InterRail, anche i signori in carrozza

Il pass per viaggiare liberamente in treno in Europa non è più solo per under 26, ma è una tentazione per tutti

 Quando ho raccontato che stavo per partire per un viaggio in Interrail gli amici mi hanno guardato perplessi. «Ma non sei grande per far certe cose?». Sì, certo: non ho più 18 anni da un pezzo, come tanti l’Interrail – dal nome del pass per viaggiare senza limiti sui treni europei – l’ho fatto l’estate della maturità, in fuga dalla “provincia” della provincia. Ma oggi non serve più essere appena maggiorenni per intraprendere un viaggio in Interrail, perché ormai da qualche anno viaggiare in treno non ha età. «Interessante – ribattono – però: non ti annoi tutto quel tempo in treno, non è scomodo?». Annoiarsi è una questione di punti di vista: mi sono sempre piaciute le chiacchiere da treno, i paesaggi un poco mossi e ho una vera debolezza per i bar delle stazioni. E poi, c’è chi gode nel vedere il mondo dal retrobottega e nutre una passione per quelle scene di vita domestica che si intravedono quando i convogli rallentano prima di entrare in stazione. Quanto alla scomodità poteva esser vero una volta, quando si era costretti a far collezione di espressi e locali e alla fine del viaggio erano più le notti in cui si era dormito in treno che quelle in cui ci si era stesi su di un materasso.

Oggi è comodo come sono comodi i treni ad Alta Velocità e gli Intercity, che possono sempre non piacere, ma sono migliorati anni luce rispetto all’espresso 1.144 per Portbou, stazione di confine tra Spagna e Francia, con cui nel luglio 1995 iniziò il viaggio post diploma. Allora partimmo da Milano Centrale: dodici ore e tre controlli di frontiera dopo, mettevamo piede in Spagna. La Francia era un accidenti di passaggio, dove non si poteva scendere perché il biglietto era rigorosamente per zone. La nostra era la F: Marocco, Portogallo e Spagna, 21 giorni di iniziazione al viaggio. Destinazione ultima, Lisbona: scelta per colpa di una infatuazione assai adolescenziale per le limonate e le frittate alle erbe che il signor Pereira gustava nei chioschi dell’Avenida da Liberdade nelle pagine del libro di Antonio Tabucchi. Su quel primo treno quando già era notte, a Nizza salirono due backpacker americane con zainone d’ordinanza in spalla, entrarono nello scompartimento da sei senza neanche salutare, si accomodarono costringendoci a rintanarci contro il finestrino e tempo cinque minuti legarono letteralmente la porta con catene e lucchetto, e buonanotte. Chissà che cosa avessero mai raccontato dell’Europa e degli europei a quelle due. Noi eravamo troppo impacciati con l’inglese scolastico e alle prime armi con i viaggi per aver l’ardire di chiederlo.

Ventitré anni dopo la destinazione è la stessa: Penisola iberica. Solo le americane non hanno lo zaino ma un comodo trolley, e aspettano alla stazione di Porto Campanha l’Alpha pendular, l’equivalente lusitano del Frecciarossa. Anche loro viaggiano in Interrail, anche se il loro si chiama Eurorail Pass, riservato a chi non è cittadino dell’Unione. Ma nella sostanza è la stessa cosa: permette di sfruttare la fitta rete ferroviaria europea in libertà. Che è il motivo con cui il programma Interrail nacque, nel 1972. Allora aderirono 21 Paesi, come limite d’età per viaggiare scelsero 21 anni, che poi saliranno a 24 e infine a 26. Dal 1998 invece non c’è limite massimo d’età, ma ancora in pochi lo sanno, si pensa sempre che sia un viaggiare da ragazzini. Invece è un modo assai comodo di muoversi – da centro città a centro città – senza dover combattere con le regole dei bagagli da imbarcare in aereo, le code ai controlli di sicurezza in aeroporto e le tariffe intelligenti dei biglietti aerei che non riesci mai a conquistare. In un periodo in cui l’Europa è messa in discussione, l’Interrail rimane uno dei pochi progetti che punta ostinatamente a unire; fornendo a tanti la chiave per uno scambio culturale economico e facile da realizzare. Da oltre 40 anni lo fa così bene che anche Paesi che non ne fanno parte politicamente sono ben felici di aprire i propri binari ai viaggiatori: Macedonia, Turchia, Norvegia, Serbia. Nonostante la Brexit, anche la Gran Bretagna è dentro la rete Interrail.

 

A viaggiare negli anni Ottanta e Novanta erano in tanti, tantissimi: circa 300mila giovani che si sparpagliavano per l’Europa preferibilmente in estate utilizzando biglietti aperti validi 30 giorni che a un costo ragionevole permettevano di viaggiare praticamente ovunque, traghetti compresi. Allora la Bibbia era un librone grandissimo dalle pagine di carta velina, costoso e difficile da trovare. Si chiamava il Thomas Cook European Rail Timetable: circa 600 pagine che – si dice – contenessero gli orari di oltre 50mila treni. Bastava quello per iniziare a sognare incastri possibili: con il dito scorrevi le città, interpretavi i codici cifrati di arrivi e partenze e costruivi coincidenze arzigogolate per risparmiare una notte in albergo. Oggi si fa tutto con un’app: la Rail planner di Eurail, che permette anche di riservare alcuni convogli. Tutta un’altra vita, tutto un altro viaggio.

All’epoca l’Interrail era un rito di passaggio, la prima finestra sul mondo per chi voleva assaporare qualcosa di diverso. Assetati di altrove, Jack Kerouac l’avevamo letto, ma non eravamo abbastanza avventurosi per prendere una macchina, un furgone, e semplicemente andare. Alla fine di ogni città vedevi poco: troppo stanchi la mattina, troppo caldi quei pomeriggi andalusi, troppo intenti noi a collezionare tappe dopo tappe, neanche fossero figurine. Barcellona? Fatto. Madrid? Fatto. Coimbra, Faro, Siviglia? Fatto, fatto, fatto. La poesia c’entrava poco: era più una questione tra il pratico e l’economico. In inglese c’è anche una parola per rendere l’esperienza: interrailing. Convenienza del tragitto e libertà di scoprire erano la molla, quel che veniva veniva. Così si riusciva abbastanza sistematicamente a perdere le maggiori attrazioni di ogni città che si toccava – anche se lo stadio Santiago Bernabeu a Madrid non ce lo siamo fatti mancare  –, ma si conosceva tutto della vita notturna e dei posti meno cari dove mangiare. Gran parte del tempo era speso in attese: stazioni, bus, uffici. Un borsello cucito dalla zia carico di soldi, una calcolatrice per il cambio, la ricerca ossessiva della banca che offriva qualche peseta in più barattandole con le voluminose lire. Ma tutto faceva parte dell’esperienza, il viaggio era questo. Per vedere musei e  monumenti ci sarebbero state altre occasioni, questo era il nostro battesimo della strada (ferrata).

Oggi al punto di partenza dell’Interrail, in questo caso Porto, arrivi in tre ore con un volo low cost, perché finiti gli anni dell’università chi dispone di tre settimane se non in licenza matrimoniale? E Milano-Porto sono 7 cambi e 50 ore di viaggio, troppe per una settimana di vacanza. Ma tante altre cose sono cambiate, non solo gli orari che guardi sull’app. L’albergo lo prenoti con un clic, senza dover vagare fuori dalla stazione con lo zaino in cerca di un ostello. Non solo nostalgia, ma anche vantaggi, sia chiaro. I confini non esistono, la valuta è quasi la stessa in tutto il continente e comunque ormai con le carte di credito non devi neanche far la fatica di firmare. Certo, sono considerevolmente diminuite le possibilità delle notti in cuccetta e relativi incontri: i treni notturni internazionali sono sempre meno, sostituiti dall’alta velocità e dagli orari cadenzati. Le attese, come i ritardi, non sono più epiche, ma tollerabili. Intollerabile invece è l’assenza di conversazioni sui treni contemporanei; troppi sguardi immersi negli smartphone, troppa voglia di condividere in tempo reale sui social ogni frammento dell’esperienza, finiscono per togliere un pezzo importante del fascino dei viaggi: l’incontro casuale e la chiacchiera a ruota libera con i vicini di posto. Per i romantici cresciuti sperando di rimanere bloccati per giorni da una tempesta di neve come in Assassinio sull’Orient Express, il viaggio in treno finisce per essere un intermezzo fin troppo rapido, mentre se ne vorrebbe godere diversamente. Madrid-Valencia sono tre ore: ti metti comodo, sfogli il giornale ed è già finita, neanche un istante per fantasticare sulle nuvole che sovrastano l’infinita Meseta. Una velocità che, a ben vedere, sei hai solo sette giorni, ha degli innegabili lati positivi.

Foto di Tino Mantarro