di Valerio Magrelli | Foto di Simone Tramonte
Dietro l’immagine del Paese “impero del male” ho scoperto una nazione che brilla per l’accoglienza della sua gente e sorprende per l’antica bellezza del suo patrimonio artistico e culturale
Al centro dell’altopiano iranico, nel cuore di quello che fu il millenario impero di Ciro, Serse e Dario, diretti verso Persepoli, per un istante mi sono sentito Indiana Jones. E si capisce! Chi si azzarda a viaggiare nello Stato che, grazie a Trump, gli Usa hanno ripreso ad additare al disprezzo internazionale? Ma avrei ben presto cambiato opinione: altro che Harrison Ford. Mi è bastato il quarto pullman di allegri pensionati provenienti da Rovereto, Treviso e Reggio Emilia, per cambiare idea. D’altronde, c’è qualcosa che in effetti ha collegato la Persia alla Romagna: si tratta dell’impero bizantino, che combatté da Ravenna fino a Isfahan. Certo è, comunque, che l’Iran di oggi non può davvero dirsi un luogo avventuroso, e per fortuna, bisogna aggiungere. Esotico, sì, eccome, ma di pericoli e rischi, neanche a parlarne; siamo anzi di fronte a un Paese che ha fatto del turismo di massa uno dei suoi punti di forza. Oltre che nella notevole capacità di ricezione, il motivo sta nella simpatia degli abitanti, i quali, specie in provincia, avvolgono il visitatore con un calore senza pari. Insomma, sono molti i miti da sfatare arrivando a Teheran. Ma andiamo con ordine e proviamo a proporre un possibile itinerario di una settimana. Teheran, per esempio, è una metropoli sterminata, con splendidi luoghi, palazzi imperiali, ristoranti, bazar. Tuttavia, tenuto conto del resto, chi ha poco tempo farà bene a usarla soltanto come base, per trasferirsi subito, in aereo, a Shiraz.
Una volta arrivati, bisogna dare uno sguardo alla bella fortezza, per concentrarsi sulla moschea del reggente (Masjed-e Vakil), meglio ancora se a sera: mozzafiato. Quindi, notte a Shiraz e poi via, magari affittando una macchina con l’autista, verso una tappa indimenticabile. Ci aspettano infatti tre siti memorabili: Persepoli, Naqsh-el Rostam e la Tomba di Ciro a Pasargadae. Qui vale la pena affidarsi a una guida, uno degli accompagnatori che aspettano all’ingresso: si badi, uomini e donne, perché in Iran la condizione femminile è assai più libera che in altri paesi islamici. Il risultato sarà uno di quei giorni destinati a restare indimenticabili. Strano a dirsi, la cosa più toccante di Persepoli risulta l’enorme zoccolo di pietra su cui la città poggia, come un vassoio alzato verso il cielo. Malgrado la distruzione compiuta da Alessandro Magno, ci aspettano archi, colonne, bassorilievi. Forse, però, ancora più impressionante appare Naqsh-el Rostam, con cinque grandi bassorilievi scolpiti nella roccia: scene che narrano la sottomissione di tre imperatori romani a due sovrani sasanidi. Quanto alla tomba di Ciro a Pasargadae, un cubo di pietra nemmeno troppo grande, a stordire è lo sconfinato pianoro circostante, che rende questo luogo memorabile.
Poi bisogna affrettarsi per cenare a Yazd, dove si dormirà per un paio di notti. La sosta si raccomanda, perché questa austera città ricca di edifici in adobe (mattoni di argilla, sabbia e paglia) merita d’essere percorsa, assaporata, assorbita almeno nel corso di una giornata intera, tra sale da tè e ristoranti immersi nell’ombra. Visiteremo il tempio del fuoco zoroastriano, poco appariscente, ma dove tuttavia la fiamma arde da 470 anni. Belle le facciate dell’hosseinieh (sorta di scuola di religione) e della moschea nella città vecchia. Affascinanti e ingegnosi i badgir, o torri del vento (antichi sistemi di aerazione per captare le correnti incanalandole nelle abitazioni). Supreme, poi, le torri del silenzio, il luogo dove i fedeli di Zoroastro lasciavano i loro morti esposti al sole e agli uccelli. Luogo magico, astratto, metafisico, realmente senza pari. Architettura e storia a parte, però, non bisogna lasciare questo posto senza aver prima assistito a una esibizione pomeridiana del cosiddetto zurkhaneh, una strana mescolanza fra arti marziali, ginnastica e balletto, le cui origini sono addirittura millenarie. Quanto ai bei ristoranti, vi si può mangiare una deliziosa carne di cammello, benché la cucina iraniana (il parere è ovviamente personale) non arrivi ai livelli di due autentici imperi culinari quali Turchia e India.
Dopo Yazd, ci viene incontro Meybod, dalla bella fortezza. Il suo vero tesoro, però, risiede in una stupefacente, secolare ghiacciaia, alta una ventina di metri e a forma di uovo. Se l’esterno è magnifico, l’interno risulta addirittura irreale: e dire che era un semplice frigorifero… Notevole, nei dintorni, anche la desertica Na’in, con un’affascinante moschea e alcune rovine di un castello. Arriviamo così a Esfahan, uno dei luoghi più celebri dell’Iran. Inutile dire lo stupore dinanzi alla gigantesca piazza (in origine campo da polo), con le sue moschee e l’ampio specchio d’acqua; stupore che di notte si accresce ulteriormente. Indispensabile salire al primo piano del palazzo centrale, nel delizioso terrazzo areato.
Da contemplare ancora il ponte dai 33 archi, i ricchissimi giardini (da cui proviene la parola persiana behesht, paradiso), le moschee e le particolarissime pitture, affreschi o tele, composte tra il 1700 e il 1800, con uno stile inusuale, in cui si uniscono elementi turchi, cinesi e indiani. Da qui si punta verso Natanz, dalla toccante moschea, e il villaggio di Abyaneh, situato in uno splendido panorama montuoso. Da consigliare la gita in fuoristrada, che ci conduce prima a una fortezza in adobe, poi a un antichissimo tempio dedicato al culto pre-cristiano del dio Mitra. Ci avviciniamo alla fine del viaggio. Dobbiamo però ancora visitare Kashan, con il suo hammam traboccante di folla, la deliziosa moschea conica, isolata e deserta, e l’incantato bazar, progenitore dei passage parigini o delle gallerie coperte di Milano, Roma, Napoli. Nel suo spazio magico, si raccomandano specialmente quei curiosi slarghi (timche) che, veri pozzi di luce, sorgono all’incrocio fra due corridoi coperti. Tutto il contrario accade in alcune antiche case (khan), dove invece si schiude una quantità inaudita di cortili. Il motivo è semplice: le serate all’aperto, qui posseggono una grazia senza pari. Bisogna approfittarne, perché l’ultima tappa del tragitto ci proietterà in un’atmosfera ben diversa.
Mi riferisco alla leggendaria città santa di Qom. Le premesse non erano delle migliori: la nostra visita cadeva proprio di venerdì, giorno deputato alle celebrazioni religiose. Inoltre, la data coincideva con una festività importante come quella dei Dodici Imam. Temevamo dunque di dover rinunciare al sopralluogo. Invece, superato il posto di blocco, ci siamo potuti avvicinare alla grande moschea. Probabilmente eravamo gli unici stranieri, immersi in una folla austera ma vivace, del tutto disinteressata alla nostra presenza. Questo ci ha consentito di contemplare, da due diverse entrate, la facciata e il cortile, popolati da una massa di credenti fra cui molti afgani – numerosissimi sono difatti i rifugiati. Tanto maggiore risulta il contrasto con Teheran, a poco più di un’ora di auto. Ma non avremmo potuto desiderare di meglio, per toccare con mano le differenze di questo immenso Paese: da un lato Qom, teocratica e arcaica, dall’altro la capitale, laica e moderna. Sta tutta qui la forza e insieme l’inquietudine di una nazione in cui l’età media (che alcuni stimano di appena di 27 anni) lascia sperare in un futuro di pace.