di Viviano Domenici
Incontri esotici su due ruote: re in Polinesia, indios brasiliani e vecchi turisti a Bali
Scrivere di biciclette sulla rivista del Touring Club mette un po’ di soggezione. Ma più volte, in giro per il mondo, ho incontrato biciclette con storie da raccontare.
La prima la vidi nell’isola di Hiva Oa, nell’arcipelago delle Marchesi (Polinesia francese). Una colta signora indigena, moglie di un amico archeologo, si offrì di farmi da guida in alcuni siti storici. La seguii lungo un sentiero fangoso nella foresta finché, arrivati al margine di una radura, lei si fermò d’improvviso. «Non posso avvicinarmi di più, per le donne è tabù», disse indicandomi una piccola piattaforma rettangolare di pietre e cemento, assediata dalla vegetazione.
Andai da solo e, salito sul gradone di pietra, vidi che al centro della struttura qualcuno aveva scavato una fossa, ormai ingombra di sassi, erbacce e frammenti di ferro che mi sembrarono tubi arrugginiti. Non mi parve granché. «Era la tomba dell’ultima coppia reale di questa valle», mi spiegò la signora appena la raggiunsi. «Quando lui morì, nel 1926, volle andarsene nell’aldilà con la sua bicicletta, che all’epoca era l’unica nell’isola. Qualche anno fa, le loro ossa furono trasferite nel cimitero, ma la bicicletta fu lasciata dov’era; povero re...» E povera bicicletta.
Altri due incontri singolari li feci in Brasile. Viaggiavo lungo una pista di terra gialla che attraversa l’Amazzonia nello Stato di Roraima, ai confini col Venezuela, sulla camionetta di un missionario diretto a un villaggio degli indios yanomami. In lontananza vidi davanti a noi qualcuno in bicicletta. Era un indio, e mi sembrò che sulle spalle avesse uno zaino nero, oltre un lungo arco e un mazzo di frecce. Lo raggiungemmo rallentando, così potei vedere che le ruote non avevano pneumatici e lo zaino era una scimmia morta, ben legata con fibre vegetali in posizione seduta e rivolta all’indietro.
«Siamo quasi arrivati al villaggio e lui sta tornando a casa con la cena», disse il missionario. Io pensai subito alla carne in scatola che avevo nel mio zaino.
Di tutt’altro genere quello che vidi a Nova Xavantina, una cittadina del Mato Grosso. Sul marciapiede aspettavo l’autista che aveva promesso di portarmi al villaggio degli xavante, guerrieri fin troppo fieri e in quei giorni anche un po’ nervosi per certi contrasti con le autorità federali. Per questo nessuno affittava volentieri un’auto a uno straniero diretto dagli xavante; il rischio di non vederla più era troppo alto. L’infinita attesa mi regalò una scena surreale. Un guerriero xavante in jeans e torso nudo dipinto di rosso e nero mi passò davanti in bicicletta; con una mano teneva sulla spalla, come fosse un fucile, una delle tipiche mazze spaccatesta, con l’altra reggeva il volante che aveva montato al posto del manubrio. Mi lanciò un’occhiata di sfida, sicuro di stupirmi con la sua auto-bicicletta. Ci riuscì, e non feci in tempo nemmeno a scattare una foto.
L’ultima bicicletta è tutta fiorita e corre sul muro del più bel santuario di Pura Medewe Karang, a nord di Bali (nella fotografia). In sella pedala il signor Woj Nieuwenkamp, un artista olandese che nel 1904 esplorò tutta l’isola in bicicletta. Uno spettacolo imperdibile per i balinesi, e da allora tutti i giorni qualcuno mette un fiorellino fresco sull’orecchio dell’artista immortalato a mezza pedalata.