Gioielli di famiglia. A Massafra

Nella cittadina pugliese, luogo ancestrale che colpì l’immaginazione di Pasolini

«Attorno a questa piazza si aggrovigliano, come visceri, i vicoli e le stradine scoscese, attraverso cui si regrediscono fino nel cuore del tempo. Il puro medioevo, intorno. Ti spingi giù verso il basso e arrivi alle mura di un forte, svevo o normanno, puntato come uno sperone verso là dove l’abisso di Massafra si apre sulla pianura sconfinata.» è Pier Paolo Pasolini a descrivere così, nel 1964, Massafra, a nordovest di Taranto. In anni remoti fu chiamata la Tebaide d’Italia, luogo di preghiera, meditazione, tensione al sublime. Le verdi gravine, i valloni scoscesi verso la pianura o verso il mare, spesso città e santuari rupestri, caratterizzano luoghi ideali per ritirarsi a meditare in pace. Le gravine massafresi sono infatti ben undici. Salendo dalla pianura, ecco la città – fondata dai Greci, mi assicura una brava archeologa massafrese, Anna Lepore. I primi documenti però riguardano il Castello alto sulla gravina di S. Marco: se ne parla nel 970 e nel 1081 si sa che appartiene al normanno Riccardo Senescalco. Girando per le viuzze e i vicoli di Massafra, fra le case di un bianco abbagliante, troverete traccia di tante dominazioni: dopo i Normanni, gli Angiò (che trasformano il Castello in fortezza), quindi gli Aragonesi e altri ancora. Particolari gli edifici religiosi: l’Antica Chiesa Madre dalla facciata nuda, di pietra, con le arcate cieche, la chiesa dei Santi Medici settecentesca, S. Agostino barocca come S. Benedetto, mentre ha un’origine longobarda, probabilmente del Mille, la chiesa di S. Lucia, su una chiesa rupestre ornata di affreschi.

La straordinaria attrazione della Tebaide d’Italia sono le chiese rupestri ricavate dentro le meravigliose gravine (ora tutelate da un Parco regionale). Immaginate la popolazione locale rifugiata in quelle grotte, fra rupi e arbusti, per ripararsi dalle scorrerie dei Goti, dei Longobardi, dei Saraceni soprattutto. Inglobata nell’abitato massafrese, la profonda forra della gravina di S. Marco, una chiesa rupestre appunto dedicata all’Evangelista. È detta il “Paradiso di Massafra” per il giardino a terrazzamenti dove vigoreggiano la vegetazione spontanea, agrumeti e fichi d’India imponenti. Altra gravina è quella di S. Caterina, a sud della cittadina, con la chiesa rupestre della martire di Alessandria d’Egitto. Ma il santuario più celebrato è la Madonna della Scala (o della Cerva) che svela quello che fu un tempio dedicato al culto di Diana cacciatrice. Gravina lunga alcuni chilometri, profonda una quarantina di metri, larga dai 30 ai 50, contava oltre 200 abitazioni scavate nella roccia. Vi si rintracciano ancora centinaia di erbe medicinali che formano la Farmacia del Mago. Non dimenticate la vicina riserva naturale del Monte S. Elia, oasi Wwf, con una masseria e un nucleo di trulli gestita dalla cooperativa Il Filo di Arianna e la riserva naturale della Stornara, più di 1.500 ettari, un bosco di pini d’Aleppo. Insomma un viaggio fra la protostoria e la natura di secoli fa.