In Marocco, sulle orme del Piccolo Principe

Da Essaouira a Tarfaya, nell’estremo Sud del Paese, dove visse l’autore del celebre romanzo, l’aviatore Antoine de Saint Exupéry. Un lungo viaggio “on the road” di oltre 700 km fra deserti e spiagge affacciate sull’oceano Atlantico

«Viviamo il presente. Non ci soffermiamo sul nostro passato, non pensiamo al nostro futuro». Il vecchio Mohammed ha sempre avuto le idee chiare, da quando, giovane comandante, riempiva di sardine il suo peschereccio, a quando, ormai sazio delle onde, scandisce le sue giornate tra passeggiate lungo le mura colpite dagli alisei, e racconti di vita vissuta tra i giovani marinai che si accalcano nell’affollato porto peschereccio di Essaouira.
“La Bella Addormentata”, come viene chiamata, è una città fortezza la cui storia è un susseguirsi di gloria, guerre, fasti e ricchezza ma, anche desolazione, oblio e decadenza. L’antica Mogador di portoghese memoria, vive il presente, come il vecchio Mohammed. È tra i vicoli della medina, nell’affollato mercatino di Jotia, lungo le mura del bastione di Sqala, all’ombra della torre fortificata del porto, o nella piazza di Moulay el-Hassan, che si percepisce il presente di questa terra, sospesa tra un nobile passato e un radioso futuro. Ci arrivo, come sempre, molto presto la mattina, lasciando Marrakech alle prime luci dell’alba per evitare il caldo.
Essaouira è l’inizio di un lungo viaggio che porterà me e i mie due compagni lungo la costa 700 km più a sud, sino a Tarfaya, il paesino in cui l’aviatore-scrittore Antoine de Saint Exupéry, autore del Piccolo Principe, ebbe la sua base lungo la rotta della Aéropostale Tolosa-Dakar. Negli Anni Venti, de Saint Exupéry fu direttore dell’aeroporto e primo pilota della compagnia.

La lunga spiaggia a mezzaluna con il nuovo lungomare costellato da aiuole e palme Washington è il preludio all’abitato. La strada corre parallela alla spiaggia, dalla zona delle dune e dei locali come il Beach & Friends, ottimo ritrovo per un buon cocktail e per ascoltare musica dal vivo, sino allo Chalet de la Plage, ristorante sulla spiaggia. Il proprietario del ristorante di pesce per eccellenza di Essaouira (imperdibile la sua zuppa), è il vulcanico Jeannot, stessa energia e stessa faccia da schiaffi di Jean-Paul Belmondo. Il suo locale è un punto di riferimento per gli habituè di Essaouira grazie al servizio, al pesce freschissimo e all’ottimo vino bianco proveniente dalla vicina val d’Argan.
Il Domaine du Val D’Argan è il sogno divenuto realtà dell’enologo Charles Melia, che nel 1994 ha trapiantato dei vigneti della Valle del Rodano nell’entroterra, a 23 chilometri da Essaouira, creando una delle più fiorenti realtà della regione, con una produzione di oltre 120 mila bottiglie annue.
Dalla Piazza Mulay el-Hassan alla Sqala, la medina si snoda su due vie parallele; la prima, più vicina al mare, è il tradizionale struscio pedonale per i turisti; la seconda, verso l’entroterra, lo è per i locali: è qui che si possono acquistare i famosi aik, le lunghe stuoie di cotone bianco panna con cui le donne realizzano il vestito tradizionale. è lungo le botteghe e i laboratori che si snodano ai piedi del bastione di Sqala che sciamano i numerosi turisti, per ammirare il lavoro degli oltre 150 ebanisti e intagliatori che lavorano il legno di tuia, arricchendolo di intarsi di limone, ebano, madreperla, perfino osso di dromedario e avorio con motivi ornamentali religiosi.
Lasciamo Essaouira in direzione di Meskala, una piccola località distante 25 chilometri, in piena campagna. Qui si trova la fromagerie Meskala, la Kasbah dei formaggi creata dalla famiglia Khoubbane, con alberi di limoni e mandarini e una produzione casalinga di formaggi di capra e mucca, assieme alle insalatone dell’orto biologico e le immancabili tajine.

 

Riprendiamo il viaggio verso la lunga spiaggia di Sidi Kaouki, famoso hot spot per gli amanti del surf, del windsurf e soprattutto del kite surf. Sei chilometri interminabili di sabbia dorata battuta da onde formate dagli alisei tutto l’anno. Il luogo è perfetto (vento a parte) anche per chi ama godersi il mare e il sole. Con pochi euro si possono affittare ombrelloni e sdraio e anche compiere passeggiate lungo la spiaggia a dorso di dromedario e cavallo.
Si può anche pranzare presso piccoli e improvvisati ristorantini situati nella parte iniziale della spiaggia. è qui che Omar ha aperto l’Auberge du Marabout che, al pari degli altri, garantisce  – in termini di comfort – il minimo indispensabile.
La strada regionale N1 continua attraverso saliscendi di colline allontanandosi dalla costa. Poco meno di 80 km più a sud una deviazione indica Imsouane, piccolo villaggio di pescatori divenuto anch’esso luogo di ritrovo per i surfisti. Affacciato su una bella baia sabbiosa, il villaggio è un incanto di pace, lontano dal turismo di massa. Pochi negozietti vendono tutto il colorato mondo che accompagna il surf, molte case private affittano camere e qualche ristorante propone pesce e tajine. Lasciamo a malincuore Imsouane dopo una magnifica notte passata in una casetta affacciata sulla baia, coccolati dal frangere delle onde e dalla luna piena che illumina ogni cosa.
La N1 continua a richiamarci come un sortilegio: superiamo il Parco nazionale di Tamri in cui abbonda l’argania (pianta da cui si ricava il prezioso olio di argan, ndr), per riapprodare lungo la costa in località Ames Naz, un douar (villaggio) affacciato su una lunga spiaggia che si caratterizza per le facciate delle case dipinte a tinte forti e sgargianti. Dal Ames Naz sino al successivo douar di Imatar, l’atmosfera che si respira è quella di luoghi dove il rapporto tra gli abitanti e l’ambiente è ancora in equilibrio. Cosa che non si può più dire del vicino paesino di Taghazout. In una sorta di frenesia incontrollata ma voluta, è oggi un luogo in piena espansione turistica che vorrebbe diventare una meta di richiamo internazionale al pari della vicina Agadir (che a sua volta non rientra nei nostri piani di viaggio: troppo traffico, troppi turisti). L’unica sosta che ci concediamo è al porto peschereccio per un buon pranzo di sardine, gamberetti e calamari. A tavola immagino quello che potevano mangiare e come potevano vivere i pirati che tra il Seicento e i primi dell’Ottocento infestavano queste acque e quelle del Mediterraneo. Nelle loro basi di Rabat, Salè, Algeri, Tunisi e Tripoli risiedevano mercanti livornesi, genovesi, spagnoli, inglesi e francesi che comperavano le mercanzie depredate per venderle nuovamente nei porti di Marsiglia, Genova e, soprattutto, Livorno. La pirateria aveva regole chiare e severe, ogni razzia veniva accuratamente segnata su libri mastri, tutti ricevevano parte dei proventi in precise percentuali. Senza dimenticare i danni subiti, che venivano ricompensati a parte seguendo una precisa casistica: un occhio perso valeva 100 piastre, una gamba 300 piastre (o il corrispettivo in schiavi).

La N1 ci chiama e la percorriamo tra un traffico molto sostenuto, finalmente Agadir è alle nostre spalle e la pace ritorna sovrana quando avanziamo lungo i sentieri che costeggiano il fiume Sousse, cuore pulsante del Parco nazionale Souss-Massa, quasi 34mila ettari di aree protette tra il fiume e la costa atlantica, vero paradiso per il birdwaching.
Meno di cento chilometri e l’antica cittadina fortificata di Tiznit ci accoglie con le sue mura di colore ocra. Nel 1912 era la base principale di un potente capo tribale della Mauritania che si fece proclamare sultano: in meno di un anno le sue armate occuparono tutto il Marocco meridionale ma le sorti del “Sultano blu”, come era chiamato, furono decise dalla Legione straniera francese, che lo sconfisse facendo precipitare nell’oblio anche Tiznit. Oggi la cittadina sonnecchia tranquilla e la sua attuale fama è dovuta al mercato dell’oro e dell’argento che è il più grande di tutto il Marocco, con centinaia di piccoli laboratori che vendono gioielli creati da abili artigiani, ma, soprattutto, importati direttamente dall’India.
Da Tiznit una strada secondaria porta alla costa, nella località di Aglou Plage, un luogo di villeggiatura molto frequentato dai turisti marocchini. La strada per lunghi tratti corre parallela alla linea costiera, svelando straordinarie spiagge assolate e dune sabbiose di primitiva bellezza. Difficile incontrare anima viva. Più a sud superiamo l’agglomerato di Mirleft, sino a una decina di anni fa piccolo villaggio, oggi un susseguirsi di caotiche costruzioni e case vacanza. Molto meglio proseguire una trentina di chilometri più a sud per raggiungere la bella spiaggia di Legzira, considerata una delle più affascinanti del Paese per i suoi due archi di roccia che si gettano in mare, uno dei quali nel 2016 si è sgretolato franando sulla spiaggia.
A ridosso dell’arenile è sorto un piccolo agglomerato di guest house e ristorantini che permettono di avere, letteralmente, les pieds dans l'eau. Pernottiamo in una guest house a ridosso della falesia: la sera ci aspetta una grigliata di pesce che noi stessi abbiamo comprato nel vicino mercato di Sidi Ifni. Ovviamente è freschissimo ed economico: un carangide (pesce oceanico simile alla ricciola, ndr) di 4 chili, un paio di chili di sardine e tre calamari ci costano in tutto 150 dhiram, poco più di 13 euro.

 

Sidi Ifni è un paesino grazioso racchiuso tra il mare e la montagna. A metà dell’Ottocento fu occupato dagli Spagnoli che ne fecero un enclave, al pari di Mellilla e Ceuta. Nel 1969 le insegne del Tercio, la Legione straniera spagnola, vennero ammainate e gli iberici lasciarono l’enclave e il cosiddetto Sahara spagnolo sei anni più tardi. Il Marocco, con la famosa Marcia Verde occupò i territori che oggi per il regno alaouita sono parte integrante del moderno Marocco; mentre per le Nazioni Unite e per il Polisario, il movimento indipendentista Saharaoui, il territorio è considerato “non autonomo” e una forza di pace ha il compito di monitorare il cessate il fuoco siglato nel 1991 e gestirne l’autodeterminazione.
Un cielo plumbeo e una insolita pioggia fine ci accompagnano lungo la strada secondaria che ci riporta sulla N1 verso la cittadina di Guelmim, antico snodo caravaniero del Sahara, da dove proseguiamo per il porto peschereccio di Tan Tan. La strada è monotona e taglia l’entroterra piatto e desolato intervallato da basse e brulle colline. Il paesaggio si ravviva nei pressi della foce del fiume Draa. Una strada asfaltata lunga 25 chilometri porta proprio alla foce del grande fiume, tra maestose dune di sabbia e scenari di rara bellezza. A Tan Tan Plage, conosciuta con il nome di El Ouatia, si può pranzare nei chioschi del porto scegliendo il pesce direttamente all’arrivo dei pescherecci. Karim ci invita ad andarlo a trovare nel villaggio costiero di Akhfennir situato novanta chilometri più a sud sempre lungo la N1. Il luogo in se è un semplice agglomerato di case addossate alla strada ma in posizione strategica per visitare, all’entrata del paese, la Voragine del Diavolo: un grande buco di circa 30 metri di diametro in cui la falesia rocciosa è collassata sprofondando in mare e creando un suggestivo spettacolo naturale.

Mentre 20 chilometri più a sud si estende l’immensa laguna di Layla, straordinaria oasi sia per gli amanti del birdwtaching sia per le scenografiche dune di sabbia. Questo tratto della N1 è davvero spettacolare perché le dune raggiungono talvolta la strada sommergendola di sabbia. Karim è il proprietario del piccolo Sahara Beach Hotel, con un buon ristorante di pesce dove si possono gustare, a richiesta, le grandi sogliole (più di un chilo) che vengono pescate lungo la costa.
A cento chilometri ci attende la nostra meta finale: Tarfaya. La strada corre parallela alla costa in un susseguirsi di sabbia e di vento sostenuto che spesso fa sbandare la nostra macchina. Tarfaya è un insieme di piccole case addossate alla spiaggia e al porto: non c’è niente di particolare che possa attirare l’attenzione. L’antica Villa Bens spagnola sorge nei pressi di Cap Juby, è un porto peschereccio che gli inglesi occuparono nel 1882 –  gli spagnoli subentrarono nel 1912 – costruendovi la Casa del Mar, il grande edificio utilizzato come prigione.
La storia di Tarfaya è legata al collegamento aereo postale creato nel 1927 dall’industriale francese Latécoére con la sua compagnia Aéropostale che voleva unire la Francia alle sue colonie africane. L’aeroporto di Cap Juby era perfetto come scalo intermedio tra Tolosa e Dakar e divenne un’importante base di rifornimento. A dirigerlo fu chiamato l’aviatore Antoine de Saint Exupéry, che vi restò 18 mesi contribuendo a creare il mito del luogo. In effetti, Tarfaya vive nel ricordo dell’aviatore-scrittore anche se le testimonianze non sono imponenti: il Museo dedicato a lui e a i suoi piloti, creato con il contributo della città di Tolosa, un cippo con un biplano situato sulla spiaggia di fronte alla Casa del Mar, battuta incessantemente dalle onde marine. Non c’è nient’altro da vedere, ma sostare d’innanzi a quel piccolo aereo in ferro riempie il cuore e la mente, rievoca le gesta di un aviatore romantico che scrisse storie che, in fondo, aveva vissuto personalmente. Così piccola e lontana da tutto, Tarfaya sarebbe piaciuta al suo Piccolo Principe.

Fotografie di Mauro Parmesani