Le Terme dei Papi, una mano santa

Frequentate già ai tempi dei Romani e da Dante, rilanciate in grande stile dai pontefici, le acque miracolose di Viterbo (per la salute) sono, insieme ai capolavori artistici e alla natura, una delle maggiori attrazioni della città laziale

 

 Viterbo città termale. Affermazione impegnativa se si pensa alle “stazioni di cura” di fine Ottocento frequentate dall’alta borghesia europea che scendeva a Montecatini, Abano, Ischia, Riolo, Salsomaggiore (ma non solo) a passare le acque, preceduta da lunghe teorie di bagagli ricolmi di vesti scollate, abiti da sera, “cappelli con nastri e con rose”, paillettes, voiles e chiffons. Se pensiamo invece a più concrete e moderne modalità curative per prevenire o lenire fastidiose artrosi, disturbi articolari, bronchiti croniche e altro, con soggiorni terapeutici essenziali e mirati, peraltro guidati da personale sanitario altamente qualificato, ecco allora che Viterbo, forte di un provvidenziale patrimonio di acque ipertermali di origine vulcanica (sulfuree e solfato-bicarbonato-alcalinoterrose) può competere ad armi pari con le più gettonate consorelle e magari aggiungere al soggiorno qualche sorpresa in più. Come il palazzo dei Papi, le chiese romaniche, il quartiere medievale di S. Pellegrino, il santuario della Madonna della Quercia, Villa Lante, la Macchina di Santa Rosa, nonché paesaggi e dintorni esclusivi: le tombe etrusche dipinte di Tarquinia, i laghi di Bolsena e di Vico, ville rinascimentali, antichi borghi come Civita di Bagnoregio.
La matriarca di questo generoso effluvio di sorgenti alle porte della città – dove emergono dal terreno a vista d’occhio spezzoni di ruderi di terme e ville romane a conferma di un passato sontuoso – è il Bullicame, una caldera con acqua a 58 °C, a presidio di una collinetta calcarea biancastra di aspetto lunare, che accese la fantasia di Dante quando la vide nel suo viaggio giubilare a Roma nel 1300. Gli avrebbe suggerito paragoni crudeli per una delle pene più atroci del suo Inferno riservate ai “Violenti assassini”. Le loro teste lessate e tribolate emergono dalle acque fumanti del Flegetonte, come quelle del Bullicame, dove i corpi sono messi a bollire per l’eternità (Poco più oltre il Centauro s’affisse/ sovr’una gente che ‘nfino alla gola/ parea che di quel Bulicame uscisse). Tra i dannati c’è anche in disparte tale Guido di Montfort, un violento di fede angioina che proprio a Viterbo il 13 marzo 1271 accoltellò a morte il giovane principe Enrico di Cornovaglia mentre ascoltava la messa nella centrale chiesa di S. Silvestro.

 

A proposito del Bullicame, deve essere stata una notte di tregenda quella del 28 maggio 1320 quando s’abbatté su Viterbo una tromba d’aria che fece impazzire, come racconta una cronaca leggendaria del tempo, schiere di corvi fuoriusciti dalla pozza infernale che cominciarono a sorvolare la città anticipando di qualche secolo le scene drammatiche del film Gli uccelli di Hitchcock. I viterbesi videro nei poveri volatili figure di demoni urlanti che annunciavano dannazioni eterne. Tutto si risolse con accorate preghiere e suppliche alla Madonna che fece risucchiare i corvi nel Bullicame da dove erano usciti.
Altra curiosità. In un antico Statuto comunale si fa divieto alle prostitute della città di contaminare le fontane di Viterbo e che per le loro abluzioni si devono recare al Bullicame.
Dicevamo dei Romani. Nei primi anni imperiali l’intera zona termale di Viterbo, grazie anche alla via consolare Cassia, era costellata da una decina di stabilimenti e da molte ville patrizie con terme incorporate, dotate di vasche, palestra e spazi per lunghe conversazioni in totale promiscuità. Autorevoli i testimonial di allora. Strabone le definiva «Dotate di acque tanto abbondanti da rivaleggiare con quelle celebratissime della baia di capo Miseno». Convincenti le raccomandazioni di Marziale all’amico Oppiano di frequentare le acque termali di Viterbo ricche di minerali, con il clima buono e la magnificenza degli edifici «lucenti di onici e di marmi preziosi». E rincara «Se tu non andrai a far dei bagni nelle terme etrusche, morrai senza conoscere cosa sia bagno».

 

Uno di quegli stabilimenti (Bacucco), fu un toccasana per Michelangelo che lo frequentò un paio di volte intorno al 1549 per attenuare, sembra con sollievo, il suo doloroso mal della pietra (calcoli, in poche parole). Mise anche mano a uno schizzo a penna di un paio di interni. Su uno scrisse di suo pugno «pianta del bagno di Viterbo». Nell’altro disegnò lo spaccato dell’interno dello stabilimento che l’ospitava con le parole «come stà dentro el dicto bagno». Gli originali sono al Museo di Belle Arti di Lille, in Francia.
Le notizie storiche ci parlano di altri clienti vip, spesso pontefici e porporati, che hanno utilizzato le acque di Viterbo per acciacchi vari e piacevoli soggiorni. Uno di questi, Tommaso Parentucelli, Papa Niccolò V (1447-1455), trovò tale sollievo alla sua gotta che si sentì in dovere di far costruire uno stabilimento, detto il Bagno del Papa, su cui oggi sorge lo stabilimento Terme dei Papi. Papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini) qualche anno dopo non fu da meno con l’ampliamento dello stabilimento papale e ripetute frequentazioni. Nell’albo d’oro di quegli anni figura pure il cardinale Bessarione (1403-1472) afflitto anche lui dalla gotta.
I mecenati di oggi appartengono a due famiglie di imprenditori viterbesi, quella dei Sensi e quella dei Governatori che nei primi anni Novanta del Novecento hanno investito soldi e risorse umane per la costruzione degli stabilimenti Terme dei Papi e Terme Salus Hotel, considerati due eccellenze nel panorama termale italiano. Nel primo la specialità della casa sono i fanghi che vengono estratti da una piscina argillosa (Bagnaccio) alimentata da sorgenti di acqua sulfurea che assicura rifornimenti costanti durante tutto l’anno: fango nero per la fangoterapia, bianco per la cosmesi (maschere facciali).

 

La fangoterapia è una mano santa per artropatie croniche, contusioni, postumi di frattura e altro. Il fango, dopo accurate visite mediche, viene spalmato sulla superficie corporea e in particolare sulle articolazioni interessate. Dopo una ventina di minuti il paziente passa a un bagno termale e quindi al relax, alla doccia e all’eventuale massaggio. Una rarità è la grotta naturale di Terme dei Papi ricavata in una cavità senza tempo al cui interno si sono formati attraverso i secoli blocchi di calcare che trasudano acqua sulfurea a 40-45 °C. Se non è inferno questo! Il complesso termale dell’Hotel Salus è circondato da un parco con piscine, palestra e sauna.
Spazio anche al fitness-culturale specialmente nei ponti festivi e nei fine settimana. Un bagno in piscina (anche d’inverno), una grotta sudatoria e corroborante, un massaggio rilassante sono ideali dopo quattro passi tra le antiche pietre di Viterbo o nei suoi immediati dintorni. Lo suggeriamo anche ai camperisti che presso alcune pozze libere trovano spazio per le loro case mobili. Nelle campagne circostanti si aprono infatti pozze naturali (Masse di S. Sisto, Carletti, Bagnaccio) dove ci si bagna con poca spesa, se non gratuitamente, senza eccessive formalità e in vista dei monti Cimini e Volsini.
Ai più allenati consigliamo una passeggiata campestre fino alla necropoli rupestre di Castel d’Asso, con tombe etrusche scavate nel tufo tra una vegetazione rigogliosa (dalle Terme dei Papi 5 chilometri tra andata e ritorno in percorso pianeggiante). Al rientro un bagno in piscina con acqua termale calda vi rimetterà di buon umore.
Novità per il futuro. Sono iniziate le procedure per la ricostruzione del vecchio stabilimento Inps chiuso da oltre vent’anni, mentre sono in via di completamento i lavori di un nuovo complesso in località Paliano nella zona nord della città. Con queste due nuove strutture, Viterbo potrà ambire al titolo di Città termale, che va ad aggiungersi a quelli già accreditati di Città dei Papi e Città della Macchina di Santa Rosa.

 

Fotografie di Sergio Galeotti