per i 4.444 gradini e poi a cavallo fino a Padova e poi di nuovo su per i 4.444 gradini con un miracoloso unguento che salvò la vita alla sua promessa sposa. E fu così che da allora si dice che due ragazzi, se si tengono per mano e scendono, o salgono, per la scalinata che si chiama Calà del Sasso (“calà” sta per calata) senza mai staccarsi non si lasceranno mai per tutta la vita. Non è vero, naturalmente, ma vale la pena di provare e se vi viene la voglia di fare la salita, o la discesa, o tutte e due, vi capiterà di incontrarne parecchie di coppiette che si tengono per mano e così saprete anche il motivo per cui. Come avrete capito mi sono fatto anche io i 4.444 gradini. Tanto tempo fa, nel 1400, i gradini erano 4.422. Ma nel 1498, un torrente, il Ronchi, ebbe un piccolo collasso e i boscaioli aggiunsero 22 gradini, ottima mossa dal punto di vista del marketing, alla luce dei futuri risvolti turistici, ma loro non lo sapevano.
La scalinata l’ho fatta insieme ai miei due amici Giampaolo e Genny e insieme ai cani Billie (la mia), storica scansafatiche, e Pepe (dei miei amici), cane lagotto che si guadagna la vita portando alla luce splendidi tartufi. Confesso subito che noi la scalinata l’abbiamo fatta in discesa (in circa un’ora e mezza). Credevamo di fare i furbi evitando i più che 700 metri di dislivello dal letto del canale di Brenta alla frazione Sacco, del comune di Foza, uno dei sette comuni dell’altopiano, dove dicono di parlare cimbro ecc. ecc. Ma abbiamo preso un granchio non tanto perché fare i gradini in discesa fa più male alle ginocchia e ai polpacci che farli in salita. Quanto perché in autunno le foglie si depositano sul granito degli scalini e rendono estremamente scivolosa e pericolosa la gita. Gita che, diciamolo subito, è un po’ monotona come tutte le passeggiate dentro i boschi, belle per la parte botanica, per gli alberi, per i colori, per i fiori, ma povera di quegli scorci panoramici, di quelle improvvise aperture, di quei romantici tramonti ai quali ci hanno abituato le nostre montagne. E giunto alla fine di questo umile raccontino vi dico finalmente la caratteristica più strana, più singolare e anche più buffa di questa scalinata. I gradini sono gradini, come tutti i gradini del mondo, qualcuno più alto, qualcuno più basso. Ma alla sinistra dei gradini (alla sinistra scendendo) la scalinata ha una specie di canaletta, sempre di granito, ancora più scivolosa dei gradini. E meno male, perché serviva, appunto, per fare scivolare i tronchi destinati a raggiungere il canale di Brenta e poi, scivolando nell’acqua, l’Arsenale di Venezia. Dove diventavano alberi e fasciame per le navi della flotta della Serenissima. Il lavoro dei boscaioli, così, veniva alleggerito, anche se, al ritorno, si caricavano la schiena di farina e di sale. Un po’ faticoso non vi pare? Io non lo so perché noi, il ritorno, lo abbiamo fatto in macchina, fermandoci anche a mangiare polenta e baccalà nella Trattoria del Tornante. E ne valeva la pena.