di Stefano Brambilla | Foto di Stefano Brambilla
Viaggio in provincia di Macerata, tra i borghi d’eccellenza colpiti dal sisma del 2016 che cercano di riconquistare la normalità perduta
Tra i 227 borghi Bandiera arancione ce ne sono alcuni che negli ultimi tempi non hanno avuto la dea Fortuna dalla loro parte. Anzi, ha proprio chiuso gli occhi il 26 e il 30 ottobre 2016, quando è arrivato il terremoto che ha cambiato le sorti di tanti piccoli e piccolissimi centri dell’Italia centrale. Per esempio delle Marche, in provincia di Macerata. Dove siamo andati per vedere e soprattutto cercare di capire in quali luoghi sia possibile ritornare: perché quel che più ci ha lasciato attoniti è che Marche e Umbria, dopo il sisma, siano arrivate a essere considerate nell’immaginario collettivo «regioni pericolose». Regioni dove è meglio non andare, dalle quali è meglio stare lontano. Un’assurdità. Anche perché queste terre da tempo vivono di turismo, e di turismo devono continuare a vivere.
Le prime cose che si capiscono quando da Macerata si inizia l’esplorazione verso sud sono due: la prima è che le colline marchigiane sono bellissime; la seconda, che il terremoto ha colpito a macchia di leopardo, diremmo quasi a caso.
A Urbisaglia, per esempio, il primo borgo Bandiera arancione che si incontra lungo la strada, non sembra essere successo nulla: l’imponente Rocca quadrangolare campeggia sulle strette vie medievali, il parco archeologico di Urbs Salvia è affascinante nel suo connubio tra campagna e resti antichi. A San Ginesio, poco lontano, il terremoto invece si è fatto sentire eccome. Ma non è un buon motivo per non venirci. In primo luogo, perché il borgo è su un colle circondato da mille sfumature di verde: il balcone dei Sibillini, lo chiamano. I boschi che si alternano ai campi, le colline morbide che a poco a poco sfumano nelle montagne, scenografiche quinte di un paesaggio da fiaba; e dall’altra parte il Conero che si butta nel mare: basterebbe il panorama dal parco Comunale per giustificare una gita. Certo, qui non tutto può essere bello come prima: la preziosa Collegiata, monumento gotico in pietra rossa, è inaccessibile e puntellata di tiranti. Ma anche se la normalità di una volta non tornerà mai più, a San Ginesio hanno evitato il peggio, l’amministrazione si è rimboccata le maniche, i giovani hanno fatto squadra, le attività continuano. E soprattutto, tutti sono pronti ad accogliere con il sorriso sulle labbra.
L’esplorazione prosegue per Sarnano, il terzo borgo Bandiera arancione, con un nucleo storico ben conservato, torri, vie interne strette e ripide che portano a una scenografica e silenziosa Piazza Alta. Solo i musei sprangati – la Pinacoteca era particolarmente meritevole – ricordano del terremoto. Poi, si guardano le montagne davanti e si sale. Se dovete fare una strada soltanto per capire la bellezza di questa terra, eccola: da Sarnano porta a Bolognola e ai piani di Ragnolo e poi scende a Fiastra, sull’altro versante. Su, in alto, sembra di essere in un altro mondo, specialmente se ci si passa nella tarda primavera. Prati a perdita d’occhio circondati da vette più alte, un tripudio di narcisi e di orchidee, qualche capriolo che sale dalla foresta sul far della sera, il fascino di un mondo perduto che esiste ancora tra le montagne dell’Appennino.
Dall’altra parte dei monti, altri borghi Bandiera arancione non sono stati fortunati come Sarnano e Urbisaglia. A Pievebovigliana (unito nel 2017 a Fiordimonte nel Comune di Valfornace) l’apparenza inganna: da fuori il centro storico sembra integro, e invece è totalmente impraticabile, meglio fare una puntata presso i buoni agriturismi dei dintorni o una passeggiata per la campagna, per esempio al laghetto dietro al paese o alla meravigliosa chiesa di S. Giusto in San Maroto, a pianta circolare, immersa in un paesaggio di boschi e di campi, risparmiata dal terremoto probabilmente perché costruita sulla pietra. E poi c’è Camerino, la cittadina più grande dell’area, storico punto di riferimento per tutte le comunità montane della zona, sede universitaria prestigiosa. Di Camerino ci sarebbe tanto da raccontare. Il centro storico, arroccato su un colle, è oggi interamente transennato; i negozi sono stati trasferiti in una piccola “città parallela” realizzata sotto un grande capannone, dove almeno gli abitanti possono continuare a incontrarsi e a far vita di comunità. Proprio il senso di comunità è presente in maniera forte: locali e universitari si danno una mano e non si è rinunciato neppure a una festa tradizionale, pur di mantenere alto lo spirito. Certo, per il turista non rimane molto da vedere, se non il meraviglioso panorama dalla rocca di Cesare Borgia. Ma se potete, passate da Camerino per dare anche voi il segno che l’Italia non li ha abbandonati e soprattutto non li abbandonerà: perché di strada ce n’è ancora tanta da fare.
L’ultima tappa è a Visso, borgo immerso tra le montagne dei Sibillini, incastonato in verdissime vallate. Anche qui centro chiuso, poche certezze per il futuro, tanta voglia di rimanere, anche se sarebbe più facile scappare. La devastazione ha colpito forte, ma in mezzo alla devastazione c’è comunque ancora tanta bellezza: nel campanile del 1100 che è ancora in piedi, nelle finestre antiche, nella storia dei manoscritti di Giacomo Leopardi, che per strani casi del destino erano finiti nel museo locale e sono stati subito trasferiti, dopo la prima scossa, a Bologna e poi agli Uffizi. Speriamo che un giorno l’Infinito possa tornare a Visso. È il posto giusto.