Basilicata. Matera, futuro aperto

Francesco LastrucciSextantioFrancesco LastrucciFrancesco LastrucciSilvestro SerraSextantio

La città lucana sarà Capitale europea della cultura 2019. A un anno dall’importante appuntamento una giornalista materana doc ci accompagna a scoprirei segreti e la bellezza dei Sassi. E non solo

«Sei di Matera? Bellissima, ci sono stato la scorsa estate». «Un luogo fantastico che ho visto in televisione ma è già in lista per uno dei miei prossimi viaggi. Devi darmi qualche consiglio!».
E io, lucana doc cresciuta a Matera (anche se ora vivo lontana), non posso che essere orgogliosa di queste risposte. E pensare che fino a qualche anno fa, qualcuno mi diceva: «ah, Matera in Puglia?». Altri la collocavano addirittura in Molise, ed erano pochi quelli che la sceglievano come destinazione per un finesettimana o per le vacanze estive. Poi a un tratto tutto è cambiato: la città dei Sassi, la mia città, è stata incoronata Capitale europea per la cultura 2019 (era il 17 ottobre 2014) e tutta l’Italia e il mondo hanno iniziato a conoscerla. E a volerla scoprire.
Ogni volta che torno resto sorpresa dalle centinaia di persone che affollano le strade, molti stranieri, gruppi con tanto di guida e di bandierina. I numeri parlano di 400mila presenze annue e sono destinati ad aumentare ancora dal 19 gennaio 2019, quando inizierà l’anno da Capitale europea della cultura. Quel giorno le piazze e le strade saranno invase dalle musiche delle bande popolari a ricordare il frastuono di gioia del giorno della proclamazione. Una grande commozione generale. Urla, risate, abbracci, e quello slogan «non abbiamo l’autostrada e nemmeno la ferrovia, ma Matera è la città più bella che ci sia» che ha risuonato a lungo tra le strade.

Per tutti noi lucani, “l’anno che verrà” sarà anche una definitiva forma di riscatto da quella “vergogna nazionale” degli anni Cinquanta. E se ci fosse ancora Carlo Levi, che con il suo romanzo Cristo si è fermato a Eboli aveva messo in luce la disastrosa condizione di vita della gente ammassata nei Sassi e svegliato le coscienze degli intellettuali dell’epoca, di certo apprezzerebbe il lavoro che a Matera è stato fatto in questi anni.

«Capitale europea della cultura non si nasce, si diventa», mi ha detto Serafino Paternoster, giornalista, che in veste di capo ufficio stampa del comitato Matera2019 ha seguito da vicino questo cammino e ha raccontato il modello di cambiamento e la visione del futuro nel suo libro Le città invincibili edito da Universosud (il cui ricavato andrà a Legambiente per la piantumazione di nuovi alberi in città). «Matera ha una bellezza unica e struggente – ha continuato Paternoster – e non ha vinto solo per quello che è oggi, ma per quello che vuole essere, appunto Open Future, Futuro aperto, come recita il titolo del dossier di candidatura». Un programma ricco che pone le basi su progetti chiave: l’Open Design School, la prima scuola di design in Europa che ha sviluppato il progetto di un teatro/luogo per performance altamente innovative in una cava settecentesca e l’Istituto Demo-Etno-Antropologico, finalizzato alla ricerca e alla rappresentazione della storia antropologica e culturale della Basilicata grazie a mostre, performance e una piattaforma digitale online. Ci saranno quattro grandi esposizioni (i temi sono Civiltà rupestre, Rinascimento mediterraneo, Scuola pitagorica e Antropocene). Insomma, c’è grande fermento per accogliere i “cittadini temporanei e non turisti”, come ama definirli Paolo Verri, il direttore generale. «Vogliamo che i viaggiatori vivano Matera e tutta la Basilicata». Vi basteranno poche ore per sentirvi “quasi abitanti”.

Il potere del Sud che sa accogliere con un cuore generoso. Da dove iniziare? Dallo stesso percorso che consiglio ai miei amici. Da Casa Noha, un’antica dimora privata, edificata fra il XV e il XVII secolo. Sulle sue pareti bianche di pietra un emozionante filmato multimediale vi farà conoscere la storia di Matera sin dalle origini e la sua vera anima. Così dopo sarà più facile vivere e capire appieno il territorio, in una simbiosi perfetta tra architettura e natura, tra forma e materia, tra antico e moderno. Per raggiungerla dovremo passare vicino alla Cattedrale ed è un altro capolavoro: alzate lo sguardo per ammirare il rosone romanico a sedici raggi. Simboleggia la ruota, a ricordarci la ciclicità delle sorti umane. E poi, da qui, con scarpe comode, addentratevi nei Sassi, sin dal 1993 nell’Olimpo dell’Unesco come patrimonio dell’Umanità, alla scoperta dei due versanti Barisano e Caveoso, avvolti nella straordinaria luminosità del bianco del tufo. Questi antichi rioni pietrosi rappresentano un filo ininterrotto con quegli antichi agricoltori venuti dall’Oriente che si affacciarono sulla Gravina (il letto in secca di un affluente del fiume Bradano) e se ne innamorarono. Aggirandovi qua e là tra le case addossate una sull’altra, le corti, i vicoli, le scalinate impervie, vi sembrerà di stare dentro un quadro di Escher. Respirerete il passato, senza fermare il tempo ma conservando quel che il tempo trascorso ci può ancora dare e ritrovando così anche un po’ di voi stessi.
Lungo il percorso vale la pena fare qualche sosta nelle chiese rupestri affrescate, come il complesso Madonna delle Virtù e   S. Nicola dei Greci, abbellito dalla Crocifissione con la Madonna e San Giovanni del Settecento.

Tra una passeggiata e l’altra, inevitabile essere attratti dalla creatività degli artigiani al lavoro nelle numerose botteghe: mani sapienti che plasmano la cartapesta, la terracotta, decorano il vetro. Il cucù, un fischietto a forma di gallo, è un po’ il simbolo. Proprio sotto la chiesa della Madonna dell’Idris, Mario Daddiego lavora con pazienza e dedizione questi manufatti in una sorta di piccolo museo della civiltà contadina. Entriamo anche solo per dare una sbirciatina o per farci raccontare da Mario storie legate a ogni pezzo d’arte popolare. Ci dirà che il cucù, secondo la tradizione, era un pegno, una promessa d’amore: più era decorato, più forte era il sentimento verso la persona amata; nel tempo si è trasformato in un portafortuna. Ci racconterà del timbro del pane, che serviva per riconoscere il pane infornato nel forno comune, o ancora della pupa in origine fatta con la pasta del caciocavallo e riprodotta in terracotta con un vestito dai colori più disparati, da qui il nome di pacchiana. E ancora di quell’oggetto che sembra il sole, scolpito a rilievo sulla volta di una cripta di culto pagano, l’unica su 156 di culto cristiano, a ricordare il culto della luce.
Da Midecò, in via delle Beccherie, troviamo altri originali souvenir: i Sassi rappresentati su tessuti, porcellane, ceramiche e dipinti a mano da Mirella Caruso. Passo dopo passo, arriveremo in piazza Vittorio Veneto, ritrovo della vita cittadina, dove il Belvedere Guerricchio apre su un altro spettacolare scorcio dei Sassi. Affacciandoci proveremo quello che sento io tutte le volte: una sorta di vertigine culturale.

Poi non possiamo non visitare il Palombaro lungo, proprio sotto l’odierno piano: era il serbatoio utilizzato fino al secolo scorso per provvedere ai bisogni d’acqua della comunità. È uno dei più grandi bacini idrici della città: profondo sedici metri, lungo sessanta e con una capacità di oltre cinque milioni di litri. Quando è stato rinvenuto era ancora pieno d’acqua. Oggi si può percorrere a piedi, in un’atmosfera misteriosa. Poco più avanti, rimarrete incantati dalla chiesa di S. Giovanni. Ha una tale ricchezza e composizione architettonica da farci vantare di avere – pure noi – la nostra Notre Dame.
Stanchi di girare? Perché non fare un giro su di un ape-calessino, in versione vintage? Ci sembrerà di stare in un film anni Cinquanta. Del resto siamo in un set cinematografico d’eccellenza: l’elenco delle pellicole girate a Matera e dintorni è lunghissimo, dal Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini a The Passion di Mel Gibson, fino al recente blockbuster Wonder Woman. E non mancano le fiction televisive come Sorelle per la regia di Cinzia Torrini (ne parlammo anche su Touring di ottobre 2017) che ha mostrato scorci e paesaggi anche dall’alto. Per conoscere ogni curiosità e retroscena possiamo affidarci all’associazione culturale SassieMurgia (sassiemurgia.com) che organizza un movie tour di circa tre ore alla scoperta dei set più popolari. E non mancano i set musicali, come l’ultimo di Fabrizio Moro per La felicità, emozionante videoclip vincitore del Soundies Awards di Casa Sanremo, le cui immagini mostrano tutto lo splendore dei Sassi (anche quest’anno in occasione del Festival di Sanremo ci sarà una nuova edizione del premio, con un voucher da poter utilizzare per la produzione di lavori in Basilicata). «Questi vicoli esprimono poesia e magia - ha detto Moro - e i versi della mia canzone si coniugano bene con questa realtà: “i sogni sai vanno dipinti anche se non li vedi, ma se poi ci pensi spesso svaniscono proprio perché non ci credi”». Noi lucani, ai sogni, ci abbiamo sempre creduto.