di Silvestro Serra
Un viaggio nella cultura del Giappone, dal teatro Noh alla cerimonia del tè, dalle feste dei neolaureati all'universtà al tradizionale sushi. Per capire lo strano mondo nel quale un visitatore occidentale si trova catapultato quando atterra sul suolo nipponico
Partecipare attivamente ai complicati, lenti e intriganti rituali della cerimonia del tè sorseggiando e facendo ruotare lentamente una tazza di tè verde macha, seduto sul tatami nella posizione del loto; provare a non sfigurare nell’arte del kado, la composizione floreale, avendo a disposizione un vaso di vetro, foglie, rami verdi e fiori recisi colorati, sotto l’occhio severo di un maestro di ikebana che interpreta il tuo animo dai risultati; indossare uno yukata, un kimono casual, sandali infradito di legno e andare in giro così vestito senza vergognarsi troppo; tentare di riprodurre con grandi pennelli appuntiti i virtuosi ghirigori dello shodo, l’arte della scrittura con ideogrammi dell’alfabeto nipponico.
Poter cogliere la fioritura dei ciliegi (sakura), momento magico e emblematico nella vita spirituale nipponica. Ma se la si è perduta per ritardi o anticipi stagionali, poter comunque assistere alla cerimonia al chiuso, e sicuri della riuscita.
E ancora, osservare le composte feste di laurea degli universitari, rigorosamente in kimono le ragazze, in smoking gli uomini o una cerimonia nuziale, cristiana o confuciana. O dormire, sempre che si trovi posto, circondati da bambole, arredi, poltrone, tappezzerie, accessori tutti ispirati al fenomeno Hello Kitty.
Oppure seguire un itinerario gastronomico tra le diverse cucine locali, dagli onnipresenti sushi e shashimi, all’okonomiyaki (piatto tra la pizza e la frittatona), dal ramen (tagliatelle in brodo) al tempura (frittura leggera) al sukiyaki (carne di manzo con tofu, noodles di riso e verdure) dallo shabu-shabu (fettine di carne in brodo), ai piatti kaisei della cucina buddhista. Senza dimenticare i dolci nella più famosa pasticceria della città...
Tutte queste esperienze, una vera e propria immersione ravvicinata nella cultura nipponica, senza mai uscire dallo stesso posto. Questo vero bignamino dello stile di vita giapponese, utile magari prima di affrontare un viaggio nel Paese, è possibile riassumerlo senza mai uscire dal primo grattacielo di Tokyo e del Giappone, una città nella città. Si tratta dello storico Keio Plaza Hotel che si stagliava solitario sul panorama urbano e che ora è circondato da una selva di alti edifici hi tech, ma che svetta ancora con panoramiche terrazze, nel cuore del centrale quartiere di Shinjuku, mecca dello shopping, nucleo nevralgico degli affari, sede della più grande stazione di treni e autobus, ma anche l’area dove si alternano tracce della vecchia città di case basse e i vicoli zeppi di minuscoli locali, ribattezzati memory street, mega librerie di otto piani, palazzi interi di ristoranti, grattacieli dedicati al karaoke, uno dei pochi momenti in cui gli abitanti si tolgono le eterne mascherine antipolline dal volto e le cuffie dello smartphone dalle orecchie e forse, si vedono in faccia e si conoscono.
E quello che non si può fare dentro l’albergo è facilmente raggiungibile grazie al futuribile meccanismo di precisione che è l’orgoglio di Tokyo: la metropolitana.
Per conoscere da vicino un altro pilastro della cultura nipponica, altrimenti incomprensibile per noi occidentali (se non bastano la collezione di bozzetti, maschere, costumi e scenografie in mostra nella lobby del Keio Plaza Hotel) è necessario raggiungere la sede del teatro nazionale Noh nel quartiere di Sendagaya. Un’esperienza immersiva perché anche qui bisogna togliersi le scarpe, indossare un pesante e colorato costume di scena di seta, una maschera di legno che copre tutto il volto e affidarsi a un’insegnante che spiega i simboli, le storie i combattimenti stilizzati tra draghi e uomini, imposta una voce profonda e invita a ripetere i movimenti, i gesti e i passi di danza che costituiscono il cuore della più antica e tradizionale scena giapponese, interpretata fin dal XIV secolo e dal 2008 è Patrimonio culturale intangibile dell’umanità dell’Unesco.
Ultima ma essenziale visita per capire lo strano mondo nel quale un visitatore occidentale si trova catapultato sbarcando tra mille inchini e un’efficienza impeccabile all’aeroporto di Narita è quella al parco imperiale di Tokyo. Fino al 1905 era una fattoria agricola. Poi un giardiniere francese, ma di origini italiane, Maruccini cominciò a fare arrivare migliaia di piante esotiche da tutto il mondo, creando questo giardino che è diventato nel tempo il modello per tutti i giardini dell’impero.
Finalmente negli anni ‘50 è diventato un parco pubblico con due milioni di visitatori l’anno (l’ingresso costa 150 yen, poco più di un euro). Il più grande e più antico di Tokyo. Ma è uno spazio verde completamente artificiale, che la dice lunga sul rapporto dei giapponesi con la natura. Una visita in quello che per noi occidentali potrebbe sembrare poco più di un giardino pubblico, per dimensioni e struttura, è tuttavia interessante.
Qui però non si può neanche fare jogging.È una specie di museo all’aperto, un tempio laico dove si può solo contemplare la fioritura dei ciliegi e osservare l’ordine perfetto con il quale vengono disposte piante, fiori e alberi, quasi a voler sottolineare la supremazia dell’uomo sull’elemento selvaggio. Molto istruttivo.