di Valerio Magrelli
Ci sono luoghi che alimentano una sorta di turismo esoterico: labirinti di simboli, false rovine, teatri agnostici, dimore filosofali... Ne abbiamo visitati alcuni
«Tutti gli uomini dormono, sono automi ipnotizzati che si illudono di essere desti. Che cosa bisogna fare per svegliarsi? Un viaggio, un viaggio reale e simbolico nell’arte alchemica». Questo slogan non si riferisce al film Matrix, bensì a uno dei molti libri apparsi di recente su un tema antico ma ancora apprezzato. Basti citare La pietra degli alchimisti di Francesco Giacovazzo (Verdechiaro), Franco Licori con Cristalloterapia alchemica (Tecniche Nuove), Le notti alchemiche di Riccardo Villanova (Psiche 2), su su fino a Paulo Coelho con L’alchimista (Bompiani). E si ricordi che lo scrittore brasiliano, affermatosi nel 1988 proprio con questo romanzo, è stato tradotto in 56 lingue, vendendo 100 milioni di copie in 150 nazioni... Accanto alla lettura, tuttavia, esiste un’altra forma di diffusione del tema, grazie a luoghi che, specialmente in Italia centrale (proprio accanto alla suggestiva, millenaria Civita di Bagnoregio in provincia di Viterbo, “la città che muore”, uno tra i borghi più belli e a rischio d’Italia), alimentano una sorta di turismo esoterico. Vediamoli da vicino.
Il primo che incontriamo è anche il più noto: si tratta di quel Sacro Bosco di Bomarzo, o Parco dei Mostri (Vt), che Dalí descrisse come «un’invenzione storica unica» e su cui Antonioni girò un documentario nel 1950. Il monumento fu creato nel 1547 dall’antiquario Pirro Ligorio e dallo scultore Simone Moschino, su commissione del principe Pier Francesco (detto Vicino) Orsini. Abbandonato nel 1585, il sito fu restaurato nella seconda metà del Novecento ed è ora visitabile.
Tra architetture impossibili, epigrafi misteriose e statue enigmatiche il Parco dei Mostri di Bomarzo presenta le tappe di un complicato percorso alchemico. Quanto alle interpretazioni, da un lato Horst Bredekamp ha collocato il complesso in un disegno filosofico che secondo Orsini, “principe artista e anarchico”, sarebbe dovuto passare attraverso la rappresentazione di tutto il mondo conosciuto; dall’altro Maurizio Calvesi ha proposto una serie di legami tra le figure del Sacro Bosco e i poemi di Boiardo e Ariosto, composti nei decenni precedenti la sua realizzazione. Resta da dire l’emozione che coglie il visitatore davanti a un tale labirinto di simboli, fatto di bestie fantastiche e case inclinate. Un’ultima parola sul cosiddetto tempio, che reca i segni zodiacali. La loro presenza è significativa, visto che la costruzione dei giardini era iniziata qualche anno dopo la pubblicazione di quel De revolutionibus orbium coelestium in cui Copernico esponeva la teoria eliocentrica. Alchimia, esoterismo e scienza sperimentale si trovano riuniti in un’invenzione senza precedenti.
Ma lasciamo Bomarzo per una chiesetta della vicina, piccola Farnese, patria della famiglia il cui splendore illuminò per secoli l’Italia. È appunto qui, sempre nel Viterbese e in località Le Piagge, che incontriamo S. Maria in Cavarella, poi rinominata S. Anna. Questo cubo di circa sette metri per lato testimonia di un profondo interesse per l’ermetismo. Alla fine del XVI secolo, Mario Farnese, condottiero e discendente di Paolo III, fece affrescare l’edificio da Antonio Maria Panico, pittore in stretti rapporti con i Carracci. Il risultato è un’opera su due livelli: da un lato alcune scene della vita della Vergine, dall’altro, negli interstizi fra gli stucchi che le incorniciano, una fitta serie di immagini distintamente alchemiche.
Questo esempio di ermeneutica dell’occulto ci ricorda un’epoca di feroci lotte religiose fra i protestanti e la Controriforma cattolica. L’alchimia, dunque, andava nascosta ai profani, per essere trasmessa agli iniziati. In tal modo, ha scritto Fulvio Ricci, anche in questo periferico, minuscolo stato rurale, «i fermenti di inquietudine che attraversano la società del Seicento trovano uno sbocco originale di tipo esoterico-intellettualistico». Sia chiaro, il valore artistico dell’opera non è eccelso; l’aspetto iconologico, però, è stato definito eccezionale. Non per niente c’è chi ha parlato di “dimore filosofali” nella Tuscia del XVI secolo. Nel segno di un concettismo morale, la metamorfosi spirituale è espressa da una serie di simboli: un albero della cuccagna, tritoni che offrono perle ad alcuni maiali, oltre a nani e puttini intenti a mingere (come avviene nella villa Farnese di Caprarola) per fare muovere con la loro urina le pale di due mulini.
Ricchissimo poi il bestiario che comprende cani, ippocampi, corvi, pipistrelli, cigni, api, galli, pesci, tartarughe, e rane, farfalle, chiocciole, vitelli o capre. Infine, teschi, obelischi, un diavolo vestito da monaco e l’uroboro, il simbolo egizio del tempo descritto come un serpente che si morde la coda. In questa ridda di segni cifrati, ma di facile lettura per gli esperti, rifulge nel suo criptico splendore l’emblematismo di natura ermetica. Il tutto, appunto, grazie all’intercessione dell’Immacolata: «Il motivo della Vergine e dei suoi attributi diviene, nell’arte, un diffuso tema mitografico in cui la perfezione dell’opera divina, realizzata tramite la fanciulla di Nazareth, viene a simboleggiare la faticosa ricerca dell’alchimista per giungere alla trasformazione della materia vile in metallo nobile» (ancora Ricci). Sia il Parco dei Mostri di Bomarzo sia la chiesa di S. Maria in Cavarella sorgono nel XVI secolo. Col passare del tempo, però, il loro sapere segreto e remoto non scompare; piuttosto si inabissa, per riapparire inatteso accanto a noi.
La Scarzuola è la terza e ultima stazione del nostro itinerario geo-psichico, una “città ideale” edificata appena cinquant’anni fa in provincia di Terni nel luogo in cui Francesco eresse una capanna. Per ricordare il santo, furono costruiti una chiesa e un convento che Tommaso Buzzi acquistò nel 1957, creandovi accanto un complesso utopico che rappresentasse il viaggio esistenziale nelle più varie declinazioni del linguaggio esoterico, dall’alchimia alla massoneria. Così, fra il 1958 e il 1978, l'architetto milanese progettò quella che lui stesso definì “un’antologia in pietra”. Alla sua morte l’opera fu completata dal nipote Marco Solari.
Il colpo d’occhio è fenomenale: costruzioni fuori del tempo, false rovine, citazioni (Bomarzo, appunto, Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli), nonché sette edifici celeberrimi, dal Partenone a una piramide. Tra il Teatro agnostico, il labirinto musicale e un pergolato-alambicco da percorrere in salita (per “depurare” lo spirito del visitatore), la città buzziana dispiega i suoi innumerevoli, caotici segreti. In un clima surreale, questo sogno ermetico mescola le allegorie della Hypnerotomachia Poliphili e il pensiero di Borromini, le invenzioni di Arcimboldo e le architetture di Pirro Ligorio. Fermiamoci qui, allora, ricordando, con la studiosa Paola Tonon, che la Scarzuola, nel suo freddo delirio post-alchemico, «rimane un unicum nel panorama dell’arte e dell’architettura contemporanea italiana ed europea».