di Claudio Sabelli Fioretti
Realizzata durante la prima Guerra Mondiale per rifornire le trincee italiane al riparo dall'artiglieria avversaria, la strada delle 52 gallerie sul Pasubio è un vero e proprio trekking attraverso la storia d'Italia
Qualcuno l’ha definita la strada più pericolosa del mondo. È una esagerazione. È forse il sentiero più affascinante. Più romantico. Più divertente. Ma non è per nulla pericoloso, almeno per le persone esperte di trekking di montagna. Ricordate la prima guerra mondiale? No, non la ricordate. Capisco. C’erano gli austriaci da una parte e gli italiani dall’altra. Adesso ricordate? Se le davano di santa ragione sulle montagne di confine, lì tra Veneto e Trentino. Metà Pasubio era degli italiani ed era una bella postazione per sparare cannonate agli austriaci. Ma per arrivare in cima, grazie alla strada degli Scarrubi, si doveva sottostare alle cannonate degli austriaci. Allora gli italiani ebbero la grande idea di costruire una mulattiera dall’altro versante, quello meridionale, al riparo dal fuoco nemico. Tutto questo per difendere il Pasubio che, chissà perché, era diventato la montagna più accanitamente contesa fra tutte sul fronte alpino.
Costruire una mulattiera dall’altra parte. Facile a dirsi. Dall’altra parte, quella che dava sulla val di Leogra, era tutto un susseguirsi di dirupi e burroni, di guglie e di pareti verticali. Si misero di buzzo buono. Sotto la guida del tenente ingegnere Giuseppe Zappa e del capitano Corrado Picone, realizzarono l’impossibile. In nove mesi. A forza di mine e di piccone: cinquantadue gallerie, tutte quante in salita, anche ripida, buie come la notte. Ma illuminate, allora, da una centrale elettrica e da centinaia di lampade. Dislivello 700 metri circa, pendenza media 12 per cento, pendenza massima 22 per cento. Lunghezza della mulattiera sei chilometri e mezzo dei quali 2.335 metri in galleria. Una zona invivibile, anche 35 gradi sotto zero, anche nevicate di dieci metri. Interi plotoni scomparivano sotto frane e valanghe.
Fatica, pericolo, morti, cannonate. Ieri. Oggi turismo. Meglio oggi ovviamente. Gli escursionisti sono tantissimi, anche i bambini, e anche i cani. Partono da Bocchetta Campiglia e arrivano fino al rifugio Papa. E così ho fatto anch’io insieme a Genny, Iman, Sergio e al cane da tartufi, il lagotto Pepe. Abbiamo lasciato la macchina al parcheggio (sei euro) e ci siamo fatti, non senza fatica ma con grande soddisfazione, le 52 gallerie tra le quali la più interminabile e la più impressionante, la galleria 19, lunga 320 metri e avvitata su se stessa come un cavatappi. E la 20, anch’essa che si arrampica su se stessa. L’ho detto: mulattiera non pericolosa, ma faticosa.
Alcune guide parlano di 3-4 ore. Ma si sa come sono fatte le guide. A volte sono ottimistiche a volte sono pessimistiche. Alcuni di noi sono andati piano, leggendo con attenzione i cartelli che raccontavano la prima guerra mondiale (forse una scusa per riposarsi). Altri l’hanno presa sull’agonistico. Differenza fra le due modalità: un’ora circa. Tra una galleria e l’altra panorami mozzafiato su canaloni e su valli. Alla fine comunque siamo arrivati al rifugio Papa (tranquilli, era un generale) e abbiamo mangiato.
Il ritorno quasi nessuno lo fa sulla stessa strada. Il ricordo della fatica fa sì che molti, quasi tutti, scelgano un’altra discesa, quella degli Scarrubi, più lunga (dieci chilometri), ma più riposante e percorribile da ginocchia provate. E così abbiamo fatto anche noi percorrendo una strada ancora più romantica che ha consegnato ai nostri occhi una distesa rosa di rododendri. Eravamo dalla parte che gli austriaci bombardavano senza sosta. Ma a noi è andata bene. Non ci ha bombardato nessuno. Solo qualche problema di acido lattico.