di Barbara Gallucci | Foto di Giuseppe Carotenuto
Perché Céide Fields ha ottenuto il prestigioso Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino? Siamo andati a scoprirlo: dal Neolitico alla seconda guerra mondiale, viaggio on the road nella contea di Mayo, una delle meno conosciute del Paese
È una giornata grigia e tempestosa a Belderrig, contea di Mayo, Irlanda nord occidentale, una come tante probabilmente, quando il maestro di scuola Patrick Caulfield, armato di una semplice vanga, si mette a scavare, nel giardino di casa, della torba da bruciare nel camino. In teoria non dovrebbe trovare ostacoli in quel morbido e bagnato terreno e invece la vanga sbatte una, due, tre volte contro qualcosa di ben più solido e in qualche modo ordinato. Incuriosito Patrick insiste e comincia a conficcare una sonda e rileva costruzioni, che devono per forza essere umane, ricoperte dai depositi vegetali impregnati d’acqua. È il 1934 e il maestro, novello archeologo, condivide la sua scoperta inviando una lettera al museo nazionale. Nonostante l’interesse dei museali solo nel 1963 vengono avviati scavi scientifici a poca distanza, sulla collina di Céide. Uno dei volontari più appassionati in questi lunghi lavori di perlustrazione del sotto torba è Seamus Caulfield, figlio di Patrick, a sua volta insegnante neolaureato in archeologia. Tale padre, tale figlio, tale torba.
Per capire che cosa c’è sotto le passerelle che ora scorrono sopra la torba con vista sull’oceano Atlantico Seamus usa un’immagine nostrana: «È come se fosse una sorta di Pompei in slow motion, al rallentatore. Qui sotto ci abitavano migliaia di persone intorno al 4.500 a.C. Erano agricoltori e allevatori». Quelle persone non sono state travolte dalla torba, semplicemente se ne sono andate e, nel corso dei millenni, con i cambiamenti climatici (pare che l’Irlanda fosse più secca e calda), con l’aumento delle piogge, tutto è stato ricoperto, strato dopo strato, dalla natura. Ma proprio questa stratificazione della storia, della natura e il senso di appartenenza dei personaggi coinvolti in questa impresa sono state le motivazioni che hanno portato Céide Fields a ottenere il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino assegnato dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche a quei luoghi nel mondo meritevoli di particolare attenzione e studio. Luoghi in cui l’intervento umano ha lasciato tracce portatrici di valori universali. Gretta Byrne, allieva di Seamus e direttrice del centro visitatori che introduce alla scoperta dei Céide Fields, mostra una mappa che segna tutti i muretti e ambienti finora rilevati. «Qui la tecnologia non può fare molto. Metro dopo metro infiliamo queste trivelle manuali che se si fermano contro qualcosa di duro indicano che c’è un muretto», racconta e mostra dal vivo. Per capire il periodo storico le ricerche si sono affidate al radiocarbonio che, analizzando alcuni tronchi di albero trovati nei pressi dei muretti sotto la torba, hanno datato con precisione l’epoca storica. Ci troviamo così anche noi a camminare sul morbido per improvvisarci archeologi in nome di Patrick. È faticoso, ma fattibile. La sonda sprofonda via liscia. Per ovviare alla delusione Gretta indica un punto sicuro e lì la sonda si scontra contro la civiltà sommersa. Non è ancora il momento di infilare il cappello da Indiana Jones, ma la soddisfazione c’è. Le pecore che pascolano serene a pochi metri non ci fanno caso, a loro la torba piace da sgranocchiare tra un pasto e l’altro e più strati ci sono meglio è.
Le tracce di insediamenti preistorici raggiungono anche Downpatrick Head, promontorio poco distante da Céide Fields. A dirla tutta non vengono prese molto in considerazione perché qui lo show è in mezzo al mare. A seconda delle prospettive sembra una fetta di torta o di pizza, a tre o due dimensioni, in ogni caso si tratta di uno sperone di roccia che chiaramente a un certo punto della storia ha perso contatto con la terraferma. La leggenda dà la responsabilità a San Patrizio che, irritato contro un re locale ateo, gli staccò letteralmente la terra sotto i piedi per lasciarlo vagare sul Dun Briste, il forte rotto, alto 45 metri a strapiombo sul mare. In realtà, a causa dell’erosione, una parte del capo è sprofondata in mare nel 1393 lasciando Dun Briste e i suoi abitanti senza più attracco. Secondo le cronache locali le famiglie isolate sarebbero state tratte in salvo grazie a delle funi per barche. Un altro genere di impresa. Ma guidando lungo questa parte della Wild Atlantic Way, la strada statale che costeggia l’isola a picco sul mare, la storia e le storie non mancano. C’è quella dell’uomo del faro di Blacksod, estrema punta meridionale della Mullet Peninsula che, a sua insaputa, cambiò la scelta della data del D-Day, il giorno dello sbarco in Normardia, e, probabilmente il destino di quella fase della seconda guerra mondiale, grazie alle sue infallibili previsioni del tempo. C’è quella dei monaci che vivevano sulle isole Inishkea producendo coloranti estratti dalle conchiglie (il porpora era il più prezioso a uso esclusivo dei reali). Ci sono le mille leggende sulle avventure della piratessa Grace O’Malley che si scoprono tra Achill Island, Mulrany e Westport entrando nei torrioni che servivano da vedette di avvistamento. Senza dimenticare le infinite vicende che hanno coinvolto pescatori e marinai che dalla notte dei tempi sfidano le gelide acque dell’oceano (talvolta ritrovandosi in Canada e scoprendo quindi il continente americano prima di tutti, almeno a detta dei locali dopo un paio di pinte dell’amata Guinness). «Qui ad Achill Island siamo circa tremila residenti stabili. Le pecore 40mila», urla la guida Thomas McLoughlin mentre sfida vento e pioggia per mostrare il villaggio fantasma di Slievemore su Achill Island, «in estate il numero di umani e animali quasi pareggia, ma qui è bello così». Solo una volta al coperto e con tra le mani una tazza di tè fumante riusciamo però a dargli ragione.
Guidando su e giù per la contea di Mayo a inizio primavera in effetti si incontrano quasi tutti gli esseri umani e buona parte delle pecore. Al tramonto sembrano sparire tutti. Tutti tranne Ged Dowling, Georgia MacMillan e “Magic Dan” O’Donoghuen (che è Magic in quanto mago). Organizzano tour al buio (partenza a mezzanotte) per scoprire la volta celeste di questa fetta d’Irlanda che è parte dell’associazione internazionale, Dark-Sky con base in Arizona, che si occupa di proteggere e valorizzare i cieli notturni dall’inquinamento luminoso. È l’unico membro in un’iper illuminata Europa. Per vedere le stelle però bisogna essere fortunati perché, come si faceva notare all’inizio, di notti buie e tempestose il cielo d’Irlanda ne è pieno. Ma Ged, Georgia e “Magic Dan” non si perdono d’animo e cominciano a raccontare altre storie, miti e leggende. È talmente buio che a malapena si capisce se si sta camminando in un cimitero, nei pressi di una torre o a strapiombo sul mare, ma non importa. La dimensione magicamente comica ha già preso il sopravvento e viene in mente il frontespizio del Diario d’Irlanda del premio Nobel tedesco per la letteratura Heinrich Böll che da queste parti trascorreva le vacanze di famiglia: “Questa Irlanda esiste, ma chi ci va e non la trova non può chiedere risarcimenti all’autore”.