Sicilia. Una Statale d'autore

In pochi chilometri, tra Porto Empedocle e Caltanissetta, tra la costa e il cuore dell’isola si toccano i luoghi cari alla memoria di sei grandi scrittori, da Tomasi di Lampedusa a Pirandello, da Sciascia a Camilleri

 

Esistono mete note e luoghi diversamente unici. La scoperta di questa parte di Sicilia occidentale, l’ombelico della letteratura, meno percorsa delle capitali del barocco, inizia sfogliando le pagine dei libri, fra i nomi, i luoghi, i paesi natii dei grandi autori del Novecento. Atti, volti e sguardi divenuti testo scritto, come la natura e le stagioni, i personaggi noti e quelli comuni. Un itinerario dove protagonista indiscussa è sempre la terra, la terra-mater di straordinarie penne nate “isola”. Come scrive Pirandello, originario proprio di Agrigento, la sua Girgenti: «Io sono nato in Sicilia e lì l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall’aspra terra natia circondata dal mare immenso e geloso».

La Strada degli scrittori, la statale 640 che da Porto Empedocle arriva a Caltanissetta e attraversa luoghi leggendari come la Valle dei Templi e la Valle degli Dei, si percorre così, scegliendo di fermarsi quando la tappa richiede uno sforzo di memoria, una volontà di conoscenza, che vale la ricerca. Il percorso narrativo si svolge attraverso i luoghi vissuti da autori come Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Antonio Russello, Rosso di San Secondo. Trenta chilometri che abbracciano le terre da Porto Empedocle a Racalmuto, passando da Favara e Agrigento con deviazione a Palma di Montechiaro.

Luoghi reali e immaginari, per riscoprire al di là dei testi, una terra straordinariamente feconda non solo dal punto di vista letterario, dove il valore aggiunto è il grande patrimonio artistico e monumentale incastonato nel magnificente scenario naturale. Una terra dove anche cibo e vino si trasformano in pura, semplice, poesia.

Punto di partenza, le vie del centro di Porto Empedocle (Ag), la Vigata della cartografia immaginaria (nome ispirato alla vicina Licata) di Camilleri che non è altro che il cortile della scuola frequentata da giovane dall’inventore del commissario Montalbano; dove nelle pause di metà mattinata, i ragazzini usciti da scuola raccontavano delle vicende del proprio paese, contenitore di tutte quelle storie vere, intrighi e misteri, dove tutti conoscono tutti. È un fazzoletto di terra fertilizzato dalla letteratura. I suoi figli più illustri ricordano Porto Empedocle con altri nomi: per Pirandello è Nisia o Vignetta o la Marina.

Nella centralissima via Roma dove si passeggia guardati con l’antica arte della taliata, lo sguardo che brilla e parla in occhi siciliani, il luogo dei movimenti lenti e dei caffè seduti, si trova la statua del commissario Montalbano, poi la Mannara, la salita Granet, il commissariato, le trattorie che offrono pesce fresco e la sublime pasticceria di Albese; poco lontano, vicino ai moli si staglia l’imponente torre di Carlo V, poi la costa empedoclina con le ampie e belle spiagge di Marinella – dove si troverebbe la casa di Montalbano, spostata dalla fiction televisiva a Punta Secca, nel Ragusano – e del Lido Azzurro.

A pochi chilometri da Porto Empedocle «la parete di marna si alzava senza sporgenza o cavità» scrive Camilleri ne L’odore della notte, la Scala dei Turchi, un promontorio di marna bianchissima che si erge verso il cielo e scende verso il mare. Qui la falesia riflette e amplifica tutta la luce, mentre si cerca di mettere a fuoco i due scogli al largo di capo Rossello: U Zitu e Zita.

La leggenda che si tramanda è quella di due giovani innamorati il cui amore ostacolato fece scegliere la morte pur di stare vicini, trasformati in scogli uniti da un’esile lingua di roccia, nelle notti di luna piena e mare calmo pare ancora di udire il melodioso canto di lei, che invoca l’amato. L’amore di stirpe e radici trova luogo a Palma di Montechiaro (Ag), dove l’avo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa sposa Francesca Caro, che gli fece ottenere il titolo di barone di Montechiaro nel 1583. I luoghi de Il gattopardo lasciano intatta e indelebile la vita del principe, della beata Corbera, le suore del monastero benedettino, i mandorlati dalla ricetta centenaria, la Chiesa Madre, ispirando l’autore – che rivisita i luoghi nell’estate e nell’autunno del 1955 – a superare il blocco dello scrittore e a completare la stesura finale del romanzo.

Una carrozza trainata da cavalli sosta oggi nella piazza poco distante dalla scalinata che sale alla Chiesa Madre. Nessun luogo è così fermo nel tempo e nelle abitudini secolari e non è difficile immaginare la famiglia Salina all’arrivo a Donnafugata (nella realtà Palma di Montechiaro), mentre impolverata si reca alla Matrice per assistere al Te Deum di ringraziamento prima di recarsi a palazzo.

Agrigento è la città teatro dei “personaggi in cerca d’autore”, dai mille caratteri e mentalità, è la Girgenti pirandelliana. Una mappa topografica con la cattedrale, le numerose chiese, tutta scale e cortili, luoghi e angoli che hanno ispirato Pirandello per le numerose novelle; simbolo della città i giganti, sullo stemma è scritto: «Signat Agrigentuum mirabilis aula gigantum». Per sfogliare Agrigento come un libro, bisogna cercare tra le tante perle nascoste e tra le righe, come nel romanzo I vecchi e i giovani, la passeggiata Cavour, dove si affacciava don Ippolito Lauretano (oggi viale della Vittoria) e via Atenea, fino alla chiesa di S. Domenico e all’ex convento dei Domenicani, ora sede del Municipio e punto di accesso al teatro Pirandello.

«Io son figlio del caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso a un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvasusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione del genuino e antico vocabolo Kaos», così in un frammento autobiografico la descrizione del luogo natale. Omaggiato di recente da Camilleri in Esercizi di memoria, in occasione dei 150 anni dalla nascita dello scrittore premio Nobel. Nell’incipit, la storia dell’odissea delle ceneri di Pirandello.

Fu proprio Camilleri, con due amici, a darsi da fare nel primo dopoguerra affinché le stesse fossero portate e sepolte vicino alla casa natale a villa Caos secondo il volere dello scrittore, che si era fatto cremare: «Sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui...».

Qui, sotto il pino solitario riposano le ceneri di Luigi Pirandello, nella quiete di un luogo rurale, dove lo sguardo dalla finestra dello studio sconfina verso il «mare africano», tra carte, documenti, opere, manoscritti, quadri, onorificenze conservati nella casa-museo. Altra sede di eventi culturali è la sontuosa Valle dei Templi, «oltre il bosco, lungo il ciglione sorgevano i famosi Tempii superstiti, che parevano collocati apposta, a distanza» e nel vallone antistante al tempio dei Dioscuri, l’oasi verde del giardino della Kolymbethra.

Altro romanzo ambientato nell’Agrigentino nella seconda metà dell’Ottocento è La zia marchesa della contemporanea Simonetta Agnello Hornby: racconta attraverso la voce della domestica Amalia, la storia dei baroni Safamita di Serantini e della bambina tenuta dalla stessa a balia, Costanza, dai capelli rossi che sembra destinata a pagare per tutta la vita la sua diversità.

Nel paese immaginario di Roccacolomba è ambientato negli anni Sessanta del Novecento La mennulara, la vicenda della famiglia Alfallipe governata dall’enigmatica cameriera (appunto la “mennulara”, la raccoglitrice di mandorle), che con Boccamurata il romanzo sullo sfondo di una modernissima Sicilia, completa il trittico dell’autrice siculo-inglese. Pone al centro un ritratto trasversale intriso di elementi positivi e negativi, gioie e dolori, tradimenti e contraddizioni di una Sicilia, antica e attuale, dura e soave.

Bisogna fermarsi a Favara (Ag) per rileggere Antonio Russello e tra le sue opere i Siciliani prepotenti, Giangiacomo e GiamBattista e La luna si mangia i morti. È la città dell’agnello pasquale e della famosa Pasta Elena, realizzata in occasione della visita nell’Agrigentino della Regina d’Italia. Si possono perlustrare la grande piazza Castello, dove si affacciano i palazzi, il vecchio Circolo, il caffè dove sedeva lo scrittore, la biblioteca-museo Antonio Mendola e il Castello chiaramontano.

Di notevole interesse il Farm Cultural Park voluto dal notaio Andrea Bartoli e la moglie Florinda: sette corti unite fra loro in un’area definita “polmone urbano” dedicata a progetti di arte, architettura, fotografia e cultura a servizio del territorio, consolidata dal rapporto con le maggiori università italiane e straniere.

A soli 600 metri dallo svincolo di Racalmuto (Ag), «Lu paisi di lu Sali», s’incontra contrada Noce, una campagna di ulivi e vigneti, limoni e mandorli, dove immaginiamo Leonardo Sciascia intento a scrivere di paesaggi, gente, mafia, memorie e affetti – coltivati nella casa natale in paese in via Leone III – nella casa delle zie dove nacque Le parrocchie di Regalpetra. Poi sul corso principale, la statua di Sciascia, il Circolo Unione frequentato dai nobili, la Lega zolfatai, salinai e pensionati, la fondazione Teatro Margherita «In quel teatro – incantevole di stucchi, ori, velluti, allegorie e luci – ho visto il più bel teatro della mia vita...». Fino alla grotta di fra’ Diego La Matina, dove il frate si rifugia per sfuggire alla cattura in Morte dell’Inquisitore, e al castello di Gibellini o Castelluccio, ricostruito dai Chiaramonte dove dal punto di vedetta si ammira l’Etna.

A Caltanissetta l’itinerario termina (o inizia invertendo il percorso) con Pier Maria Rosso di San Secondo, alla scoperta della casa natale nel quartiere di S. Lucia, al collegio dei Gesuiti, oggi chiesa di S. Agata e al Museo mineralogico delle zolfare. Un viaggio interiore alla ricerca di un’identità, che Pirandello nella prefazione di La Fuga, romanzo di Rosso, così descrive: «Qui è un uomo del sud che ha in sé tutta la dannazione dei peccati, il male nella vita e del sole, il quale si lascia persuadere alla sua salvazione, non in Dio propriamente, ma nel nord ove la carne è domata dalla mente, l’istinto dall’intelligenza, il talento dalla ragione». Ma l’esperimento ha un esito contrario: «Chi parte qua, sa che il suo non può essere che il disperato esperimento di un’illusione, perché ha ormai l’atroce coscienza che nulla consiste fuori, vicino o lontano, che non sia illusione».

Percorrere quest’isola nell’isola, attraverso la Strada degli scrittori, è come togliere dalle mensole i libri della migliore letteratura italiana del Novecento. Vi sono luoghi e archetipi, stereotipi forti e categorie da aggiornare, la rappresentazione realistica e la trasfigurazione fantastica, un labirinto intellettuale, sintetizzato nella frase di Sciascia: «Sai cos’è la nostra vita, la tua, la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì e stiamo sognando».

Fotografie di Graziano Perotti