di Giuseppe Scaraffia
Nel 1937 lo scrittore tedesco Ernst Jünger attraversò l’Atlantico alla scoperta di un “esotico” Brasile
A Parà c’erano 35 gradi all’ombra ma quello strano viaggiatore restava imperturbabile nel suo vestito di lino sigillato da un papillon simmetricamente annodato. A 41 anni lo scrittore e filosofo tedesco Ernst Jünger era evaso, come aveva già fatto molte volte, dalla routine della vita familiare e aveva affrontato quel lungo viaggio verso il Brasile raccontato in Traversata atlantica, pubblicato adesso in Italia da Guanda. In mezzo alla comitiva dei viaggiatori tedeschi restava solitario, attento a minimi eventi che sfuggivano agli altri. I compagni di viaggio non riuscivano a catalogare quel «secco ufficiale prussianamente riservato… un po’ troppo serio per la sua età».
Sul Rio delle Amazzoni Jünger non si stancava mai di osservare i grovigli di fogliame inestricabile dalle infinite sfumature di verde. Si dissetava direttamente dalle noci di cocco in cui inseriva una cannuccia. Era rimasto colpito dalla mancanza di rispetto con cui gli europei invadevano le basse capanne di canne sulle rive del fiume, esaminando gli utensili come se fossero stati in un centro commerciale. «Calpestavano la misera vegetazione, strappavano i frutti degli alberi di mango». Quando gli indigeni, irritati, li aveva cacciati lanciando pietre, aveva solidarizzato silenziosamente con loro. Nella notte il futuro entomologo aveva notato una falena «testa di morto di un verde vellutato con l’orlo delle ali giallo ocra». Aveva però dovuto rinunciare a comprare un serpente dorato lungo un metro e mezzo che un indigeno gli offriva. Solo la certezza che non sarebbe sopravvissuto all’inverno tedesco lo aveva dissuaso da un altro acquisto: un piccolo felino dal pelo «meravigliosamente pezzato». Al mercato aveva visto gli avvoltoi scuri appollaiati pigramente sui tetti delle case gettarsi sulle interiora del pesce buttate via dai venditori.
A Pernambuco aveva distinto «tre grandi strati, quello inferiore dell’antico stile coloniale, poi il regno tropicale elementare e infine le forze della civilizzazione». I neri che raccoglievano le canne da zucchero abitavano in villaggi primitivi inseriti tra gli edifici moderni. Durante i loro festeggiamenti passavano tutta la notte ballando con il viso coperto da maschere rituali, Guardando la massa di mulatti, Jünger si era chiesto se in quel brulichio non si poteva «celare l’immagine di mondi futuri». Una notte aveva passeggiato in una zona dove stavano accovacciati davanti ai falò arrostendo pesci rossi e azzurri. Aveva passato un’ora sul fiume che attraversava la città sulle imbarcazioni del posto: quattro tavole inchiodate. La bassa marea aveva rivelato strati di ostriche e una folla di granchi violinisti, mentre nell’acqua salmastra «guizzava un pesce zebrato di nero e giallo chiaro dai colori tipici della fauna che vive tra i coralli».
A Santos si vedevano ancora marcire nel porto le navi che nel 1908 avevano perso la loro ciurma per l’epidemia di febbre gialla. Aveva provato a penetrare nella giungla, ma si era dovuto arrendere al fatto che dopo poco le strade scomparivano davanti a muraglie di vegetazione.