Neon city: dove la luce è arte. A Las Vegas

Dagli anni Trenta le insegne luminose sono un elemento indispensabile per la capitale mondiale del divertimento. Tanto da finire in un museo. Scintillante

Las Vegas non è una città di ricordi. Isolata nel nulla del deserto del Mojhave, è sempre stata in linea con il proprio tempo, spesso anticipandolo. Capitale del divertimento e del gioco d’azzardo, Vegas non è più solo una fantasmagorica, rutilante, macchina mangiasoldi. È il regno dell’eccesso e del delirio architettonico, aperto 24 ore su 24. Un labirinto di contraddizioni, un fuoco d’artificio di trovate scenografiche, un groviglio di colori e suoni, un vortice di spettacoli: il trionfo dell’eccesso. Sullo sfondo opaco e sordo del deserto, luogo tradizionalmente deputato alle tentazioni, risuonano le lusinghe e la visione di una delle città più divertenti e vivaci del mondo, un’oasi scintillante e opulenta, una vera e propria Disneyland del turismo. Un immenso luna park dove i parametri della normalità vengono meno e tutto appare plausibile. Le certezze, le consuetudini, i valori e i divieti validi nel resto del mondo si fermano alle sue porte. A Vegas non chiedi verità, non chiedi coerenza, negli hotel i gondolieri possono cantare O’ sole mio, i soffitti grondano d’oro e di angioletti e i camerieri indossano toghe e sandali alla schiava. Nell’aria immobile di uno dei luoghi più inospitali della terra, in una dimensione atemporale, si agita frenetico un luogo dove nessuna stravaganza appare veramente tale e qualsiasi follia, soprattutto a livello architettonico, è consentita

Quanto all’offerta alberghiera di Las Vegas, la regola è sempre quella: rinnovarsi per rimanere sempre uguali a se stessi, unici e inimitabili. L’imperativo è uno solo: essere all’avanguardia; il credo: esagerare. Perennemente in fase di ampliamento e ristrutturazione per meglio battere la concorrenza in termini di sperimentazione e stravaganza, questi hotel sono il prodotto più autenticamente originale di questa originale città. L’obiettivo non è solo quello di attrarre il maggior numero di clienti, ma fare in modo che, invece di vagare storditi da tante insegne, neon, luci, richiami e lusinghe da un locale all’altro, rimangano “prigionieri” degli alberghi, catturati dalle mille possibilità offerte da questi microcosmi dispensatori di svaghi e divertimenti, di sogni e di promesse di felicità. In un paesaggio irreale prende forma una città irreale, più simile a un paese dei balocchi, un circo architettonico, con i suoi faraonici alberghi che mischiano con disinvoltura Camelot, Giza, la Roma imperiale, Venezia, New York, la Tour Eiffel. Eppure, anche se all’inizio non è facile prenderla sul serio, Vegas è una città vera, forte e aggressiva, esuberante, l’unica che possa reggere il confronto schiacciante con la desolazione che la circonda.

Le sono bastati pochi anni per sottrarsi alla storia e consegnarsi al mito. Tutto ha inizio con la scoperta dell’acqua nel 1850 a opera di un missionario francescano. Cinque anni dopo prende vita un villaggio popolato prima dai Mormoni e poi, con la scoperta di qualche filone d’oro, di cercatori, avventurieri, donnine allegre e rudi cowboy. Nel 1903 arriva la ferrovia, ma per molti decenni l’abitato non è che un punto di rifornimento lungo la tratta Salt Lake City-Los Angeles. Il primo albergo cittadino, il Victory, costruito accanto ai binari della ferrovia, risale al 1910, e offre la possibilità di pagare il conto in pepite. Nel 1931, con la costruzione della vicina Hoover Dam, la diga per la cui realizzazione si riversano sulla città quasi 10mila operai e, alla sua conclusione, i primi turisti attratti dalla straordinaria opera ingegneristica, la città comincia a essere qualcosa di più di un nome sulla carta geografica americana. La svolta arriva nel 1931, con la legalizzazione del gioco d’azzardo nello Stato del Nevada. Poi, negli anni Quaranta, il grande salto. Fiutando l’affare, e attirata dalla possibilità di investire e riciclare enormi quantità di contanti, frutto di attività illegali, fa la sua comparsa anche Cosa Nostra. Nel 1946 viene inaugurato il primo hotel-casino, il Flamingo, del gangster Bugsy Siegel, nel 1989 il primo casino-resort, il Mirage.

Oggi Las Vegas si è scrollata di dosso la sua cattiva reputazione e si è reinventata, diventando la meta ideale per milioni di famiglie. Non è più solo il tavolo verde ad attirare quasi 42,94 milioni di visitatori all’anno, con una spesa media giornaliera di 125 dollari. Il suo fascino è basato sulla coreografia, sulle grandiose e improbabili ricostruzioni storiche che caratterizzano i suoi rutilanti alberghi. Oltre 160mila camere, con un’occupazione media annuale superiore all’89 per cento e uno straordinario rapporto qualità/prezzo.

Colorata, sfacciata, chiassosa, dominata da una perenne atmosfera da kolossal, una continua recita sopra le righe, Vegas è il regno dell’iperbole. Una città che ha perso il suo fascino peccaminoso, ma non la sua capacità di attrazione. Meta di coppie di mezza età, addii al celibato ad alto tasso alcolico, gruppi di giovani in preda a tempeste ormonali, sposini in viaggio di nozze, famigliole in pantaloncini corti, continua a essere un luogo straordinario, con il più alto tasso di crescita demografica degli Stati Uniti. La terra dove fioriscono le speranze e si accendono i desideri. Qui l’America svela se stessa e il suo gusto per l’eccesso, rispecchiando quello che ci si aspetta che sia: megalomane, trasgressiva, inimitabile, il luogo dove tutto è possibile, il Paese della Grande Occasione.

Dall’acqua all’elettricità, dal cibo agli alcolici, all’aria condizionata a livelli polari, tutto è consumato allegramente. Roulette, black jack, slot-macchine posizionate ovunque, persino nei bagni, percorsi obbligati che costringono gli ospiti degli alberghi a passare comunque dai casinò, spettacoli con vedette internazionali (primo fra tutti il Cirque du Soleil al Treasure Island), eventi sportivi mondiali, convention, congressi e fiere. Ma anche cene e colazioni pantagrueliche a buon mercato, agenzie di prestiti su pegno aperte 24 ore su 24, negozi per tutte le tasche: questa la ricetta di una città malata di gigantismo. Immersa in un eterno presente, Vegas, paradiso senza memoria, senza tempo e senza storia, dove tutto si trasforma e viene venduto come un gigantesco spettacolo, è il trionfo del superfluo, del frivolo, dello spreco. Luci, piume e lustrini, questo gigante dagli occhi bistrati è fatto di 45 milioni di lampadine a led e chilometri di fibre ottiche.

La vita di Las Vegas corre frenetica a Downtown, il centro, e galoppa lungo la Strip, il pirotecnico viale lungo 18 chilometri, coronato da alberghi e locali di tutti generi, che costituisce la pazza spina dorsale di questa pazza città: un fiume di insegne che si incendia al tramonto. Solo allora infatti la luce impietosa del giorno che annega le forme e mortifica i colori si spegne dolcemente e la notte ridà volume e spessore alla città dei sogni. Come in un gigantesco flipper gli uomini rimbalzano da un ristorante a un locale, a un casinò. L’impero della luce trionfa sulle tenebre della notte. Simile a un gigantesco albero di Natale disteso, Las Vegas splende in tutta la sua innocenza. L’innocenza di chi si giura amore, forse eterno, nelle tante wedding chapels che, insieme a divorzi altrettanto veloci, costituisce una redditizia industria locale. Qui, dove tutti i sogni si possono avverare, si può celebrare nel modo più stravagante il più serio degli impegni.

Più che gli edifici, è la luce a delineare questa città estorta al nulla, questa metropoli sottratta al vuoto, eretta dentro e in opposizione al deserto. Ed è la sequenza delle vecchie insegne pubblicitarie al neon a definirne il linguaggio. Sono circa 200 quelle che costituiscono l’affascinante Neon Museum. Messe in pensione con l’avvento dell’elettronica, accatastate le une accanto alle altre, queste luci del miraggio esprimono l’esuberanza, l’ammiccamento e l’aggressività di una città votata all’eccesso e all’esibizionismo. Come Vegas cerca sempre nuove formule per catturare l’attenzione dei turisti, così le sue insegne immaginifiche, enfatiche e illusioniste rivaleggiano le une con le altre per intercettare dall’alto degli edifici cui sono arpionate l’attenzione dei passanti. Da strumenti di promozione, le insegne del museo sono un’attrattiva di per sé.

Un luogo magico che mischia stili, segni grafici, design e costume. Scritte spigolose, curvilinee, colori squillanti, pagode, donnine e cowboy. I nomi sono quelli dei locali e degli hotel dei mitici anni Trenta, Sands, Desert Inn, Dune, Riviera, Sahara, espressione della folle, stravagante, pirotecnica, inimitabile, eccitante Vegas. Sempre in corsa, sempre pronta a gettarsi nell’incognito, a scommettere su se stessa e sul proprio elettrizzante e luminoso futuro.

Fotografie di Isabella Brega