Il viaggiatore. Matera, città dell’accoglienza

La prossima capitale europea della cultura è stata più volte rifugio di popoli in fuga dall’iconoclastia. Per questo è così ricca di immagini sacre

 Visitando Matera, le sue mille pareti dipinte nelle grotte tra VIII e X secolo, sono stato colpito da due figurazioni letteralmente eccezionali, rarissime. La prima illustra una Madonna che dà le spalle a Cristo – postura inconcepibile dal punto di vista teologico! –; la seconda apre una Creazione realizzata dal cosiddetto Maestro dei Fiori rossi di Matera, mostrando invece una stranissima rappresentazione della Genesi. Nella cripta detta del Peccato originale (che si trova fuori città, in contrada Pietrapenta, ndr) il pittore benedettino, di origine longobardo-beneventana, raffigura Dio mentre crea la Luce come una figura femminile che esulta a braccia levate.
Quanto alle Tenebre, le vediamo simbolizzate da uno schiavo triste, con mani e piedi legati.
Che idea fantastica, considerare il buio come un prigioniero!
Al di là della loro curiosità, queste due immagini racchiudono però una storia profonda, intimamente legata alla nascita di Matera. L’importanza delle figure risulta infatti ben più ampia se si pensa che la città sorse nell’alto medioevo anche a opera dei numerosi gruppi di monaci riparati dalla lontana Cappadocia. Riparati perché? Perché quei religiosi erano stati cacciati dalla violenza degli iconoclasti, ossia quei cristiani che condannavano il culto delle immagini esattamente come faranno i luterani più o meno un millennio più tardi. D’altronde, per non andare troppo in là, basti pensare alla spaventose guerre che devastano oggi il Medio Oriente, lacerando l’Islam tra sunniti e sciiti, arabi e iraniani, con i primi che distruggono le immagini dei secondi.
I Buddha di Bamiyan, per esempio (due enormi statue di Buddha, alte 38 e 53 metri, scolpite 1800 anni fa da un gruppo religioso buddhista in Afghanistan), furono distrutti nel 2001 dai talebani, musulmani iconoclasti che denunciano le sculture come idolatre.

 

Ma torniamo a Matera e alla zona delle Murge. Come ha ricordato Clara Valenzano, nel Seicento la conquista araba spinse una fiumana di profughi dalla Palestina, dalla Siria e dall’Egitto nell’Italia Meridionale. E non era tutto: infatti, un secolo più tardi, una violenta controversia di carattere religioso, questa volta interna al Cristianesimo, porta di nuovo a Matera un gran numero di monaci bizantini; il divieto imperiale di venerare le immagini, la lotta degli iconoclasti, nemici di ogni rappresentazione materiale della divinità, contro gli iconolatri, comportò la perdita di un immenso patrimonio artistico.
A partire dall’VIII secolo monaci eremiti e comunità monastiche si stabiliscono nelle grotte della Gravina trasformandole in chiese rupestri impreziosite da affreschi di stile bizantino. Matera diventa così punto di incontro tra Oriente e Occidente della cosiddetta civiltà rupestre, tra l’arte bizantina degli anacoreti e l’arte dei pastori locali. Insomma, questi cristiani arrivano a Matera per poter esprimersi attraverso le immagini.
Quanto deve essere stata grande questa autentica frenesia figurativa, lo dimostra l’inverosimile proliferazione di pitture rupestri (si parla di 160 chiese). E allora proviamo a presentarla così, Matera, come una città sorta dalle immagini, nata per poter dipingere. E se ne volessimo un’ulteriore prova, lo dimostra meglio quell’enorme, intenso dipinto di Carlo Levi, Lucania ‘61 (custodito nel Museo nazionale d’Arte medievale e moderna a Palazzo Lanfranchi, ndr), 11 metri e 160 figure – sì, tante quante le chiesi rupestri. Forse una nuova angolatura per conoscere questo centro di irradiazione culturale.