di Luca Bonora | Fotografie di Giacomo Fé
Sapori, storie e persone uniche dall’arcipelago pugliese
In frigorifero c’è un barattolo di vetro con il coperchio a scacchi bianchi e rossi, come si usava una volta. Era pieno di capperi freschi, sotto sale: ora è quasi vuoto. Me li ha dati Gianni Campanaro, assieme al suo numero di telefono, il giorno che sono ripartito dal Villaggio Tci delle Tremiti. «Questi li porti con te», mi ha detto. E io li ho portati con me. Ancora non sapevo che mi sarei portato dietro molto altro. Il mare, certo, il cielo, ovvio, la natura, ovunque. Ma soprattutto, mani, occhi, voci. Persone. Perché questo sono – soprattutto – le Tremiti: persone.
Gianni Campanaro è la memoria storica del Villaggio Tci ed è la persona non tremitese che da più tempo vive sull’isola. Ha i capelli e la barba bianco argento, le rughe del sole e dell’età, la pelle abbronzata di chi vive al mare. Eppure è arrivato qui dalla montagna. «Ho iniziato a lavorare all’albergo Sciliar del Touring, all’Alpe di Siusi, con Piero Cantoni», racconta. «Lui mi ha insegnato a sciare, a guidare il gatto delle nevi. E mi ha detto “questa è una famiglia, tu ora sei nella nostra famiglia”. E così io mi sento.» Nel 1979 Gianni arriva al Villaggio, che aveva aperto nel 1958, e quest’anno festeggia i sessant’anni.
All’epoca veniva qui Lucio Dalla insieme a Ron e a molti altri amici. Quando Dalla si costruì la villa sopra cala Matana(una delle tante minuscole spiagge dell’isola, immortalata nell’album Luna Matana del 2001), volle comprare il guscio dove aveva dormito tante notti al Villaggio. Il Touring li stava dismettendo, sostituendoli coi capanni: glielo regalò volentieri. Oggi il guscio è ancora lì, nell’ampio giardino che circonda la villa. Si può vedere, da fuori.
Tutti ricordano Dalla, sull’isola. Fu uno dei pochi personaggi noti che innamorandosi di un luogo di villeggiatura non si è mai comportato come uno che pagava, come un padrone, ma con grande rispetto, come un ospite. E non è un caso che sia stato uno dei pochi forestieri a essere stato pienamente accettato. Per tutti, era Lucio. Un amico. Lo era anche per il Villaggio Tci, dove si esibiva, talvolta, in concerti improvvisati, come si fa le sere d’estate fra amici, attorno al falò. Tante volte Gianni lo ha sentito cantare.
Alla reception del Villaggio c’è Laura, da 10 anni: «Mai abbastanza», sorride. C’è Lina, giovane chef che dal 2016, con una squadra di cuochi altrettanto giovani, si occupa della cucina. C’è Armando, il maître di sala, anche lui under 30.
C’è Franco, maestro di tiro con l’arco: ha 72 anni, è qui da 14 e tutte le mattine, prima delle 8, fa il bagno al mare. Poi c’è Giulia, biologa barese di 29 anni, una cascata di ricci rossicci, due occhi grandi, sinceri ed entusiasti, un librone sugli animali del Mediterraneo (ci sono tutti, giura, e date le dimensioni del volume non c’è da dubitare), che a San Domino, la più grande delle Tremiti, accompagna gli ospiti del Villaggio Tci nelle escursioni alla scoperta della flora e della fauna dell’isola. Con sé porta sempre il libro, sorrisi e acqua per tutti («non ci pensano!» mi dice). «Due estati fa – racconta – un signore di Ravenna si portò la cornamusa in vacanza e la suonava, al tramonto, mentre gli ospiti prendevano l’aperitivo nel boschetto di pini d’Aleppo che sta sopra baia degli Inglesi. Era un omone alto, con la barba, che parlava a voce bassa. Ma dove la trovi», conclude Giulia, «gente così speciale quando vai in vacanza in un Villaggio? Solo qui.»
Perché queste isole sono particolari. Sono dure, difficili, a volte spietate. Non c’è acqua alle Tremiti, non un rigagnolo, un minuscolo laghetto: arriva (come tutto il resto) dalla terraferma. Eppure la vegetazione cresce forte e rigogliosa. E meno male, perché il sottosuolo è di roccia friabile, creta, e se non ci fosse quel manto verde a tenerle insieme, il mare se le sarebbe già portate via. Si vede chiaramente quando in barca si fa il giro dell’arcipelago per raggiungere, passato il piccolo Cretaccio, poco più che uno scoglio, anche la terza delle Tremiti, la disabitata Capraia. Da qui si vede bene il fianco scoperto di San Nicola, metri e metri di roccia nuda, sotto il profilo imponente dell’abbazia. Sì, perché qui, a 22 km dalla costa del Molise, mille anni fa i benedettini costruirono un’abbazia, poi abbandonata in seguito alle incursioni dei pirati saraceni.
A raccontarlo è Rachele, 37 anni, storica dell’arte: da 4 anni, questo è il quinto, accompagna gli ospiti del Villaggio Tci a visitare l’abbazia fortificata, sull’isola dirimpettaia di San Nicola. Lei è tremitese doc e conosce bene lo spirito e il carattere degli isolani. «Mia nonna faceva il pane, si trasferì da San Nicola a San Domino alla fine della guerra» Da San Nicola a San Domino ci sono meno di 200 metri di mare, ma è una distanza che per anni è stata fondamentale. Il nucleo abitato era a San Domino, come il porto che collega l’arcipelago a Termoli. Il Comune e la posta erano su San Nicola. Rachele ha studiato a Ravenna ed è tornata qui, all’isola dei femminielli. Sì, mi spiega, le Tremiti erano il luogo dove durante il fascismo erano mandati al confino gli omosessuali.
Sono poco più di 500 le persone che oggi vivono stabilmente alle Tremiti. Sono pescatori o gente che lavora nel turismo (talvolta entrambe). Ogni giorno, mezz’ora di aliscafo collega le isole allo Stivale, attraccando in Molise, a Termoli. Per i tremitesi quell’aliscafo è come per i romani il raccordo anulare, o per i milanesi la metropolitana. Lo prendono la mattina e la sera. Per andare a scuola, al lavoro, per fare acquisti.
Isole dure, difficili, dunque. Eppure tutta questa durezza chi ci viene in vacanza non la vede, spesso nemmeno la intuisce. Scopre un luogo vivo, incontaminato, fatto di sentieri fra i pini, di notti stellate, di passeggiate fra i bungalow, di calette intime, minuscole, dove dieci persone sono già una folla.
Quando arrivi al Villaggio Tci, devi prendere le misure: i primi giorni ti sembra più grande dell’isola stessa. Dov’è la spiaggia? E il ristorante? Dov’è il campo di volley? E quello di tiro con l’arco? Si cammina, a San Domino. Dentro e fuori dal Villaggio. Ti procuri una piantina dell’isola, e quando inizi a girarla ti accorgi che invece è più grande di quel che pensavi. Ma bastano un paio di giorni che riconosci tutti, compreso Fortunato, l’asino mascotte che sta “di casa” proprio di fronte al Villaggio Tci.
Ecco, io Gianni, Laura, Giulia, Rachele, Francesca (la direttrice del Villaggio, donna carismatica e piena di energia) perfino Fortunato, quando sono partito, me li sono portati tutti con me. E tutti mi mancano. Così guardo il barattolo dei capperi quasi vuoto e penso che sì, devo per forza tornare a Tremiti, questa estate, a prenderne altri.
E penso anche che il gesto di Gianni, le sue parole, «questi li porti con te», è il gesto che fanno da sempre al Sud quando un figlio, un nipote, torna al Nord dopo aver trascorso l’estate in famiglia. «Questa è una famiglia», aveva detto Gianni. E chi non vorrebbe passare le vacanze in famiglia?