di Clelia Arduini | Fotografie di Isabella Brega
La musica, la caccia, le avventure amorose, la velocità: nell’ordine queste le passioni del grande compositore
Fianchi stretti, lucida, elegante e, soprattutto, sempre a disposizione. Si chiama De Dion Bouton, una magnifica cinque cavalli che il proprietario guarda con passione come se quell’involucro di ferro, tutto portiere, fanali e motore a scoppio, fosse una donna, meravigliosa creatura per di più francese, cioè femminilità e sensualità al cubo. Del resto, l’automobile è sempre una lei e lui che di donne e motori s’intende parecchio, trova naturale accarezzare quegli interni trafilati di pelle come se sfiorasse l’incarnato di sua moglie Elvira, o far andare su di giri il motore come se desse voce ai suoi personaggi, Mimì, Manon, Tosca, Butterfly, Turandot.
Lui è il Maestro, Giacomo Puccini, geniale e irrequieto compositore lucchese, che dopo essere stato fulminato dall’Esposizione internazionale dell’automobile del 1901 a Milano, acquista nello stesso anno per 3.800 lire un’auto, appunto la De Dion Bouton, che ritira a Firenze dal rappresentante italiano della casa francese, preferendola ai primi modelli made in Italy prodotti dalla società anonima Fabbrica Italiana Automobili Torino, fondata due anni prima da Giovanni Agnelli.
«La passione di Puccini per la velocità è legata al suo carattere irrequieto – spiega Isabella Brega, caporedattore di Touring e autrice del libro La verità di Elvira (vedere box a pag. 37) – e al suo bisogno continuo di novità. Le prime ruote da cui è attratto sono quelle della bicicletta, anzi del “bicicletto”, com’era chiamata a quei tempi. In una delle sue lettere scrive a un amico di aver acquistato a rate mensili una Humbert che può aiutarlo a smaltire “l’indecentissima pancia”, poiché pesa più di un quintale». È il pittore Ferruccio Pagni, uno dei membri del Club della Bohème, fondato da Puccini e da un gruppo di amici nella baracca di assi di legno e canne del ciabattino Giovanni Gragnani, a insegnargli ad andare in bici lungo la strada che va dal lago di Massaciuccoli, dove Puccini possiede la sua casa, verso il paese, Torre del Lago.
La bicicletta per Puccini non è solo un passatempo, ma un vero e proprio sport. Partecipa infatti a numerose gare ciclistiche organizzate sul territorio lucchese, tanto da essere nominato presidente onorario dell’Unione ciclistica Valdinievole. In una cronaca del giornale locale del 29 giugno 1895 si legge: «...Tipo forte e simpatico d’uomo, egli è un appassionato cacciatore e valente ciclista... come nel campo della musica, anche nel ciclismo egli semina molti per la strada». è in questo periodo che il Maestro diventa socio del “neonato” Touring Club Italiano (fondato, lo ricordiamo, l’8 novembre 1894 con il nome di Touring Club Ciclistico Italiano per impulso di un nucleo di appassionati della bicicletta che intuiscono nel nuovo mezzo un potente strumento per il turismo). «Puccini – continua Brega – vive la sua maturità di uomo e artista affermato in quel breve periodo, la belle époque, di benessere e invenzioni, che contribuiscono a migliorare le condizioni di vita, creando un diffuso clima di ottimismo e di fiducia nella modernità. Si circonda di tutto ciò che è moderno, fa installare nelle sue numerose case, oltre alla luce elettrica, anche i caloriferi e, nella villa di Viareggio, persino un cancello elettrico e un sistema con una serie di spruzzatori d’acqua artificiali a raggiera installati sui pini del giardino e lungo i bordi del tetto così da ricreare l’effetto della pioggia e rinfrescare l’intera area nei giorni di maggiore calura. Adora le macchine fotografiche, il cinema (fa girare persino un film, muto, dall’amico regista Giovacchino Forzano, realizzato intorno al 1915, che mostra alcuni momenti della sua giornata a Torre del Lago e sul lago di Massaciuccoli) e, chiaramente, le auto, segno di potenza e libertà, ricchezza e velocità». Tra il 1901 e il 1924 ne acquista tredici, ma non le guida personalmente e si serve sempre di un autista in grado di risolvere i problemi meccanici. «E auto sempre più veloci e, ahimé, costose. Ma la passione è tutto, è vita – afferma Giacomo nel libro La verità di Elvira. –
E si paga, qualunque tipo di passione. Lo so bene io, che non so resistervi».
Tra le sue auto, la Clément del famoso incidente del 1903 nei pressi di Lucca in cui il Maestro si frattura la gamba destra; poi l’Itala, l’Isotta Fraschini, vari modelli di Fiat, altre francesi, ma le Lancia sono quelle alle quali è più attaccato, specie la Lambda cabriolet di cui scrive «Per me è la migliore macchina odierna, di poco consumo e di grandi risorse».
Il Maestro si appassiona anche ai motoscafi e ne acquista ben quattro, compreso uno yacht di 13 metri, che battezza Cio-Cio-San – il nome dell’eroina della Madama Butterfly – comprato nel 1912 e pagato 40mila lire. E per andare a caccia (altra sua grande passione) si fa costruire da Vincenzo Lancia il primo fuoristrada, con telaio rinforzato, ruote artigliate per i terreni accidentati e persino un sidecar con un enorme fanale che gli consente di scrutare di notte tra la vegetazione e, dietro, una cesta per il suo amato cane. Adora anche i treni, che gli permettono di raggiungere le capitali europee dove si rappresentano i suoi capolavori (e anche di incontrare le sue conquiste, come si legge nel libro di Brega). «Nel 1922 ad agosto – conclude l’autrice – parte in auto con il figlio e alcuni amici per un lungo viaggio fino al Mare del Nord, toccando fra gli altri Bolzano, Innsbruck, Monaco, Norimberga, Amsterdam e Rotterdam. Un tour avventuroso che testimonia la sua natura assetata di novità e di passioni.
A un giovane giornalista confessa che gli sarebbe piaciuto diventare giornalista di viaggio – molte infatti le lettere in cui descrive i suoi viaggi in giro per il mondo – ma poi aveva desistito perché, a suo dire, non ne era capace»