Carrara, nel cuore del marmo

Nominata Città creativa, fin dai tempi dei Romani Carrara è la capitale dell’“oro bianco” delle Alpi Apuane. Irresistibile richiamo per gli artisti provenienti da tutto il mondo

La crea, la piega, la dispensa, ma non ne è schiava. Carrara è una città indifferente alla bellezza. Alla propria come a quella del marmo. Non se ne cura, la vive, la usa, la respira. Come l’”oro bianco” appena estratto a prima vista appare ruvida, scabra, distaccata, ma è pronta a splendere dopo la lucidatura per chi ha la pazienza di cercarla sotto lo strato opaco dei palazzi della borghesia del marmo, belli ma screpolati, simili a cornici senza specchi, impalcature mortificanti, negozi storici eleganti ma scoloriti.
È dal monte che viene la ricchezza. Da quelle Apuane, con la loro fisicità massiccia, di cui, anche quando non le vedi, avverti sempre, prepotente, il richiamo. Montagne algide e lunari che la spingono verso l’alto, opponendosi al canto delle sirene di quel mare, cui la città ha voltato tanto tempo fa le spalle, che l’attrae verso il basso, luccicando mobile e immoto in fondo alla valle.
Il sangue di Carrara è bianco. Il bianco puro del marmo, il bianco stanco e pesante del sudore e della paura di generazioni di cavatori, piegati da un destino che non assolve, il bianco inquieto delle cave che squarciano i fianchi delle montagne, il bianco saporito del lardo di Colonnata, trasformazione gourmet dell’antico companatico operaio.
In un candore abbacinante che schiaccia uomini e natura, durante il giorno una luce pura e indifferente consuma ogni spazio fra lame di sole e pozze d’ombra. Solo quando il disco solare si stanca di infierire e si acquieta nell’aria immobile, tornano a delinearsi contorni e superfici, colori e sfumature. Si attenuano i contrasti e si placa la lotta manichea fra mare e monte, che si ritrovano ancora complici, attori di un gioco primordiale.

Quella di Carrara è una storia di ricerche: di una buona vena, di una nuova cava, di una concessione redditizia. Ma è stata anche una storia di attese: dell’esplosione della prossima mina, della sfilata di carri e buoi che scendevano a valle trasportando i blocchi di marmo, dell’urlo del Mugnone, la prefica sirena annunciatrice di disgrazie. Perché qui la montagna che dà la vita è anche quella che può portare la morte. Tanti nei secoli gli operai caduti sul lavoro, soprattutto durante la pericolosa fase della lizza, il sistema che faceva scivolare i blocchi di marmo, trattenuti dalle funi, su tronchi di legno insaponati che venivano a mano a mano tolti e riposizionati più in basso.
Qui non ci si perde nelle minuzie, si ragiona in termini di quintali e tonnellate, mazzuoli e picconi: poca filosofia e tanta pratica. Eppure questa Carrara solida e sanguigna, caparbia e pragmatica, sa anche sognare. Questa è stata una delle culle del movimento anarchico italiano, con i suoi ideali di libertà e uguaglianza sociale. Carrarese era Gino Lucetti, che nel 1926 attentò alla vita di Mussolini, e il cuore anarchico batte ancora nel bel palazzo di piazza Matteotti, sede della Federazione Anarchica Italiana, e nel Circolo Culturale di via Ulivi.
Questa è una città che non si dà mai completamente, fà da sé e per sé. Non si adegua, come la costa, ai ritmi dei turisti. Il suo tempo, più lento, misurato, scandito dai colpi sulla pietra, le appartiene. Scalpello e martello: Carrara conosce la pazienza. L’ha imparata nei laboratori dove si sono ritrovati fianco a fianco artisti di tutto il mondo e artigiani carrarini. Dove statue e busti si sono lentamente scrollati di dosso la pesante coltre di marmo che li ricopriva.
Qui veniva Michelangelo per scegliere i blocchi di marmo che imprigionavano i suoi capolavori, qui arrivavano gli zar e i re della Spagna e del Nordeuropa con casse d’oro per comprare il meglio della statuaria del tempo. Qui i neonati Paesi della turbolenta America Latina sancivano con pomposi monumenti agli occhi del mondo la loro indipendenza, omaggiando i propri libertadores. Carrara infatti non è solo un distretto minerario, ma è stata un vero e proprio laboratorio artistico, cui il titolo di città creativa Unesco dell’artigianato, ottenuto lo scorso anno, deve spingere a ritrovare e ricostruire le proprie radici storiche e culturali. Perché qui si estraevano marmo bianco, bardiglio, marmi colorati, ma si lavoravano, e si lavorano, anche il diaspro di Sicilia, il giallo di Siena o il granito. 

«Il marmo è ancora il materiale più versatile per la sperimentazione artistica», afferma decisa Francesca Alix Nicoli, erede dello storico laboratorio che si incontra percorrendo in salita le ordinate vie ortogonali che lasciano il cuore medievale, bordeggiato dal torrente Carrione, per raggiungere via via le parti rinascimentali, barocca e ottocentesca della città. Lo Studio Nicoli, fondato nel 1863, ha visto nei suoi laboratori il meglio della scultura mondiale, realizzando pezzi unici per i più grandi: Bistolfi, Cecioni, Dupré, Martini, Sironi, Melotti, Carrà, Vangi, Fabre, Bourgeois, Beecroft.
I Nicoli hanno ricevuto commissioni da re e imperatori. Come il trisnonno scultore Carlo, che lavorò per la Regina Vittoria, per Umberto I di Savoia, ma anche per Rama V del Siam, realizzando persino il monumento all’indipendenza del Brasile. «Al pari di molti imprenditori della zona nasciamo come azienda estrattiva. Nel secondo dopoguerra però, con la crisi del marmo, reputando più importante conservare e tramandare il nostro patrimonio artistico e archivistico, vera e propria linea rossa della storia della scultura italiana, abbiamo lasciato le cave, concentrandoci sulla trasformazione», continua la pasionaria Francesca. «Una scelta opposta a quella della città, che
si è sempre più specializzata nell’industria estrattiva, disinteressandosi quasi della lavorazione artistica».
Sito Unesco messaggero di una cultura di pace, qui le opere del contemporaneo nascono all’ombra della Grande Madre di Fausto Melotti, accanto ai gessi della Pietà di Michelangelo, di un Garibaldi simile a Superman in procinto di spiccare il volo, di una Naomi Campbell come mamma l’ha fatta. Alla complessa azienda di un tempo, con una serie di artigiani specializzati (sbozzatore, pannista, anatomista...), grazie a un cambio di organizzazione aziendale e a un adeguamento tecnologico si è sostituita una realtà più agile.
«È stata una diaspora di mestieri » conclude Francesca. «I conti non tornano sempre, l’importante però è continuare a stimolare gli artisti, e affrontare con loro le sfide e i problemi tecnici, senza per questo limitarli. Siamo una squadra e lavoriamo in squadra!».

Insieme al marmo sono i giovani la linfa di questa città di 66mila abitanti, gli allievi dell’Accademia di Belle Arti, una delle più antiche d’Europa, fondata nel 1769 per la continuità della tradizione artistica e come sostegno all’industria del marmo. Esuberanti e informali, in un continuo saliscendi che da piazza Alberica, il salotto buono di Carrara, li spinge fino all’ateneo, ospitato nei due edifici del castello e del Palazzo Cybo Malaspina, restituiscono calore e colore a queste strade solitarie.  Sono circa 850 e vengono per metà dall’Oriente, oltre che da Stati Uniti, India, Iran, Europa. È qui, fra i gessi di Canova e Thorvaldsen, le statue antiche della collezione Fabricotti provenienti dalla vicina Luni e l’edicola romana dei Fantiscritti, che Carrara si gioca il suo futuro di città d’arte, investendo su generazioni che al martello e allo scalpello affiancano ora la robotica.
«Alle tecniche di scultura tradizionale accostiamo lo studio delle nuove tecnologie dell’arte», afferma il direttore dell’Accademia e direttore tecnico degli Studi d’arte Cave Michelangelo, Luciano Massari. «Noi insegniamo a pensare, progettare e tradurre in marmo. La robotica è solo una fase della traduzione di un pensiero artistico». Prima per ottenere la scultura bisognava segnare sul modello in gesso dei punti di riferimento che poi andavano riportati nel blocco. Seguivano la sbozzatura e la finitura. Ora con uno scanner dal modello viene ricavata una copia in 3D, poi sbozzata dalla macchina comandata da un computer. Tocca però sempre all’uomo completare l’opera a mano.
«Carrara è innamorata dell’Accademia e l’Accademia sta facendo molto per la città, con cui è in continuo dialogo», conclude Massari. «I nostri allievi sono il potenziale che ne ricostruiscono il senso di città d’arte. I giovani si formano, crescono e vogliono rimanere su questo territorio. Molti dei laboratori locali però sono famigliari, alcuni legati al mercato religioso, altri a quello funerario, ma i veri studi d’arte sono pochi e non offrono tanti sbocchi. Se non si crea un tessuto legato all’arte che consenta ai ragazzi di trovare qui il lavoro, è tutto inutile». 

Carrara è lenta nei cambiamenti, eppure qualcosa sta mutando e si comincia a pensare anche in termini di turismo. Se prima, quando l’economia legata al marmo andava a gonfie vele, non si sentiva l’esigenza di cercare nuove strade, ora si è capito che la città va comunicata. È quello che ha fatto White Carrara Downtown, la manifestazione organizzata lo scorso giugno da IMM Carrara in concomitanza con l’apertura del Carmi, il museo dedicato a Michelangelo, che ha trasformato la città in una galleria a cielo aperto, con l’apertura dei laboratori, lezione en plein air, concerti, visite guidate alle cave e il Simposio di scultura all’aperto.
«Raccogliendo la sfida di una rigenerazione della storica Fiera di Carrara dedicata al lapideo», afferma Fabio Felici, presidente di IMM «abbiamo voluto individuare nuove strategie capaci di aprire la strada alla valorizzazione sia della produzione sia della tipicità del territorio. Questo valore aggiunto va sfruttato e perseguito anche in una logica turistica. Da qui è nato un evento “per tutti i gusti del marmo”: il business, la cultura, l’enogastronomia, il marketing territoriale, il design, l’arte, l’architettura, la scultura. Questi elementi, amalgamati con creatività, possono ridefinire l’identità urbana della città, a partire da quella culturale, disegnando nuovi ruoli per un territorio che ha nel marmo la sua eccellenza. Con un gioco di squadra, quest’area è riuscita a proporre un’immagine dinamica e in simbiosi con i veri valori del nostro “oro bianco”».
Carrara deve credere nel proprio potenziale turistico. Per questo bisogna creare nuove infrastrutture, coinvolgere la città e i commercianti nell’accoglienza. Solo così Carrara troverà una nuova strada. E si riscoprirà bella.

Fotografie di Maurizio Fabbro