Viaggiare leggeri. Selfie pericolosi

Dall’alpinista Destivelle ad Alexander Remnev, i rischi (inutili) degli scatti temerari

 «È pericoloso sporgersi» recitava provocatoriamente il titolo del film che, a metà anni Ottanta, lanciò il mito di un’affascinante freeclimber francese che saliva e scendeva le vertiginose gole del Verdon: Catherine Destivelle (nella foto a destra). Rivelatasi poi la donna più forte della storia dell’alpinismo, la Destivelle si ritrovò per davvero a rischiare la vita, sporgendosi da una cima per scattarsi una foto di vetta durante la scalata solitaria a una delle grandi pareti alpine. Anche la moda maledetta di selfie temerari (che causa migliaia d’incidenti, anche mortali, ogni anno) ha conosciuto un vero e proprio boom grazie al contributo di un freeclimber russo, Alexander Remnev, che ha scalato torri e palazzi da Mosca a Dubai per ritrarsi mentre si sporge dall’alto. Un suo emulo cinese Wu Yongning, 26enne stunt-man e star dei social-media, è morto a novembre precipitando dall’Huayuan Hua Centre, uno dei grattacieli più alti di Changsha, nell’Hunan, per scattare il suo selfie più estremo. 

È il termine inglese «daredevil selfie» a indicare, in generale, gli autoritratti in situazioni di pericolo, ma la categoria particolare che fa sempre notizia è quella dei rooftopper, letteralmente gli “scalatori di tetti” che allungano il bastoncino porta-cellulare dalla cima dei grattacieli. Ma anche sulle vette vere e proprie, sempre guardando alle discutibili gesta degli scalatori, hanno fatto scalpore vari casi di ragazzi che si sono fotografati nudi in vetta, per provocazione, dopo aver violato montagne sacre in giro per il mondo, o anche solo per polemica contro un’ordinanza di divieto (come il campione di ascensioni in velocità Killian Journet sul Monte Bianco). Su questo aveva proprio ragione Lovercraft, che è stato un genio letterario del lato oscuro: «un gentiluomo non si sforza per farsi conoscere, lascia che a farlo siano i piccoli arrampicatori egoisti»

­Qualcosa di molto simile accadeva già all’inizio del turismo di massa. Uno dei primi autori di best-seller sui viaggi, il tedesco Otto von Ehlers, scomparve nel 1895 durante un’ardita traversata da costa a costa delle catene montuose di quella che allora era la Nuova Guinea tedesca: era un’impresa kolossal, con 43 partecipanti e un nugolo di guide locali. Dopo giorni di difficoltà, ormai stremati dalle fatiche e dall’assalto delle sanguisughe, i pochi tedeschi sopravvissuti con lo scrittore-esploratore, furono uccisi dalle stesse guide indigene rimaste al loro fianco, ché volevano tenere per sé i pochi viveri rimasti. E dire che si trattava di una spedizione «di scarso valore scientifico e nessuna giustificazione di tipo imperiale». L’antenato ideale di tutti i rooftopper da Instagram, Otto von Ehlers, volle allestire la sua impresa ben conscio dei rischi, «pur di rivendere al vasto pubblico curiose storie di penosa sofferenza in un’audace impresa», nota un po’ crudelmente la storica americana Emily S. Rosenberg.