Pesaro. O che bel vivere, che bel piacere...

Nicoletta ValdistenoNicoletta ValdistenoNicoletta ValdistenoNicoletta ValdistenoNicoletta ValdistenoNicoletta ValdistenoNicoletta ValdistenoNicoletta ValdistenoNicoletta ValdistenoNicoletta Valdisteno

Città della musica Unesco, il centro marchigiano festeggia quest’anno il 150° della morte di Gioachino Rossini, punto di partenza per riprogettare una nuova identità locale e incrementare il turismo.

Occhieggiano fra porticati e colonne. Sarcofagi egizi bistrati, tronfi guerrieri barbuti, putti equilibristi su nuvolette spumose, fanciulle leggere e leggiadre come le loro vesti svolazzanti, librerie alte tre metri fitte di grandi volumi vuoti: Pesaro oggi è una città che canta. Un gigantesco e surreale palcoscenico su cui i suoi abitanti sfilano come comparse fra le scenografie del Rossini Opera Festival (Rof), disseminate per il centro storico. Fra finzione e realtà l’abitato marchigiano corteggiato dall’Adriatico – incernierato sulla vibrante Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro del piazzale della Libertà, che chiude la prospettiva di via Rossini-viale della Repubblica, il lungo corso che lo taglia in due gettandosi nel mare – sfoggia la sua nomina di Città della musica. Titolo, attribuitole l’anno scorso dall’Unesco, che ne ha sancito il ruolo di leader di una regione dalla straordinaria tradizione nel campo delle sette note. Ma Pesaro, centro manifatturiero e legato alla produzione di mobili, dall’ottima nomea turistica, ha un’altra carta pesante da giocare. Gli Sforza e i Della Rovere hanno fatto la sua storia, ma è Gioachino Rossini che ne ha segnato il destino. Rossini ovvero la gola. Canto e cibo: binomio indissolubile nella vita del cigno di Pesaro, che si definiva «pianista di terza classe, ma primo gastronomo dell’universo» e che tutti conoscono attraverso il celebre ritratto fotografico di Nadar del 1856 dove, più che all’elegante uccello candido dal lungo collo, assomiglia a un tronfio e sornione tacchino. Un uomo imbolsito e sfiorito anzitempo ma dall’aria bonaria e con un guizzo ironico negli occhi intelligenti. Eppure Gioachino, nato qui il 29 febbraio 1792 da Giuseppe, detto Vivazza per la sua esuberanza e per la passione repubblicana, “tromba comunale”, e da Anna Guidarini, modista e modesto soprano autodidatta dalla bella voce che ignorava il pentagramma, in gioventù era bello. Tanto da essere soprannominato alla nascita il piccolo Adone. Già famoso a soli 20 anni, faceva strage di cuori e le ragazze, quasi fosse una pop star, gli correvano dietro per tagliargli un lembo della giacca come souvenir.

Quest’anno Pesaro è protagonista della scena internazionale grazie al 150° della morte del grande compositore che, pur avendo vissuto qui solo fino agli otto anni ed esservi ritornato brevemente un paio di volte, rimase straordinariamente legato alla propria città natale. Tanto da nominarla erede del proprio patrimonio. A patto che venisse fondato quel liceo musicale da cui nel 1940 ebbe origine il Conservatorio, uno dei primi e più importanti esempi italiani. Ricco, geniale e generoso Gioachino, che alla sua morte istituì a Parigi anche un lascito per i suoi colleghi anziani e meno fortunati, anticipando in questo l’altrettanto grande Giuseppe Verdi nella creazione della sua Casa per musicisti di Milano. I sampietrini con il logo di Pesaro Città della musica inanellano un percorso fra i luoghi del Maestro. Si comincia dalla piccola casa natale, a due passi dalla cattedrale, dove sono esposti spartiti, ritratti, incisioni, lettere, locandine, oltre a un fortepiano, mentre al piano terra è possibile ascoltare alcune registrazioni musicali. ll conservatorio del settecentesco palazzo Olivieri, che ha avuto direttori prestigiosi come Pietro Mascagni e Riccardo Zandonai e allievi come Renata Tebaldi, Mario del Monaco o il compositore Riz Ortolani, vanta l’auditorium Pedrotti, sala da concerti del 1892 dalla straordinaria acustica, e il cosiddetto Tempietto Rossiniano, dove sono raccolti manoscritti, lettere e gli autografi delle opere presentate per la prima volta a Napoli, come l’Otello del 1816 o La donna del lago del 1819. Il palazzo è di proprietà della Fondazione Rossini, al cui vertice è arrivato da poco Gianni Letta, e si occupa della ricerca e divulgazione dei lavori rossiniani, curando l’edizione critica delle opere e dell’epistolario e mettendo a disposizione di studiosi e appassionati il ricco materiale, anche storico, conservato nella sua biblioteca. Completano questo itinerario il Teatro Rossini, inaugurato 200 anni fa e fulcro del Rossini Opera Festival, e un lascito di 38 dipinti, fra cui una Incoronazione della Vergine di Giovanni Bellini, ospitati nelle belle collezioni civiche di palazzo Mosca.

«La nomina a Città della musica Unesco è stata il trampolino propedeutico alla Pesaro che sarà – sottolinea il sindaco Matteo Ricci –. L’occasione per veicolare tutta la sua offerta culturale: dall’arte all’archeologia, alla ceramica». Il riconoscimento ha spinto verso una nuova strategia economica e culturale e siglato il cambio di passo intellettuale, imprenditoriale e di mentalità di una città che, sul modello Salisburgo, punta a vivere tutto l’anno di musica. Il 150° della morte di Rossini è così la cassa di risonanza di un progetto di riqualificazione del territorio in chiave turistico-musicale. «È stata la crisi a obbligarci ad aggiornare il modello di una città per decenni quasi esclusivamente manifatturiera e che aveva un tasso di disoccupazione molto basso, intorno all’1,7 per cento – continua il sindaco –. Con questa operazione vogliamo far crescere il comparto turistico dall’attuale 8 per cento al 15-20 per cento, recuperando quello che ha perso il settore manifatturiero che, prima della crisi, arrivava a coprire il 60 per cento dell’economia locale». Città della bicicletta grazie alla bicipolitana (la metropolitana in superficie per gli amanti delle due ruote), dei motori e dei piloti (fra Pesaro e Misano c’è un unicum a livello mondiale nel campo dei motori, da Benelli a Morbidelli, a Valentino Rossi, a Franco Morbidelli), oggi Pesaro è al centro di un programma nazionale di celebrazioni che mira a fare di questo 150° un’occasione per tutta l’Italia. Nell’ambito di questo progetto Rossini, seguito nel 2019 da Leonardo, nel 2020 da Raffaello e nel 2021 da Dante, è testimonial della bellezza della cultura italiana. Un nuovo modo di raccontare l’Italia attraverso i suoi grandi artisti e trasformare questi anniversari in occasione di promozione internazionale per il Paese, non solo per le città natali. Per questo Pesaro, in collaborazione con gli istituti di cultura, le ambasciate e le camere di commercio all’estero, promuoverà nel mondo anche una serie di eventi che abbinano la musica rossiniana al cibo. E tutto questo nell’Anno internazionale del cibo italiano.

«Ho esercitato troppo la fantasia, e per la mia sensibilità così fragile», così scriverà Rossini dopo la composizione del Guglielmo Tell, nel 1829, l’opera che segnerà il suo ritiro dalle scene a soli 37 anni. Fiaccato da contratti capestro, in soli 20 anni aveva scritto 41 opere. E questo in barba alla sua proverbiale pigrizia. Per Il Barbiere di Siviglia impiegò solo 14 giorni! Ma in agguato c’erano tanti malanni fisici e un esaurimento nervoso serpeggiante. Con la prima moglie, la soprano Isabella Colbran, e poi con la seconda, Olympe Pélissier, viaggerà tra Bologna, Venezia, Firenze, Vienna, Londra, per stabilirsi a Parigi e a Passy, dove morirà nel 1868. Sono questi gli anni delle serate musicali fra amici, dei piccoli componimenti non destinati alla pubblicazione... e di grandi mangiate: «Dopo il non far nulla io non conosco occupazione per me più deliziosa del mangiare... Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne». A riempire le giornate del Maestro non erano più le note ma, in un crescendo rossiniano, i tartufi, le olive ascolane, le sardine royal, gli stracchini, il gorgonzola... Accanto al musicista depresso fioriva e gioiva un raffinato gourmet, amico di chef celebri come Antonin Carême, dal quale presero nome piatti a base di filetto di manzo, sogliola, maccheroni. Qui, solo qui, anche una pizza, una margherita con maionese e uovo sodo di cui i pesaresi vanno matti. Dicono sia ottima. I puristi storceranno il naso. Ma Rossini ne sarebbe entusiasta.

Foto di Nicoletta Valdisteno