Una foto, una storia. Una Cina made in Italy

@Archivio Fotografico Tci

Tra il 1901 e il 1943 il nostro Paese ebbe una “concessione territoriale perpetua” a Tientsin nel Nord della Cina

C’è stato un periodo della storia italiana in cui la Cina è stata davvero vicina. Tanto vicina che un pezzetto infinitesimale di quel Paese immenso per quasi cinquant’anni ha costituito a tutti gli effetti parte integrante del Regno d’Italia. E i bambini ritratti in questa fotografia con scodella e bacchette erano studenti cinesi della scuola italiana di Tientsin. Un avvenimento minore nel gran calderone della storia nazionale: poche righe nei manuali delle superiori, confinate in quelle pagine che non si arriva mai a studiare. Una storia che però fa impazzire i filatelici alla ricerca dei preziosi francobolli da 2 e 5 centesimi che raffigurano il volto del re Vittorio Emanuele III con sovraimpresso Tientsin. Dal 1901 al 1943 l’Italia amministrò un appezzamento di terreno lungo un chilometro e largo cinquecento metri lungo il fiume Hai alla periferia della città cinese di Tianjin o Tientsin come veniva chiamata all’epoca questo centro sul mare che si trova a 120 chilometri da Pechino. Era il frutto dell’impegno italiano nella spedizione internazionale che fece seguito alla rivolta dei Boxer nella primavera del 1900. L’Italia contribuì con 83 ufficiali, 1882 fra sottufficiali e truppa e 178 quadrupedi e in cambio – a cose fatte – ebbe il suo piccolo posto al sole, relativo, di Cina.

La concessione italiana non era l’unica in città: ogni potenza europea aveva avuto il suo pezzetto di terra in quella che era zona franca dal 1866. C’erano così concessioni belghe, francesi, quella britanniche, tedesche, russe e perfino una giapponese. Mentre quella austro-ungarica dopo la prima guerra mondiale passò in mano all’Italia, cui era toccato il pezzetto più piccolo e disgraziato. Il terreno in riva all’Hai destinato al nostro Paese era di pessima qualità: in gran parte costituito da acquitrini e paludi. Agli ingegneri italiani toccò bonificarlo prima di costruire il moderno quartiere di una città, una città italiana in tutto e per tutto. Architettonicamente la concessione aveva un aspetto così signorile che i cinesi lo battezzarono «la concessione aristocratica». Aveva un Municipio (oggi perduto), un consolato adornato di fasci littori, una caserma (ancora usata dai militari cinesi) dedicata al sottotenente di vascello Ermanno Carlotto, la cui morte durante la spedizione internazionale ci garantì il diritto ad avere una riparazione. E poi una chiesa, uno sferisterio voluto dall’allora ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, scuole e l’ospedale del Sacro Cuore; oltre a un reticolo di vie che, come in qualsiasi cittadina italiana, gravitavano su corso Vittorio Emanuele e piazza Regina Margherita. Intorno qualche isolato chiuso tra via Trento, via Trieste e via Fiume punteggiato di 133 eleganti villette con torretta e giardino, dove risiedeva la sparuta popolazione italiana. La colonia infatti non fu mai in cima ai pensieri dei governi di Roma, e al massimo arrivò a contare 600 abitanti italiani su un totale di poco più di 5mila. La sua storia ufficialmente finì il 10 febbraio 1947 con il trattato di Parigi, quando riconsegnammo ai nazionalisti di Chiang Kai-shek il nostro pezzetto di Cina che già dopo l’Armistizio del 1943 era de facto occupata dai militari giapponesi.

Oggi Tianjin ha oltre 15 milioni di abitanti e lo stesso fascino che rasenta lo zero delle altre città cinesi. Anche se il suo passato di città libera e cosmopolita ha lasciato in eredità una certa piacevolezza architettonica che altrove in Cina difficilmente si incontra. In parte ristrutturata negli ultimi anni da una società di Napoli, la zona della concessione italiana è un bel quartiere di palazzi eleganti annegato nella massa indistinta di grattacieli della nuova Cina. Sì è preservata solo la metà delle costruzioni, ma è un sempre un bel vedere. Talmente bello che i cinesi l’hanno ribattezzato New I-Style Town e ovviamente ci portano i turisti. Ma il legame tra l’Italia e Tianijn è ancora a suo modo forte. Curiosamente la locale squadra di calcio, il Tianjin Quanjian Football Club, si è scelta come allenatore un azzurro Campione del mondo: Fabio Cannavaro. Ovviamente il centro del quartiere è ancora piazza Marco Polo, perché è da secoli che Italia e Cina sono più vicine di quanto si pensi.

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