Gibellina, il miracolo incompiuto

Toni Anzenberger/ContrastoMichele Borzoni/Terra project/ContrastoMichele Borzoni/Terra project/ContrastoMichele Borzoni/Terra project/ContrastoRiccardo Lombardo/Cubo ImagesCarlo Morucchio/Marka

Sono passati 50 anni dal terremoto del Belice che distrusse la cittadina nel cuore dell’isola, più di 30 dall’iniziativa dei più grandi artisti italiani pronti a regalare le loro opere a quel territorio ferito. Un progetto utopico e ciclopico di città ideale che oggi appare abbandonato. In attesa di un rilancio per trasformarla in un polo di attrazione turistica unico al mondo

L’arte al servizio del territorio per creare bellezza e far rinascere la speranza in un angolo d’Italia massacrato dal terremoto e da un’errata ricostruzione. Un progetto di grande potenza salvifica partorito da uno degli ultimi amministratori visionari del Belpaese, che però non ha funzionato come lui avrebbe voluto. È la storia della comunità di Gibellina, in provincia di Trapani, che quest’anno, a cinquant’anni dal sisma che cambiò le sorti della Valle del Belice, vuole richiamare l’attenzione su fatti di un passato mai passato e salvare tutto il salvabile del territorio per riscattarlo e tornare ad amarlo. Tutto inizia in una notte d’inverno del gennaio 1968 quando una bomba tellurica frantuma uomini, case e cose della Valle del Belice, trasformando Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago, epicentro della tragedia, in un buco nero di morte e macerie: duecentonovantasei persone se ne vanno al Creatore, mille rimangono ferite e altre centomila vagano per decenni fra tende e container.
Partono come lumache i lavori di ricostruzione, i centri urbani distrutti sono ricomposti altrove con una pianificazione imposta dall’alto e con i grandi appalti, dove la mafia penetra liberamente, che interpretano il territorio a loro uso e consumo realizzando opere faraoniche, per la maggior parte inutili alle comunità. Quando comprende che la nuova Gibellina, costruita a circa 20 chilometri dal vecchio nucleo, è solo uno spazio vuoto e amorfo di abitazioni e opere pubbliche, il sindaco Ludovico Corrao, avvocato e senatore, chiede aiuto all’arte, l’unica che, a suo avviso, possa restituire al paese un’anima bella e umana atta a consolare i cittadini cui il sisma ha rubato affetti, storia, ricordi, memoria. è una vera e propria “chiamata alle armi” quella del primo cittadino di Gibellina il quale, ripetendo a tutti che «il terremoto fu morte apparente», vuole trasformare il suo paese in un laboratorio a cielo aperto dove inventare, sperimentare, ricomporre. Gli rispondono decine di artisti, letterati e architetti di fama internazionale come Mario Schifano, Andrea Cascella, Pietro Consagra, Mimmo Paladino, Franco Purini, Arnaldo Pomodoro, Carla Accardi, Mimmo Rotella e Alberto Burri. Di quest’ultimo è l’intervento più consistente: è il Grande Cretto di Gibellina, un catafalco ritagliato sulle macerie della cittadina siciliana con un dedalo di vie, slarghi e piazzette, il cui scopo, secondo il maestro, è «raccontare il dolore a chi non c’era e non dimenticare». La coltre di cemento di un bianco sfavillante, spessa un metro e cinquanta, si deve estendere secondo le intenzioni di Burri per circa dieci ettari.

I lavori iniziano nel 1985, ma nel 1989 non ci sono più fondi e l’opera rimane incompiuta per circa un terzo della superficie totale. Solo nel 2015 arrivano dalla Regione le risorse per terminare l’enorme sudario che ancora oggi è una delle più grandi opere di land art del mondo. Sfilano intanto nella new town altri monumenti come la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, i Giardini Segreti di Francesco Venezia, la Porta del Belice di Pietro Consagra che rimangono però come monadi incomprese, senza centro e senza cuore, e nel tempo vengono abbandonati all’incuria per incapacità amministrativa, indifferenza politica, mancanza di fondi. Sotto gli occhi di tutti sfuma così il sogno di Corrao che voleva l’arte al servizio del territorio. è accaduto il contrario. «Oggi – racconta il critico d’arte Philippe Daverio che in quegli anni insegnava all’università di Palermo – la pesante colata di cemento di Burri è invecchiata e annerita dal tempo ed è circondata da imbarazzanti pale eoliche che non funzionano. L’intero progetto è risultato il piano più cervellotico e astratto che sia mai stato applicato dopo un terremoto; nacque l’ambizione di reinventare il paese in modo utopistico, ma non ha funzionato perché quelle opere d’arte furono calate dall’alto senza nessuna condivisione da parte della comunità di pastori e contadini, quella che era Gibellina, che non le comprese allora e forse non le comprende oggi».

Non tutto però è perso del sogno di Corrao. Continua il suo impegno sul territorio la Fondazione Istituto di Alta Cultura Orestiadi, da lui fondata nel 1981 cui donò un consistente patrimonio di opere d’arte e gioielli, seguendola come presidente fino alla sua morte, nel 2011. L’ente privato, che attraverso il Museo delle trame mediterranee, racconta la storia culturale del Mare Nostrum, organizza a Gibellina e in altri centri siciliani mostre, eventi legati all’enogastronomia e un festival internazionale di musica, teatro e danza (che giunto quest’anno alla sua 37ª edizione va in scena dall’11 luglio al 12 agosto), richiamando oltre 15mila visitatori l’anno. E intanto, anche dal continente, giungono segnali di attenzione: a Venezia, in occasione della Biennale di Architettura (dal 26 maggio), sarà presentato uno studio sperimentale, Arcipelago Italia, da un’idea dell’architetto Mario Cucinella, che comprende anche il completamento, il recupero e la riabilitazione del teatro di Pietro Consagra costruito nel 1984 a Gibellina e mai terminato. Daverio lancia una sfida e noi del Touring la raccogliamo: un viaggio di pace e di riflessione in Sicilia per riaccendere il riflettore su Gibellina e, in generale, sul fatto che i terremoti sono fisiologici nel nostro Paese ed è ora di imparare a ricostruire nel rispetto delle comunità locali, menti e cuori del nostro Paese. Quando sarà, noi ci saremo. In nome di Gibellina, Valle del Belice, Friuli, Irpinia, L’Aquila, Umbria, Marche e di ogni località martoriata dal sisma, che deve, nel Paese dell’arte, dei grandi ingegneri e delle archistar, poter tornare a vivere con dignità nella propria terra.