Una foto, una storia. Lo Dolce vita prima della Dolce vita

@Archivio Fotografico Tci

Via Veneto, il cuore pulsante della capitale ancora senza paparazzi in una immagine degli anni Trenta tratta dall'archivio del Touring Club Italiano

 Oggi è solo una ampia strada qualunque del quartiere Ludovisi, marciapiedi larghi, platani frondosi, l‘ambasciata americana trasformata in fortino, i grand hotel e qualche bar che si ostina a offrire aperitivi nei dehor color confetto ma è ignorata dai romani e frequentata solo da turisti tardivi. Ma ci fu un tempo, un lungo periodo, in cui via Vittorio Veneto, per tutti via Veneto, fu davvero uno dei cuori pulsanti della nuova capitale. Anzi una strada che deve tutto all‘arrivo dei bersaglieri del 1870 quando Roma diventata poi capitale del nuovo regno aveva bisogno di palazzi e strade degne.

Così da Porta Pinciana fino a piazza Barberini, nel corso dei decenni, spuntarono palazzi, hotel, banche, compagnie internazionali, ma anche mitici negozi come il forno (Palombi), come la libreria-salotto letterario (Rossetti), caffè (Rosati, Doney, de Paris) frequentati da pittori (Mino Maccari, Carlo Levi, Mario Mafai, Giulio Turcato, Emilio Vedova...) scrittori, artisti e poeti (da Ennio Flaiano a Vincenzo Cardarelli e di sera, da un giovane Eugenio Scalfari). La consacrazione ci fu quando il regista Federico Fellini ne fece l’emblema della dolce vita romana a metà degli anni Cinquanta con il suo omonimo film e la rese irresistibilmente attraente per i protagonisti della Hollywood sul Tevere, di passaggio a Cinecittà, da Liz Taylor a Richard Burton, da Ava Gardner a Frank Sinatra. Successo che in qualche modo ne decretò la fine provocando, con l’arrivo delle masse di turisti, la fuga della colonia degli artisti e il loro conseguente trasferimento in massa nel più spettacolare palcoscenico di piazza del Popolo.

Ma come dimostra la foto degli anni Trenta in questa pagina, via Veneto al tempo della Dolce Vita aveva già una lunga storia di successo alle spalle iniziata subito dopo la sua costruzione, opera realizzata sbancando, con uno dei primi sacchi di Roma, l’incantevole parco della villa Boncompagni Ludovisi. Le archistar del tempo disegnarono i grandi edifici e i primi grandi alberghi che ancora mancavano nella neonata capitale d’Italia per accogliere gli ospiti illustri e internazionali (L’Excelsior, il Majestic, l’Ambasciatori...). Proprio a metà della strada venne realizzato il grande palazzo per alloggiare la regina madre, (a un passo dal Quirinale, palazzo reale dei Savoia) e ora ambasciata americana, qui dove inizia la salita brillano i due grandi monumenti seicenteschi omaggio alla famiglia Barberini e al suo papa Urbano VIII, l’ultimo pontefice nepotista, la fontana del Tritone e quella a conchiglia, detta delle api, entrambe firmate da Gian Lorenzo Bernini. E, sempre per volere del papa Urbano e in onore di suo fratello divenuto cappuccino, fu costruita la chiesa di Nostra Signora della Concezione dei cappuccini, che conserva (oltre alle tombe degli zuavi francesi morti durante l’assedio e la breccia di Porta Pia) una inquietante collezione di scheletri dei frati dell’ordine che compongono con le loro ossa gli arredi i fregi e i lampadari, di questo originale museo della memoria.

Ma le file di auto d’epoca, Bugatti comprese, e quelle dei tavolini all’aperto, visibili nella foto, scattata probabilmente da una terrazza dell’ultra centenario e mitico hotel Flora in stile liberty, e disegnato da Andrea Busiri Vici (ora Marriott Grand hotel ma un tempo, dal 1905, Pensione Flora, poi quartier generale della Gestapo durante la seconda guerra, poi studio personale di Fellini, frequentato da Moravia e sede di innumerevoli fatti di cronaca rosa e nera) ricordano Quando Roma era un paradiso (titolo di un libro di Stefano Malatesta) fatto di pagliette e abiti eleganti, di passeggio con bastone e ombrello, di guanti bianchi e carrozzelle (a Roma, botticelle) a cavallo, e dei primi autobus con l’autista e fattorino alla Aldo Fabrizi che ripeteva come un mantra «avanti c’è posto»...

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